Intervista
12 marzo 2009

NIENTE TASSE PER CINQUE ANNI ALLE IMPRESE DEL SUD, PRONTI AL DIALOGO PER RILANCIARE IL MEZZOGIORNO<br><br>

Intervista di Antonio Troise – Il Mattino


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Roma. In bella evidenza, sulla sua scrivania, c’è l’ultimo rapporto dell’Ocse sulle «best practices», le esperienze più significative messe in campo dai governi contro la crisi. «Berlusconi dice che ci siamo mossi prima e meglio degli altri. Eppure qui, in questo rapporto, l’Italia non è citata neanche una volta». Massimo D’Alema parla da presidente della Fondazione Italianieuropei nel suo ufficio in piazza Farnese. Nel Pd di Dario Franceschini non ha incarichi ma la sua è una voce che conta e molto nel centrosinistra. Nell’intervista al «Mattino» boccia il piano casa di Berlusconi, critica le misure varate dall’esecutivo e, soprattutto, rilancia il tema del Mezzogiorno. Con un «pacchetto» di proposte da 5-6 miliardi. Tra gli interventi previsti credito di imposta e fiscalità di vantaggio (fino a 5 anni di esenzione dalle tasse) per le imprese che investono nel Sud.

La domanda sorge spontanea: dove trovare i soldi?
«Prima di tutto siamo in un momento in cui la crisi industriale fa sì che le imprese non paghino troppe tasse. Il problema non è di risorse, ma di priorità e di strumenti da mettere in campo per lo sviluppo economico. Fino ad ora il messaggio arrivato è un altro: a questo governo del Sud importa nulla o poco».

Non le sembra di essere troppo categorico?
«Questo governo non ha un orientamento meridionalista, nasce perfino programmaticamente lontano dal Mezzogiorno: il suo asse è la questione settentrionale. È una cosa comprensibile per una maggioranza che ha come forza fondamentale la Lega Nord. Così come era ovvio che il Sud avesse un ruolo del tutto marginale. Perfino nella struttura del governo: non mi pare che ci siano personalità meridionali che hanno posizioni chiave. Per la destra il Mezzogiorno è un appendice. Questo si è tradotto in una serie di scelte penalizzanti per il Meridione che la crisi ha ulteriormente rafforzato».

Può fare qualche esempio?
«La crisi ha conseguenze pesanti sulle aree più deboli del Paese, anche se i suoi effetti più visibili sono nelle aree industrializzate. Questo ha rafforzato l’orientamento antimeridionale e si è tradotto non solo nell’assenza di misure a favore del Sud ma nel sistematico smontaggio di tutte quelle esistenti. Senza che si sia levata una voce dal ceto politico della destra meridionale il cui peso è prossimo allo zero».

Ma, in concreto, quando e come il governo ha penalizzato il Sud?
«Sono stati saccheggiati i fondi del Fas, utilizzati per riempire le toppe che si sono create nel bilancio dello Stato. E sono state definanziate tutte le misure strutturali che il centrosinistra aveva varato per favorire lo sviluppo del Meridione. Penso al credito di imposta, ai contratti di sviluppo, al prestito d’onore. È stato cancellato l’intero quadro normativo esistente a favore del Sud».

L’esecutivo sostiene il contrario. Anzi, rivendica una serie di interventi a favore del Mezzogiorno...
«A mio parere non contengono nulla di sostanziale, sono poco incisivi e non toccano i due problemi fondamentali: la difesa del tessuto delle imprese e la difesa dei ceti più deboli. Berlusconi dice di essere come Obama, un uomo del fare. Ma il presidente americano ha sempre detto che siamo in presenza di una crisi drammatica e ha tirato fuori un piano da 800 miliardi. Ha messo in campo politiche di qualità orientate sulle nuove tecnologie. E per fare fronte al problema dell’assistenza sanitaria ha proposto una tassa sui ceti più ricchi. In questo senso la proposta avanzata ieri da Franceschini si ispira allo stesso principio».

Diceva di essere preoccupato anche per le imprese. Perché?
«La stretta creditizia ormai in atto sta funzionando più o meno come una falce in un sistema, come il nostro, fatto di piccole e medie imprese sottocapitalizzate. Se viene meno il credito le aziende falliscono. Una situazione che colpisce in maniera più dura un’area più fragile come quella del Sud».

Tremonti ha rilanciato la banca del Sud?
«Ancora non si capisce che cosa sia. Siamo, comunque, pronti a discuterne con il governo purché non diventi un modo per erogare credito con un criterio di selezione politica. La banca dovrebbe essere un’istituzione che mette insieme gli istituti e gli organismi esistenti. L’importante è non creare nuovi carrozzoni burocratici».

Il governo, però, ha sbloccato le grandi opere. Il 50% dei finanziamenti è destinato al Sud.
«Stiamo parlando per caso del Ponte sullo Stretto? Se gli impegni saranno realmente rispettati, aprirà i cantieri alla fine del 2010, quando la crisi dovrebbe essere superata. Ma, in generale, l’elenco di opere pubbliche approvate dal Cipe è soprattutto un’enorme chiacchiera, solo in minima parte si tratta di progetti cantierabili. È sempre la stessa cartina che Berlusconi presentò da Vespa, a Porta a Porta, nel 2001. Nel frattempo ha governato il Paese per sette anni. Quando andammo al governo trovammo 60 miliardi di opere deliberate dal Cipe senza copertura finanziaria».

Negli ultimi giorni è spuntato anche il piano casa. Anche questo è da buttare?
«È una misura che favorirà l’abusivismo e porrà problemi giganteschi ai Comuni e alle Regioni, che saranno sottoposti a pressioni gigantesche per dare il loro via libera al progetto. Ma le conseguenze saranno gravissime. Rischiamo di distruggere un patrimonio importante del Paese in cambio di un vantaggio magari immediato ma sicuramente aleatorio».

Se questa è la diagnosi, qual è la terapia che propone?
«La prima cosa da fare sarebbe ripristinare i finanziamenti per il credito di imposta. È uno strumento molto efficace in un momento in cui si riduce l’occupazione e gli investimenti sono in caduta. Per sostenere immediatamente la liquidità delle imprese potrebbe essere applicato anche retroattivamente, trasformandolo in una deduzione aggiuntiva per gli investimenti effettuati nel triennio 2006-2008. Inoltre potrebbero essere rifinanziati i contratti di sviluppo e il prestito d’onore. Infine, si potrebbe aprire con l’Europa una discussione sulla possibilità di applicare politiche fiscali differenziate a regime nel Sud».

Per la verità ci hanno provato anche altri governi, in passato, senza successo. Che cosa le fa credere che oggi Bruxelles potrebbe cambiare idea?
«La situazione è molto diversa. Di fronte alla crisi le istituzioni comunitarie sono maggiormente flessibili rispetto al passato. Inoltre la Corte di giustizia europea, con sentenze relative alle Azzorre, nel 2006, e ai Paesi baschi, nel 2008, non ha escluso in modo assoluto la possibilità di ricorrere a situazioni di fiscalità di vantaggio».

Insomma ci sarebbe uno spiraglio. Ma in concreto come funzionerebbe la fiscalità di vantaggio?
«Potrebbe essere un’esenzione fiscale per 5 anni per le imprese del Sud. O un provvedimento più limitato, ma di forte impatto anche sperimentale, con la creazione di un certo numero di “no tax area” nel Mezzogiorno».

Non ci sono già le zone franche urbane?
«Sì, ma io penso a vere e proprie aree di sviluppo, in grado di attirare nuovi investimenti. Naturalmente non ce ne possono essere settanta. Bisognerebbe fare una selezione e fermarsi a una decina di zone».

Che cosa farete con queste proposte? Cercherete il dialogo con il governo?
«Questa è una base sulla quale siamo pronti a discutere. Anche se gli inviti devono partire dal governo. Ho incontrato Tremonti e ne abbiamo parlato. Ma il confronto potrebbe avvenire anche in una sede naturale come il Parlamento. La nostra posizione è chiara: siamo preoccupati, registriamo che quello che sta facendo il governo è inefficace, avanziamo delle proposte e siamo pronti a discuterne. Fra le misure da mettere in campo c’è anche quella di allentare i vincoli del patto di di stabilità interno per consentire a regioni ed enti locali di fare investimenti e lavori. In molti casi i cantieri non aprono perché i Comuni non possono neanche investire i soldi che hanno in cassa».

Un’ultima domanda: non le sembra di essere un po’ temerario a rilanciare il tema del Sud in un momento nel quale nel Paese c’è un forte vento antimeridionalista?
«L’errore più grosso è quello di una contrapposizione tra Nord e Sud. Aprire un tavolo per rilanciare la politica a favore del Mezzogiorno è nell’interesse dell’intero Paese. Una sfida che non si ripropone nei termini di un meridionalismo “piagnone” che chiede i soldi per l’assistenza. Ma nell’ottica di un progetto sviluppo».

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