Intervista
2 luglio 2009

INTERVISTA AL QUOTIDIANO GRECO "ELEFTEROTIPIA"

di Elizabeta Kazaloti


Nella sua ultima visita in Grecia che risale al maggio scorso lei ha partecipato ad un congresso sul futuro della Socialdemocrazia. Si tratta di un argomento particolarmente attuale dopo la sconfitta della maggioranza dei partiti socialdemocratici alle elezioni europee.

In quel convegno ad Atene avevamo previsto la sconfitta della maggioranza dei partiti socialdemocratici alle elezioni europee. Avevamo anche previsto che la Grecia sarebbe stata probabilmente una delle eccezioni .
Non ci sono dubbi sul fatto che la sconfitta dei partiti socialdemocratici europei sottolinea la profonda crisi che il centrosinistra sta attraversando in questo momento. Come dissi a suo tempo ad Atene, per parlare di questa crisi è però necessario prendere le mosse da quello che si presenta per la socialdemocrazia come un sorprendente paradosso.
Infatti, la crisi mondiale che stiamo attraversando segna un profondo cambiamento d’epoca. Non si tratta soltanto di una crisi finanziaria e economica. Si tratta anche di una crisi politica e culturale. E’ evidente che si sta chiudendo un ciclo caratterizzato da una globalizzazione senza regole, dal dominio dell’ideologia ultra liberale. Tramonta l’illusione dogmatica dell’infallibilità del mercato. Così al centro del dibattito pubblico tornano idee che sono proprie della tradizione socialista. Anzitutto la necessità che siano la politica e le istituzioni democratiche a orientare e regolare lo sviluppo economico, perché solo a questa condizione lo sviluppo capitalistico si può conciliare con i principi della democrazia, della giustizia sociale e della tutela delle libertà individuali.
Sul piano politico è in corso un grande cambiamento che si rispecchia nella svolta degli Stati Uniti, dove si è conclusa la stagione neoconservatrice, quella delle decisioni unilaterali e delle politiche aggressive. Ma – ecco il paradosso di cui parlavo – di fronte a questa grande svolta, che potrebbe rappresentare una opportunità per dare le nostre risposte e rilanciare una nuova stagione riformista, sembra proprio il socialismo in Europa ad essere più in difficoltà. Mentre in tanta parte del mondo le risposte alla crisi sono governate dai progressisti (pensiamo agli Stati Uniti, ma anche al Brasile, all’India, al Sud Africa), gran parte del nostro continente è oggi governata da una leadership conservatrice, da una destra nazionalista, populista, talora apertamente reazionaria e razzista. Sembra, cioè, ripetersi la divisione degli anni Trenta del secolo scorso, quando di fronte alla grande crisi e alla grande depressione, in America si affermò il New Deal mentre nel cuore dell’Europa prevalsero il nazionalismo, il fascismo e l’antisemitismo.

Come spiega questa nuova svolta a destra ?

Vede, l’Europa è per eccellenza il continente della paura. Il timore dell’aggressiva competitività delle economie asiatiche; la paura degli immigrati che sconvolgono la nostra organizzazione sociale e che, soprattutto oggi, con la crisi e la disoccupazione, appaiono ai più poveri come un nemico e una minaccia; la paura del terrorismo e dell’Islam che hanno accresciuto la sensazione di vivere in una fortezza assediata, il bisogno di ricollegarsi a un’identità civile e religiosa forte e radicata. La destra europea, nazionalista e populista, ha sfruttato queste paure e in molti paesi si è presentata, proprio alle classi sociali più deboli, come la forza in grado di proteggere le persone e di garantire gli interessi ed i valori costituiti. La destra ha offerto soluzioni semplici e regressive, con il ritorno ai valori tradizionali, l’uso politico della religione, rispondendo al malessere dei lavoratori e dei ceti produttivi, alimentando illusioni protezionistiche o sollecitando le ostilità nei confronti degli immigrati. E’ anche vero, però, che nella seconda metà degli anni Novanta, la maggioranza degli europei si rivolse a noi, al centrosinistra, per cercare una risposta e una difesa di fronte alle sfide della globalizzazione. Ma noi non siamo stati complessivamente in grado di dare una risposta positiva alla domanda di questa larga opinione pubblica.

E’ indubbiamente un dato di fatto che i partiti del centrosinistra non sembrano piu convincere gli Europei , e anche vero pero che le crisi ci portano all’autocritica .Vi accusano per esempio spesso di aver adottato la terza via quella dei laburisti inglesi.

I socialisti europei si sono sostanzialmente divisi di fronte alla sfida della globalizzazione. In alcuni paesi e in alcuni partiti ha prevalso l’illusione che gli effetti della globalizzazione potessero essere contenuti e che si potesse difendere l’assetto del welfare state attraverso una impostazione tradizionale e, a volte, persino antieuropea, come ad esempio e’ accaduto in Francia. Dall’altra parte vi sono stati partiti e leader che hanno invece cavalcato con entusiasmo il capitalismo globale nel nome della terza via, anche con atteggiamenti subalterni ad una ideologia ultraliberale. Hanno innovato il nostro lessico: non hanno più parlato di employment preferendo l’espressione employability, hanno sostituito la parola tutela con la parola opportunità, hanno lasciato da parte la parola welfare parlando di education. Tutti noi – chi più chi meno – abbiamo avvertito l’influenza di questa innovazione che ha avuto la sua origine soprattutto nel New Labour. Certamente questo ci ha aiutato ad assicurare ai socialisti ancora una stagione di governo. Ma non siamo riusciti a porre rimedio alle diseguaglianze sociali crescenti generate dallo sviluppo senza regole del capitalismo globale e siamo apparsi sostanzialmente nel solco di una cultura neoliberale e quindi coinvolti anche noi tra le forze responsabili della crisi di oggi. Il problema è che il socialismo europeo, sia nelle sue componenti più tradizionali, sia nei settori più innovativi, non è riuscito, di fronte alla globalizzazione, ad andare oltre all’orizzonte del riformismo nazionale. In particolare – questa è la mia opinione – la grande opportunità legata al processo d’integrazione politica dell’Europa è stata colta solo in piccola parte. Dopo l’avvento della moneta unica, sarebbe stato il momento per un salto di qualità. Era necessario armonizzare le politiche di sviluppo, le politiche fiscali e di bilancio, le politiche della ricerca e dell’innovazione. Era necessario costruire una vera Europa sociale e governare insieme ed in modo solidale la sfida dell’immigrazione. Questo, però, non e stato fatto.

Lei parla spesso anche di un deficit di giustizia sociale che si e accumulato negli ultimi anni.

Sì, è vero. Penso che mai come in questo momento è apparso chiaro quanto il lavoro – non soltanto il lavoro dell’operaio ma anche quello dell’artigiano e del piccolo imprenditore – sia stato penalizzato dallo sviluppo distorto degli ultimi 15 anni, che ha avvantaggiato la rendita finanziaria e la speculazione.
Il tema della democrazia torna ad essere centrale nella visione dei progressisti ed anche fondamentale per ristabilire un rapporto forte con le opinioni pubbliche dei nostri paesi. A tutti i livelli: democrazie dei lavoratori nelle aziende, democrazia dei consumatori, dei risparmiatori e degli utenti, come diritto alla partecipazione, al controllo e alla trasparenza. Democrazia che produce forti istituzioni sovranazionali in grado di orientare lo sviluppo verso obiettivi condivisi non solo quantitativi, ma anche di promozione umana.
Il secondo grande tema per fare avanzare una risposta progressista alla crisi è quello dell’uguaglianza. Negli ultimi anni abbiamo preferito parlare di eguaglianza delle opportunità. Questo va bene, è giusto, ma contemporaneamente bisogna riprendere con decisione un impegno per una distribuzione più equa della ricchezza. Nel corso di questi anni si sono prodotte diseguaglianze intollerabili tra paesi ricchi e paesi poveri, ed anche all’interno delle nostre società. Malgrado la crescita significativa della ricchezza globale, è aumentata smisuratamente la povertà e la diseguaglianza sociale nella larga maggioranza dei paesi sviluppati. Tutto questo, oltre a produrre società ingiuste, rappresenta una delle ragioni della crisi economica. La distribuzione ineguale della ricchezza, infatti, non sostiene la crescita dei consumi e del mercato interno, e svalorizza lavoro: abbassa il livello retributivo, riduce le motivazioni dei lavoratori, causando ,in definitive, una ridotta produttività del lavoro.

Per parlare dell’Italia …. tutti si chiedono come mai Berlusconi si trovi ancora cosi in alto nelle preferenze degli Italiani mentre il centrosinistra non sembra riuscire ad arginare il fenomeno.

Il fenomeno Berlusconi rispecchia la profonda crisi politica ed ideologica che l’Italia sta attraversando in questo momento. Un politico come Silvio Berlusconi non avrebbe avuto alcuna possibilità di restare al governo così a lungo in un momento storico differente. Egli appartiene proprio a quella destra populista di qui parlavo in precedenza. Il problema riguarda la risposta che sapranno dare le opposizioni e, in particolare, il Partito Democratico, che in queste settimane sarà impegnato nel proprio congresso. Un appuntamento molto importante, dal quale mi auguro che il PD esca con una proposta forte e convincente per il futuro del Paese, in grado di raccogliere la sfida ed affrontare le grandi questioni che abbiamo di fronte.

Quali sono i suoi rapporti con il leader del partito socialdemocratico greco Giorgio Papandreou.

Con Papandreou ho collaborato piu volte nel passato. Credo che rappresenti l’esempio di un nuovo leader socialdemocratico decisamente progressista, aperto al dialogo e senza pregiudizi. Un leader alla Obama, per intenderci, che potrebbe effettivamente portare un vento innovativo nei meccanismi ormai arrugginiti della politica tradizionale.

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