Discorso
7 ottobre 2008

“Il territorio come capacità collettiva”- Intervento di Massimo D’Alema

convegno della Fondazione Italianieuropei e della Fondazione Cloe - Fiesole, 10 ottobre 2008


Siamo di fronte ad un grande sconvolgimento dell’economia mondiale. Ancor di piu’, siamo di fronte ad un cambiamento d’epoca. Questa crisi segna il tramonto di una intera stagione di cultura ultraliberista, la fine della teoria della globalizzazione come dominio di un mercato senza regole e senza istituzioni. Il problema, ora, e’ che la politica deve riprendersi le proprie responsabilità nel guidare i processi, nel fare le riforme, nell’indirizzare l’economia, nel sostenere la crescita. Se la politica non fa questo, allora è inevitabile che si lasci campo aperto ad un capitalismo selvaggio, dominato dalla logica del profitto immediato, che alla fine può condurre a crisi molto gravi come quella che stiamo vivendo.
Gli Stati Uniti sono l’epicentro di questa crisi che ha evidenziato un vuoto di politica e la mancanza di una capacità regolativa. Si è teorizzata la deregulation come condizione dello sviluppo, della crescita della ricchezza, attraverso un modello fondato sull’uso spregiudicato della leva finanziaria, sull’indebitamento delle famiglie. Un meccanismo di consumi che si è autoalimentato drenando ricchezza da ogni parte del mondo. In questi anni il capitalismo americano si è fondato soprattutto sulla deregulation, sulla finanziarizzazione e anche su un’economia di guerra, perche’ la spesa militare ha rappresentato un volano che ha premiato l’industria militare e l’industria del petrolio. Non e’ un caso che, oggi, sono questi i settori che sostengono la campagna dei Repubblicani, mentre un’altra parte del capitalismo americano, che punta su nuove tecnologie, nuove fonti di energia, telecomunicazioni, sostiene la spinta verso un cambiamento all’interno dei Democratici. In America tutto questo avviene in maniera trasparente. E’ sufficiente partecipare alla riunione annuale della Fondazione Clinton e vedere chi sono gli sponsor per capire come si schierano le grandi corporation, le grandi compagnie, i grandi gruppi. Si è aperto uno scontro dal quale mi auguro venga fuori una trasformazione del meccanismo di sviluppo.
Dunque, si parla della necessita’ del ritorno della politica. Oggi c’è un bell’editoriale di “Le Monde” nel quale si sottolinea questo bisogno. E’ un tema internazionale… Ma attenzione, perche’ vi sono modi molto diversi attraverso cui la politica puo’ tornare in campo, anche non necessariamente positivi. E’ stato ricordato che dalla grande crisi del ’29 si uscì con un forte ritorno della politica, ma in Germania essa prese la forma del nazismo, in Italia si manifesto’ con il consolidamento del regime fascista e il grande processo delle nazionalizzazioni, mentre in America produsse la stagione del New Deal.
Il ritorno della politica, allora, puo’ assumere forme differenti. Certo, noi riteniamo quantomeno discutibile l’intervento della politica per limitare la concorrenza o, addirittura, per socializzare le perdite e garantire il potere di ristretti gruppi la cui forza non è più nella capacità di competere sul mercato, ma nel rapporto con il sistema politico. In questo senso, giudichiamo molto duramente il fatto che la politica abbia deciso di accollare agli italiani i debiti di Alitalia, il costo degli esuberi e poi si sia chiamato un gruppo di imprenditori, trasformando davvero, in questo caso, Palazzo Chigi in una sorta di banca d’affari.
Continuo a pensare che questo Paese da una parte ha bisogno di una politica autorevole, dall’altra ha bisogno di un processo di liberalizzazione in tanti campi. Non c’e’ dubbio che, al di fuori degli eccessi di un liberismo ideologico, al Paese occorra maggiore competizione e valorizzazione del merito. Bisogna combattere in tanti campi contro rendite corporative e questo lo si fa anche aprendo mercati competitivi. Forse, in qualche caso, abbiamo privatizzato senza aver adeguatamente liberalizzato. Dico questo come motivo di riflessione autocritica, perche’ bisogna stare attenti a sbandare, oscillando da un eccesso all’altro.
Soprattutto e’ necessario guardare alla qualità dell’azione pubblica che, a mio parere, non sta nella costruzione di un rapporto collusivo con il potere economico. Questo, in fondo, è il vero rischio italiano. Parliamoci chiaro: e’ evidente che siamo in una situazione in cui la concentrazione di potere politico, finanziario, economico, mediatico è anomala. E questo e’ il modo peggiore di uscire dal capitalismo selvaggio. Lo dico senza polemica, parliamo in sede di fondazione culturale, in sede di analisi. C’e’ una sorta di oligarchia che controlla, allo stesso tempo, il potere economico e il potere politico. Se, in più, aggiungiamo il controllo dei grandi mezzi di informazione, abbiamo chiuso il cerchio.
Quindi, occorre certamente il ritorno sulla scena della politica, ma in forme tali da valorizzare i processi democratici. Noi ci siamo battuti, in questi giorni, per la centralità del Parlamento e per l’assoluta trasparenza, che e’ ancor più necessaria nella situazione del nostro Paese: il governo entra in campo per salvare le grandi banche e il Tesoro rischia di trovarsi azionista delle principali istituzioni finanziarie, sia pure con alcune limitazioni; il governo decide e a capo del governo c’e’ uno degli uomini più ricchi d’Italia, la cui figlia fa parte del Consiglio di Amministrazione della principale istituzione. E’ evidente che c’è un enorme problema di trasparenza e che in queste operazioni il principio dell’accountability diviene fondamentale. Qualita’, trasparenza, responsabilita’, rendiconto di cio’ che si fa sono obbligatori nel momento in cui, necessariamente, l’azione pubblica torna ad essere centrale. In caso contrario, vi e’ il rischio che ne usciamo con un Paese più piccolo, impoverito non soltanto dal punto di vista economico, ma anche nel suo pluralismo. Da giovane avevo illusioni forse un po’ diverse, poi ho capito che dobbiamo convivere con il capitalismo. Ma proprio per questo voglio un Paese in cui ci siano molti capitalisti in competizione tra loro. Altrimenti, se ce n’è uno solo che comanda, non è più neanche capitalismo, è un’altra cosa.
Qualità dell’azione pubblica e trasparenza delle decisioni, rendendo edotti i cittadini, sono aspetti fondamentali se non vogliamo gettare il bambino con l’acqua sporca, laddove il bambino è la concorrenza, il merito, mentre l’acqua sporca e’ la deregulation, la speculazione. Oggi, ad esempio, abbiamo fatto un piccolo passo verso la trasparenza, ma c’è voluta una interrogazione parlamentare del deputato del Pd Francesco Boccia per apprendere che nei portafogli delle famiglie italiane ci sono un miliardo e 800 milioni di euro di titoli della Lehman Brothers e che il Tesoro ha fatto operazioni con derivati della Lehman Brothers per un miliardo e 250 milioni di euro. Si tratta di dati di Banca Italia riferiti dal sottosegretario all’Economia perché vi e’ stata una sollecitazione. Il modo migliore di evitare il panico è la trasparenza e mai come in questo momento è fondamentale sapere cosa succede.
La trasparenza delle decisioni pubbliche e’ sempre una buona regola, ma –ripeto- in un Paese come il nostro, dove l’accavallarsi di potere politico e potere economico è così patologico, essa diventa un punto essenziale del funzionamento della democrazia. Tutto cio’ fa parte dell’atteggiamento e dell’azione di una opposizione responsabile, al di fuori del tormentone di chi e’ o non e’ per il dialogo. Tra l’altro osservo anche che è inutile essere per il dialogo con qualcuno che non vuole dialogare. Dunque, il problema non e’ questo, bensi’ quello di un’opposizione responsabile, concreta nelle proposte che avanza, esigente dal punto di vista della trasparenza delle decisioni pubbliche. Questo è l’interesse del Paese e noi cercheremo di farlo.
Grazie

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