Discorso
28 settembre 2010

CONGRESSO LABOUR PARTY – "EUROPE IN THE WORLD: ACTION TO MATCH AMBITION" - INTERVENTO DI MASSIMO D’ALEMA

8.30-9.30 am
Manchester Central, Charter Suite 3


Cari amici,
per cominciare vorrei ringraziarvi per avermi invitato a questo iniziativa politica così importante. Tre giorni fa vi siete gettati il passato alle spalle per andare avanti, scegliendo il vostro nuovo leader. Oggi sono lieto di avere l’opportunità di usare questo palco per congratularmi con lui ed augurargli un grande successo. Il suo lavoro non sarà semplice: dovrà affrontare sfide cruciali e una grande aspettativa degli elettori. Dovrà guardare avanti e avere il coraggio di guidarvi nel rinnovamento del partito. Sono sicuro che sarà in grado di ribaltare il trend negativo che ha caratterizzato il Labour negli ultimi anni, così come l’intera sinistra europea.
Rinnovamento è anche uno dei mandati principali di cui è investita la Feps, che ho l’onore di presiedere dallo scorso giugno. Rinnovamento della socialdemocrazia e rinnovamento del pensiero politico europeo sono gli elementi principali della sua missione. Think tank come la Feps lavorano su un livello differente e con priorità diverse rispetto ai partiti politici. Ma lo scambio intellettuale e il supporto teoretico che possono offrire ai partiti sono essenziali, in particolar modo nel momento in cui il futuro politico del centrosinistra nell’Unione Europea appare problematico e risulta un imperativo sostenere gli obiettivi della socialdemocrazia e dei progressisti.
Vorrei adesso parlare della questione al centro della nostra sessione. Quando sono stato invitato a questa conferenza come presidente della Feps, mi fu detto che il tema sarebbe stato l’Europa. La mia prima reazione fu di sorpresa, perché sono profondamente consapevole che parlare di questo argomento davanti ad una platea britannica non è un compito semplice. Ricordo che quando ero Primo Ministro, fui ricevuto da Tony Blair a Downing Street. Alla fine del nostro incontro, mentre mi avviavo verso l’uscita per parlare alla stampa, Blair mi fermò per darmi un suggerimento. “Per favore – disse – quando parli con i giornalisti, non menzionare la questione dell’armonizzazione fiscale all’interno della Ue. Uno può parlare facilmente di queste cose in Italia, ma l’opinione pubblica britannica, che può ascoltare proposte rivoluzionarie, questo non lo tollererebbe”.
E’ passato molto tempo da allora e spero che voi, adesso, siate indulgenti con me, perché ho intenzione di dirvi e di ripetere che noi abbiamo bisogno di Europa. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un’Europa più intergrata, di istituzioni europee più solide, di un coordinamento delle politiche economiche più convincente ed efficiente. Abbiamo bisogno di agire in modo più credibile sullo scenario globale. Ciò detto, vorrei aggiungere che questi sono obiettivi che devono essere perseguiti dai progressisti. E non possono essere raggiunti senza di voi, senza il contributo della Gran Bretagna.
Noi abbiamo bisogno di voi. Permettetemi di dire che anche voi avete bisogno dell’Europa.
E’ la crisi che stiamo attraversando, i cui effetti economici e sociali sono tutt’altro che finiti (possiamo ancora percepirli chiaramente), che ci porta a questa conclusione. Le grandi trasformazioni in atto nel mondo ci portano a questa conclusione.
Il mondo, oggi, è molto più asiatico e molto meno europeo di quanto fosse venti anni fa. E’ più globale e meno europeo. Il suo centro di gravità sta scivolando verso l’Asia. In primo luogo la Cina, poi l’India. Per non parlare del ruolo crescente giocato da Paesi come il Brasile e il Sud Africa.
Che cosa sta facendo l’Europa? Sta combattendo con il suo tasso di crescita quasi piatto. Soltanto pochi anni fa, l’Europa sembrava essere una potenza in ascesa, era stato appena introdotto l’Euro e l’Unione Europea stava diventando il mercato integrato più grande del mondo. Ciò che mancava era la riforma delle sue istituzioni, che avrebbe fatto della UE una delle colonne portanti del sistema internazionale.
Il Trattato di Lisbona, che avrebbe dovuto portare a questo risultato, è entrato in vigore meno di un anno fa, ma il pessimismo è, in questo momento, il sentimento predominante. In effetti la grande opportunità che il Trattato aveva offerto non è stata ancora colta appieno.
Il problema cruciale sta nell’Europa stessa. La tentazione di ricorrere alla rinazionalizzazione delle politiche serpeggia per il continente. Proprio quando l’Unione Europea si trova sotto pressione a causa delle sfide globali in un sistema internazionale altamente competitivo, l’istinto dei governi europei è di ritornare ad un processo di decisione nazionale.
Qui c’è un chiaro paradosso. Proprio quando la struttura e le capacità peculiari della UE sembrerebbero essere più che mai attuali e necessarie a livello globale, l’Europa è come se ambisse al suo passato fatto di Stati nazione. L’esempio della reazione alla crisi speculativa in Grecia è indicativo: l’atteggiamento esitante tenuto dai governi sembrava volerci mettere in guardia che le nostre riserve di solidarietà stanno quasi per esaurirsi.
La decisione finale presa per salvare la Grecia e sostenere i Paesi più indebitati è molto importante, ma solo nella misura in cui non si tratterà di soluzioni di emergenza. Dovranno rappresentare, invece, l’inizio di un nuovo corso delle politiche economiche e finanziarie delle quali la UE ha fortemente bisogno.
Fino ad ora i governi conservatori europei, piuttosto che lanciare programmi di investimento e sviluppo per affrontare la crisi, hanno introdotto una fase di austerità, lasciando i cittadini europei soli di fronte alla disoccupazione e ad altri drammi sociali.
In verità, il problema dell’Europa non sta tanto nel debito, quanto nella mancanza di crescita. Ciò di cui abbiamo bisogno è un nuovo tipo di crescita. Ma dove sono i nuovi programmi di investimento nell’innovazione, nelle tecnologie verdi, nella ricerca scientifica, nell’istruzione?
Questa è la nuova frontiera e noi possiamo farcela solo se rimaniamo uniti, perseguendo i nostri obiettivi comuni senza abbandonare nessuno Stato.
Vorrei sottolineare che sono tutt’altro che pessimista. Penso, per esempio, che l’Eurozona non collasserà. Sebbene le tensioni siano sempre possibili, i benefici sono tanti, non solo per i Paesi più deboli, ma anche per quelli più stabili. In effetti, credo che alla fine l’Europa, come ha fatto altre volte in passato, trarrà dalla crisi la forza necessaria per stimolare una gestione più efficiente dell’Unione Economica e Monetaria.
Questo è il momento per sfruttare il potenziale dell’Europa nel sostenere la crescita. Se non cogliamo questa occasione, l’influenza dell’Unione europea sulla scena internazionale si indebolirà progressivamente.
Quando il processo di integrazione europea cominciò, circa sessant’anni fa, gli obiettivi principali erano sanare le ferite interne del Continente, riparare i sistemi economici e politici distrutti dalla guerra e garantirgli ciò che non aveva mai conosciuto prima: una pace duratura.
Al contrario, le sfide alle quali la UE è chiamata a rispondere oggi sono esterne e non possono essere affrontate dai singoli Paesi. Il cambiamento climatico, il terrorismo, la crescita economica, la povertà e la redistribuzione della ricchezza sono compiti ardui per governi isolati in un modo sempre più globalizzato. Possono essere trattati in modo efficace solo a livello sovranazionale e gli europei hanno la forma democratica più avanzata di governance della globalizzazione.
Per quando riguarda il ruolo dell’Europa sulla scena internazionale , nonostante il fatto che il Trattato di Lisbona introduca nuove istituzioni cardine (il presidente permanente del Consiglio europeo, il nuovo Alto Rappresentante che è anche vice presidente della Commissione e il Servizio europeo di Azione esterna), e nonostante l’impegno di Catherine Ashton, rimane ancora molto da fare.
Il servizio diplomatico dell’Unione, che dovrebbe essere pronto per l’inizio di dicembre, rafforzerà la coerenza tra le diverse dimensioni e i diversi strumenti dell’azione esterna europea, forgiando un vero corpo diplomatico della UE. Su questo punto, Lady Ashton sta lavorando nella giusta direzione e l’accordo di Madrid con il Parlamento Europeo rappresenta un passo avanti positivo. Ma la mera esistenza di questa istituzione non garantisce una migliore capacità di agire sulla scena internazionale, a meno che dietro di essa non vi siano forti politiche.
La mia opinione è che l’Unione abbia bisogno in primo luogo di migliorare le sue performance nelle regioni circostanti, dai Balcani al Mediterraneo.
Inoltre, per sostenere la sicurezza europea, dobbiamo avere altre due priorità: le relazioni con la Russia e con la Turchia. Sfortunatamente , ancora non abbiamo un approccio comune verso di loro.
Dobbiamo sapere, però, che queste sono le condizioni per costruire una sufficiente credibilità per agire a livello globale.
Queste sono le premesse per condividere le responsabilità con gli Stati Uniti. Fino a questo momento, gli sforzi europei sono stati insufficienti per incoraggiare e sostenere, ad esempio, le azioni del presidente Obama in Medio Oriente. Proprio in questi giorni corriamo il rischio che nuovi insediamenti israeliani, che erano stati bloccati per 10 mesi, mettano in pericolo i negoziati in corso. Per questa ragione, abbiamo bisogno di una iniziativa europea risoluta.
Proprio nel momento in cui l’Amministrazione statunitense ha introdotto un nuovo approccio multilaterale nelle relazioni internazionali, che gli europei attendevano da tempo, e ha deciso che il conflitto israelo-palestinese costituisce una della priorità di sicurezza nazionale, l’Unione Europea è scomparsa dalla scena.
La questione dei nostri impegni internazionali mi induce a parlare di un’altra questione, che considero di importanza cruciale. Alla luce delle attuali sfide alla nostra sicurezza, lo sviluppo di una Difesa europea ovvero la nostra capacità condivisa di dispiegare forze al di là dei confini europei, è la condizione per essere capaci di farci carico delle nostre responsabilità internazionali. Inoltre, rappresenterà un simbolo della trasformazione da una Europa regionale ad una Europa globale.
Quindi l’Europa non ha ancora perso la partita. Come ho cercato mettere in evidenza, abbiamo importanti carte da giocare. Per fare questo, però, dobbiamo capire che l’unità del nostro Continente non è tanto una scelta, quanto una necessità.
Il mondo del G8 è finito. L’orgoglio nazionalistico delle vecchie potenze europee riflette la nostalgia per un mondo che non c’è più. Dobbiamo andare avanti utilizzando appieno le nuove opportunità offerte dal Trattato di Lisbona e promuovere forme più inclusive di governance globale nelle quali realizzare le nostre comuni ambizioni. Dovremmo adottare una sola voce in ogni forum internazionale, particolarmente in quelli finanziari, perché una rappresentanza unita darebbe alla UE la vera capacità contrattuale che le manca oggi. Dobbiamo anche essere consapevoli, che ci piaccia o meno, che l’Europa alla fine avrà un’unica rappresentanza.
In questo scenario ricco di sfide, sono convinto che il compito dei progressisti sia quello di incalzare per ottenere di più. Dovremmo lasciarci alle spalle l’atteggiamento timido e di basso profilo degli ultimi anni. Dovremmo assumerci più rischi per cogliere il vento del cambiamento internazionale. E’ nell’interesse dei progressisti dare valore e forza agli strumenti e ai meccanismi europei. Le forze europee che governano la gran parte dell’Europa – spesso populiste e nazionaliste, talvolta apertamente reazionarie e razziste - hanno una visione strumentale e riduttiva delle istituzioni europee, che considerano nient’altro che un’arena per il compromesso tra governi. I conservatori europei sono stati capaci di offrire solo soluzioni regressive ai problemi più urgenti e le loro politiche non sembrano più in grado di aprire nuove prospettive.
Tocca dunque a noi essere ambiziosi e avere una visione per l’Europa del nuovo Millennio, agire con coraggio e solidarietà per andare oltre l’esperienza del socialismo del Ventesimo secolo, per mettere il progetto politico europeo al centro della nostra piattaforma.
Vogliamo una Unione europea più forte per il futuro dei nostri figli e perché i valori europei contino di più nel mondo. La democrazia, la difesa dei diritti umani, la giustizia sociale sono nate nel nostro Continente e dunque spetta a noi preservare e sostenere questi principi per costruire una globalizzazione giusta e umana.


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