Discorso
25 gennaio 2011

EUROPA STRATEGICA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE

Articolo di Massimo D’Alema e Hans-Gert Pöttering, pubblicato sul Messaggero


L’Unione europea ha le potenzialità per essere un partner equo nella ricerca della pace tra israeliani e palestinesi, che per decenni si è fondata sulla visione di uno Stato palestinese in pacifica convivenza e cooperazione con Israele. Molte speranze sono state riposte sul presidente Obama, che all’inizio della sua Amministrazione hanno tentato di imprimere slancio al processo di pace esercitando appieno l’influenza dell’ultima superpotenza rimasta. Tuttavia, dopo mesi di scrupolosi negoziati, gli Usa hanno rinunciato a premere su Israele affinché quantomeno congelasse gli insediamenti.
Nonostante tutto ciò equivalga ad ammettere la fine di negoziati basati su intese temporanee sulla scia degli accordi di Oslo, è ancora viva l’idea della soluzione dei due Stati.
Alla luce di quest’ultimo fallimento, piuttosto che continuare con azioni frettolose, è necessario dare priorità a nuove idee e approcci. Non si possono ripetere gli errori del passato e dobbiamo prendere atto che nel conflitto israelo-palestinese si è rivelato sbagliato l’assunto secondo cui il dialogo – qualsiasi dialogo – sia comunque preferibile al nulla. Infatti il fallimento dei negoziati ha un prezzo molto alto: incrina la fiducia delle parti in conflitto; riduce le speranze di palestinesi e mondo arabo che negoziati pacifici possano dare risposte positive alle aspirazioni palestinesi; non interviene sulla politica degli insediamenti.
L’insuccesso della leadership americana è dovuto anche alle debolezze dell’Europa. Infatti il passato dimostra chiaramente che insieme Europa e Stati Uniti possono raggiungere risultati significativi. Per questa ragione la Ue, che più volte ha dato prova di capacità complementari a quelle degli Usa, è oggi chiamata a intervenire. Ciò anche in considerazione che la leadership americana è stata ostacolata dalla sua “special relationship” con Israele, che le ha impedito di spingere quest’ultimo a fare concessioni. Al contrario, l’Unione europea ha sviluppato un approccio più equo: il diritto di Israele a vivere entro confini sicuri e il diritto dei palestinesi a l’autodeterminazione nazionale hanno stessa legittimità.
Se per ipotesi mettessimo da parte la soluzione dei due Stati, resterebbero sul tappeto solo due alternative: la creazione di un unico Stato israelo-palestinese oppure il mantenimento dello status quo. La prima opzione non è fattibile, la seconda è inaccettabile. Si deve quindi tornare all’unica soluzione possibile, quella dei due Stati, cercando però un nuovo, diverso approccio.
La Ue dovrebbe innanzitutto annunciare – possibilmente in coordinamento con gli Usa e con il Quartetto – la pubblicazione, entro una precisa scadenza, della mappa del futuro Stato palestinese, i cui confini dovrebbero essere stabiliti in base a quelli precedenti la guerra del ’67 (inclusa l’opzione di eventuali scambi di territori). Successivamente dovrebbe riconoscere lo Stato palestinese.
Chiediamo all’Alto Rappresentante Lady Ashton di dare priorità a questo percorso, che dovrebbe includere ed essere armonizzato al piano - sostenuto dalla Ue - del primo ministro palestinese Salam Fayyad, il cui obiettivo di costruire infrastrutture di uno Stato palestinese entro il prossimo agosto ha fatto passi avanti. Una posizione europea così chiara e decisa incentiverebbe le due parti a rispettare le scadenze.
Verrebbe così superato il problema fondamentale della asimmetria formale tra Israele e Palestina,tra i principali difetti del processo di Oslo. Allo stesso tempo, la Ue dovrebbe impegnarsi a condannare ogni uso illegittimo della forza da parte di qualunque attore, esercitando la propria influenza per porvi fine immediatamente; i palestinesi sarebbero incentivati a riunificare i propri governi; Hamas dovrebbe dichiarare la propria disponibilità a riconoscere Israele; l’Autorità palestinese dovrebbe convincere i suoi elettori a concederle un mandato democratico, cosa che ancora non è successa.
La Ue dovrebbe sostenere libere elezioni a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e a Gaza, dichiarando al tempo stesso che riconoscerebbe il governo democraticamente eletto (sebbene non necessariamente tutte le sue proposte politiche), inclusa l’ipotesi di un esecutivo di unità nazionale con Hamas.
Questo esorterebbe gli israeliani a preparare la fine dell’occupazione. Non sarebbero solo indotti a congelare le attività di insediamento, ma a pianificare quali insediamenti smantellare, quali tenere e quali territori offrire ai palestinesi in compensazione. Israele per la prima volta sarebbe motivato a definire i propri confini.
In questo quadro e con il ruolo determinante dell’Europa, le parti potrebbero cominciare ad affrontare questioni fino ad ora non toccate, come la gestione dell’acqua e progetti energetici e economici sostenuti dalla Ue secondo il modello del piano Schuman, che sessant’anni fa, dopo le guerre che dilaniarono il vecchio continente, gettò le basi per una pace duratura in Europa.
Indubbiamente, le idee qui tratteggiate sono ambiziose. La loro realizzazione è complessa, ma i tempi sono maturi per trasformare in realtà le dichiarazioni formali, promuovendo la costituzione di uno Stato palestinese in pacifica convivenza con Israele.
D’altra parte , le recenti rivelazioni sulle trattative segrete fra l’Autorità Palestinese e Israele, la cui attendibilità deve essere senza dubbio accertata, non fanno altro che evidenziare quanto sia grave l’impasse degli attuali negoziati. Esse rischiano di creare ulteriori ostacoli e nuove incomprensioni fra le parti in conflitto e fra gli stessi Palestinesi. Senza più alcuna reticenza, ora è urgente più che mai un ulteriore sforzo degli Stati Uniti e dell’Europa per imprimere nuovo slancio ai negoziati di pace.

Massimo D’Alema (ex primo ministro e ministro degli Esteri, presidente della Fondazione Italianieuropei e della Feps), e Hans-Gert Pöttering (europarlamentare, ex presidente del Parlamento Europeo, attuale presidente della Fondazione Adenauer)

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