Discorso
3 dicembre 2009

"Unione europea - America Latina: i cammini dell'integrazione" - intervento di Massimo D'Alema

IV Conferenza nazionale Italia - America Latina e Caraibi. Palazzo Mezzanotte, Milano.


Qualche giorno fa, parlando a Madrid, Enrique Iglesias, di cui abbiamo ascoltato qui il brillante intervento, diceva che se l’America Latina parlasse con una voce sola potrebbe vantarsi di detenere un terzo del PIL degli Stati Uniti d’America, il 40% dell’acqua potabile e la maggiore concentrazione di biodiversità di tutto il mondo. Ma non basta. L’America Latina, infatti, ha sul piano politico una capacità di gestione delle crisi che non aveva all’inizio degli anni Novanta. E sul piano economico vanta una serie di grandi imprese multinazionali brasiliane, argentine, messicane che, ormai, potrebbero facilitare lo sbarco del continente nel mondo.

È vero, l’America Latina di oggi non è più un continente dimenticato e vinto dalla globalizzazione, ma, grazie a una profonda trasformazione, è protagonista sullo scenario mondiale. Anche per questo è stato giusto farne uno degli interlocutori importanti della politica estera italiana. Si è trattato di un buon investimento, e non soltanto un atto dovuto nei confronti di un continente nel quale vivono quasi 50 milioni di figli e nipoti di italiani.

La grande crisi economica, politica e culturale, in questa fase della globalizzazione neoliberale, sta accelerando un cambiamento del mondo: mutamenti dei rapporti di forza, degli equilibri, delle strutture della governance internazionale. In fondo, quando nacque, il G7 rappresentava l’80% della ricchezza mondiale. Era il 1975, solo pochi anni fa.

Se noi proiettiamo l’economia mondiale di qui ai prossimi 15 anni, troveremo la Cina prima in classifica, seguita da Stati Uniti, Giappone, India e Brasile, tutti in sorpasso sulla Germania e sugli orgogliosi Stati europei, che pensano ancora di essere grandi potenze. Con l’eccezione della Germania, infatti, gli altri Paesi della vecchia Europa non figurerebbero più in cima, ma verso il fondo della graduatoria.

Questa è la realtà e con essa l’Europa deve fare i conti. La presa d’atto di questi mutamenti dovrebbe spingerla a dare un colpo di acceleratore alla sua integrazione politica, anziché rimanere prigioniera di visioni ed egoismi di tipo nazionale.

D’altra parte, anche il tramonto del G8, istituzione mondiale di cui ben quattro Paesi (cinque con la Russia) sono europei, è segno di tale trasformazione. E a rappresentare un diverso equilibrio mondiale c’è il G20, organismo in cui sono presenti, fra l’altro, tre grandi Paesi dell’America Latina. Quando si ha l’impressione che venti siano troppi, si riuniscono in due, com’è accaduto qualche giorno fa a Pechino, con l’incontro fra Barack Obama e il suo omologo cinese Hu Jintao.

L’America Latina sta uscendo bene dalla crisi, anche se con alcune differenze. Paesi come il Brasile, le cui previsioni parlano di una crescita del 7-8% per il 2010, trainano la ripresa. Altri sono maggiormente in difficoltà. Ma, complessivamente, l’America Latina è destinata a uscire da questa fase con maggiore celerità e slancio di molti Stati europei.

Una delle ragioni della crescita latinoamericana è stato l’inserimento delle economie della Regione nella globalizzazione e la fortissima integrazione con l’Asia. Un processo, questo, che si è sviluppato con estrema rapidità, in un periodo di prezzi alti delle materie prime, che sicuramente ha favorito le esportazioni agricole latinoamericane. Ma dobbiamo evidenziare e riflettere anche sul dinamismo di un sistema di rapporti Sud – Sud. Infatti, per molti anni, siamo stati abituati a pensare che tutte le relazioni importanti dovessero passare attraverso di noi, il Nord del mondo. Invece, i grandi processi di modernizzazione e di sviluppo oramai possono avvenire anche senza di noi. Basti pensare a quanto è durato il negoziato tra Unione Europea e Mercosur, e a quanto poco ha impiegato il presidente cinese a stringere accordi con Brasile, Argentina e Cile, per arrivare a conclusioni non lusinghiere per l’Europa. Penso che a volte i tempi e i modi dell’Europa non siano più compatibili con la rapidità dei cambiamenti ai quali stiamo assistendo.

Credo, però, che l’America Latina viva questa grande trasformazione in bilico fra processi positivi di integrazione e sviluppo, e il persistere del peso di nazionalismi e litigiosità che noi europei dovremmo cercare di aiutare a superare. È vero, come è stato ricordato, che l’integrazione regionale latinoamericana non ha alle spalle, come l’Europa, due guerre mondiali che hanno costretto il nostro continente a trovare nuove forme di solidarietà. Ma non dobbiamo sottovalutare il danno per l’America Latina dei risorgenti nazionalismi e delle conflittualità che essi alimentano: Venezuela e Colombia, Argentina e Uruguay, Perù e Bolivia… D’altra parte, è impressionante che la spesa militare, negli ultimi 4 anni, sia cresciuta del 91%.

Ritengo che queste conflittualità siano il segno di un insufficiente processo di maturazione politica che rallenta le potenzialità del continente latinoamericano e penso che l’Europa abbia uno straordinario know-how da esportare.

Nella collaborazione con l’America Latina si dovrebbe privilegiare tutto ciò che incoraggia politiche di integrazione, anziché affidarsi a una rete di relazioni bilaterali, privilegiando ovviamente i grandi Paesi che hanno una funzione di leadership nell’area. Naturalmente, pure nella diversità dell’esperienza latinoamericana, il ridare slancio, senza retorica, ai processi di integrazione è compito, in primo luogo, delle leadership di quel continente, e l’Europa, attraverso le sue politiche di collaborazione, può incoraggiare e favorire questo percorso.

Ci sono processi di integrazione che sono più confusi e lenti sul piano politico, ma risultano essere significativi sul piano dell’integrazione fisica, infrastrutturale, di cooperazione frontaliera nel Sud America. Ad esempio, sono fra quanti credono che la nozione di America Latina non debba disperdersi e che sia un errore l’accettazione di un mondo latinoamericano diviso nella dimensione del subcontinente e di un mondo centroamericano legato agli Stati Uniti. Ne ho discusso in tante occasioni con i miei amici brasiliani, che in qualche modo lo teorizzano. Sarebbe importante che due grandi Paesi come Messico e Brasile si sforzassero di ricostruire una dimensione latinoamericana che rischia di spezzarsi all’altezza del Canale di Panama.

Questa parte del mondo ci riguarda, c’è bisogno di una iniziativa coraggiosa e aperta da parte nostra. L’Italia ha fatto passi importanti, si è mossa nella direzione di un suo maggiore coinvolgimento nelle politiche dell’America Latina. Una delle poche decisioni prese da un Paese litigioso come il nostro è stata quella di assicurare, con una scelta bipartisan, la continuità a iniziative condivise verso l’America Latina. E’ un fatto certamente positivo.

Pur apprezzando il lavoro del governo e del sottosegretario Enzo Scotti, fa un po’ dispiacere vedere che mentre la Cina diventa socio della Banca Interamericana di Sviluppo, l’Italia ancora non trova il modo di versare la quota deliberata per entrare a far parte della Corporazione Andina De Fomento. Sappiamo come queste istituzioni siano importanti per lo sviluppo dell’America Latina e per l’interesse delle nostre imprese.

Per questo bisogna andare avanti nella direzione che abbiamo intrapreso con coerenza e con scelte che qualifichino l’Italia sempre più come uno dei Paesi maggiormente coinvolti nelle politiche europee verso l’America Latina.
Per concludere, credo che ci debba essere un salto di qualità dell’approccio europeo nei confronti di questo continente in movimento, che assume un ruolo fondamentale in un sistema di relazioni internazionali non confinato al tradizionale rapporto Stati Uniti e Europa. Guardiamo al dinamismo a tutto campo della politica estera brasiliana, che abbraccia l’Asia, il mondo arabo, l’Africa.

Per ciò occorrono tre condizioni:

- primo, avere un approccio europeo nel trovare vantaggi alle imprese, evitando la rincorsa confusa e competitiva dei singoli Paesi dell’Unione europea. Se quello che ci interessa è costruire un rapporto politico robusto e non soltanto competere fra noi europei, anche le imprese avranno maggiori opportunità. La cornice deve essere quella di un forte confronto tra l’Europa e l’insieme della realtà latinoamericana. In questo contesto, è chiaro che in Europa deve agire una lobby pro America Latina, di cui, naturalmente, facciamo parte a pieno titolo con Spagna e Portogallo;
- secondo, l’approccio non deve essere soltanto di ricerca di opportunità, ma di partnership politica sulla base di grandi interessi comuni alla stabilità, alla pace, a un sistema di governance globale più aperto e inclusivo;
- terzo, è necessario muoversi nella logica di una pari dignità. La storia degli anni Novanta in America Latina conosce anche una presenza “di rapina” da parte delle grandi imprese europee. Basti pensare al modo in cui si sono realizzati certi processi di privatizzazione. Insomma, l’apertura dei mercati è stata colta come un’opportunità soltanto in termini di ricerca del profitto. Oggi siamo preoccupati per certe reazioni populiste e nazionaliste che si manifestano in alcuni Paesi latinoamericani, ma esse sono in parte la conseguenza di un approccio europeo non sempre rispettoso degli interessi nazionali dei Paesi nei quali si andava ad operare.
Pari dignità significa costruire rapporti economici paritari, ad esempio vincendo certe tendenze protezionistiche di alcuni Stati europei in materia agricola che hanno a lungo ostacolato la costruzione di un rapporto robusto, sul piano economico, fra Ue e America Latina.

Stiamo parlando di un grande continente, che ci offre una straordinaria opportunità. Dobbiamo affrontarla insieme come europei, dobbiamo farlo nel quadro di un partenariato politico, riconoscendo ai latinoamericani pari dignità in un rapporto che, a queste condizioni, può essere di grande vantaggio reciproco. E sono sicuro che l’Italia, in prima fila nella costruzione di queste relazioni, possa trarre un sicuro beneficio.

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