Discorso
27 ottobre 2011

LE SFIDE PER L'INTELLIGENCE A VENTI ANNI DALLA GUERRA FREDDA - Discorso del presidente del Copasir, Massimo D'Alema - Berlino

Settima Conferenza degli Organismi di Controllo parlamentare sui Servizi di
informazione degli Stati membri dell'Unione europea, della
Norvegia e della Svizzera - Sala Conferenze - Bundestag


Come è, forse, a voi noto, nel 2007 è stata approvata in Italia una riforma complessiva dell’intelligence che ha istituito il “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”. Esso si compone di un’Agenzia per la sicurezza esterna (AISE), di una per la sicurezza interna (AISI) e di un organismo di coordinamento (DIS), che ha il compito di assicurare unitarietà nella programmazione della ricerca informativa. Al vertice del Sistema è collocato il Presidente del Consiglio dei ministri, che presiede anche il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR), di cui fanno parte i ministri con competenze afferenti all’intelligence e che ha funzioni di consulenza, di proposta e di deliberazione.

La riforma, che è stata approvata pressoché all’unanimità dal Parlamento italiano nella scorsa legislatura, rappresenta il tentativo di corrispondere sul piano organizzativo, normativo e funzionale alle diverse esigenze che si sono venute a determinare con sempre maggiore evidenza negli anni successivi alla caduta del Muro. La riforma ha avuto quindi una lunga gestazione in parte ascrivibile a ragioni di politica interna e al particolare ruolo dei servizi segreti negli anni della guerra fredda in Italia e in parte proprio alla difficoltà di mettere a fuoco con precisione i nuovi compiti dell’intelligence derivanti dal mutato quadro della situazione internazionale e di individuare le modalità più appropriate di tutela dell’interesse nazionale.
Si è trattato quindi di procedere ad una riqualificazione culturale e della struttura dei Servizi al fine di:

a) ridefinire l’ambito di azione dell’intelligence, estendendola alla tutela degli interessi economici, scientifici e industriali del Paese;
b) superare la precedente impostazione di tipo “militare”, riconducendo direttamente tutta l’attività di intelligence alla responsabilità politica diretta del Presidente del Consiglio;
c) creare conseguentemente una struttura di coordinamento, pur senza dar luogo ad un Servizio unitario, che svolga anche funzioni di collegamento tra le Agenzie e l’autorità politica;
d) riequilibrare il ruolo delle due Agenzie attraverso il rafforzamento di quella interna cui sono state attribuite le funzioni di controspionaggio prima in capo al Servizio esterno.

A partire dal 2007 si è avviata la fase di attuazione della riforma che ha richiesto l’approvazione di 16 regolamenti di contenuto complesso e che hanno richiesto talvolta interventi successivi di modifica. Oggi possiamo dire che sul piano normativo la riforma è a regime. Soltanto nei prossimi anni si potrà valutare se le scelte compiute sono state quelle giuste. Il Comitato parlamentare che presiedo ha partecipato a questa fase, formulando i propri pareri sui regolamenti e ottenendo significative modifiche o integrazioni. Si è determinata una intensa e leale collaborazione con il Governo. Siamo ora impegnati a verificare in concreto i risultati ottenuti.

Tale esigenza di verifica, d’altra parte, è determinata dalla complessità della realtà politica ed economica globalizzata che non consente di delineare in modo netto ed automatico il ruolo dell’intelligence, ma richiede una selezione delle priorità in una situazione che presenta gravi profili di instabilità politica ed economica. Nell’equilibrio della guerra fredda viceversa si doveva garantire assolutamente la sicurezza mediante lo strumento militare; ad essa erano subordinati gli interessi interni ed economici. I confini dei due blocchi erano netti e rigidi e presidiati da rapporti di forza militari.

In questo quadro i compiti dell’intelligence consistevano essenzialmente nel: a) prevedere con un sufficiente anticipo un eventuale attacco ostile; b) fornire informazioni al decisore politico sulla consistenza dei pericoli provenienti dal blocco avverso. Conseguentemente, i Servizi con vocazione esterna (e militare) o erano l’unico Servizio o avevano un rilievo maggiore di quelli interni, anche perché ai primi era affidata la funzione di controspionaggio.

La fine dei blocchi ha determinato prospettive completamente nuove per le attività informative poste a tutela della sicurezza. In primo luogo, gli Stati godono – in un certo senso – di una maggiore autonomia non essendo più inseriti in uno dei due blocchi. Ciò determina un incremento di responsabilità di ciascuno Stato, specie nelle crisi di carattere regionale, in mancanza dell’effetto deterrenza proprio della guerra fredda. La funzione dell’intelligence deve adeguarsi a tale diversa prospettiva.

In secondo luogo, i rischi per la sicurezza si sono moltiplicati e sono aumentati i potenziali portatori delle minacce. Il terrorismo ha costituito indubbiamente l’elemento di maggiore preoccupazione e destabilizzazione, tenuto conto anche del ruolo giocato da alcune realtà statuali. Si sono venute inoltre delineando nuove forme di attacco strettamente connesse alla globalizzazione e alla evoluzione tecnologica. La cyber war rappresenta forse oggi il rischio maggiore per le potenzialità offensive e per le difficoltà di contrasto. Anche la sicurezza economica e industriale può essere colpita aggredendo le infrastrutture informatiche come alcuni recenti episodi hanno concretamente dimostrato. I servizi di intelligence devono adeguarsi a tali nuove sfide. Per quanto riguarda la sicurezza economica si sono aperti indubbiamente inediti campi di interesse per gli organismi informativi. Una riflessione approfondita appare indispensabile per giungere a delimitare i confini delle competenze dell’intelligence in un ambito complesso in cui interagiscono interessi privati e pubblici. Si va, infatti, dalla protezione delle infrastrutture strategiche, a quella delle imprese nazionali eventualmente soggette a concorrenza sleale, al contrasto ad attacchi all’economia nazionale che possono derivare da un certo uso dei fondi sovrani o dalla violazione dei diritti di proprietà intellettuale.

E’ evidente che in questo quadro non vi è più una missione predefinita e tendenzialmente esclusiva per i Servizi (sicurezza militare), ma è il decisore politico che deve definire gli indirizzi e le priorità dell’attività di intelligence che sembra aver acquisito un maggiore rilievo rispetto al passato proprio a causa della complessità della situazione. Il tipo di informazioni che i Servizi possono fornire ai Governi è divenuto sempre più centrale nei processi decisionali. Il rapporto tra decisione politica e intelligence è quindi biunivoco, perché per definire le priorità gli organi dell’Esecutivo hanno bisogno di un quadro di informazioni “qualificato” e a loro volta i Servizi devono assolutamente essere indirizzati in un’attività di ricerca informativa che altrimenti rischierebbe di essere generica.

Naturalmente, le scelte compiute non possono essere radicalmente rimesse in discussione ad ogni cambio di maggioranza parlamentare. E’ indispensabile creare le condizioni per definire linee di fondo condivise che costituiscano la base di riferimento per l’attività degli organi di informazione e sicurezza; attività che è opportuno si svolga con carattere di continuità. Vale, quindi, ciò che si è venuto affermando per la politica estera: vi è infatti un nucleo essenziale di alleanze e di rapporti che, dopo la “caduta del muro”, deve essere preservato come patrimonio nazionale dei diversi Paesi e tendenzialmente tutelato dalle forze politiche di maggioranza e di opposizione a prescindere dalla loro contingente collocazione parlamentare.

La legge italiana del 2007 incorpora tali esigenze. Il Comitato parlamentare che presiedo, nella relazione annuale al Parlamento, approvata lo scorso 14 luglio, ha evidenziato, in proposito, le competenze che la legge istitutiva attribuisce al Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, che “elabora gli indirizzi generali e gli obiettivi fondamentali da perseguire nel quadro della politica dell’informazione per la sicurezza”. Si tratta di uno dei punti centrali della riforma, che attribuisce al massimo livello della responsabilità politica l’individuazione del “fabbisogno informativo” cui devono concorrere gli organi dell’intelligence. E’ da questo organismo che devono infatti partire gli indirizzi idonei ad ammodernare finalità e strutture, nel quadro di una “strategia di sicurezza nazionale” il cui ambito deve essere aggiornato continuativamente per adeguarlo ai mutamenti delle minacce.

Il Comitato parlamentare in questa prospettiva ha svolto un ruolo di sollecitazione nei confronti del Governo. E’ previsto che il Comitato riceva un documento approvato dal Comitato interministeriale che contiene gli obiettivi aggiornati della politica della sicurezza definiti sulla base delle indicazioni fornite dai singoli dicasteri interessati. Negli scorsi anni il Comitato parlamentare ha avanzato proposte su alcuni temi specifici. E’ stata approvata, ad esempio, nel luglio 2010 una relazione sul cyber war, in cui è stata sottolineata la necessità di definire i confini della sicurezza cibernetica nazionale, nonché di individuare il soggetto cui attribuire la responsabilità del coordinamento complessivo delle strategie di difesa. E’ tuttora in corso un approfondimento sul tema della sicurezza energetica nazionale, trattato in relazione sia agli scenari geopolitici internazionali e ai mercati delle commodities, sia alla sicurezza delle infrastrutture di approvvigionamento. Si tratta di un contributo per lo sviluppo di alcune tematiche che appaiono meritevoli di grande attenzione alla luce dei cambiamenti in atto. In presenza di risorse limitate devono essere compiute, infatti, scelte di priorità, sia dal punto di vista funzionale che organizzativo, con l’obiettivo di tutelare al massimo livello possibile gli interessi, anche economici e industriali, del Paese e la sicurezza nazionale. Pieno sostegno dal Comitato parlamentare hanno avuto le iniziative volte a riqualificare il personale dei Servizi alla luce dei nuovi obiettivi, anche attraverso l’acquisizione di competenze tecniche specifiche e la dismissione di quelle non più adeguate.

Il problema di assicurare continuità all’attività informativa è stato affrontato dalle legge di riforma anche attraverso il rafforzamento dei poteri attribuiti all’organo parlamentare di controllo. L’obiettivo della legge era quello di creare una sede bipartisan ristretta e riservata in cui il Governo potesse informare maggioranza e opposizione delle questioni di sicurezza nazionale, in modo da coinvolgere anche le forze di opposizione sia nel ruolo di controllo sia nella conoscenza degli affari più delicati. La composizione paritaria (5 deputati e 5 senatori – di cui metà appartenenti alle forze di minoranza) del Comitato parlamentare e l’attribuzione per legge della Presidenza ad un rappresentante delle opposizioni è testimonianza di tale intento. Del resto, in un sistema di alternanza di governo, questo appare l’unico modo per dare maggiori garanzie agli stessi operatori dell’intelligence di agire in un quadro di certezza e responsabilità condivise.

Vi sono quindi certamente molti profili positivi e interessanti nella riforma approvata in Italia che potranno consentire una più efficace azione della nostra intelligence. In questa sede dobbiamo però constatare che una pur ambiziosa riforma, come quella italiana del 2007, non ha toccato il tema della dimensione europea dell’intelligence. In questi anni vi sono stati certamente passi in avanti significativi nel rafforzamento della cooperazione europea che hanno interessato anche alcuni ambiti dell’intelligence, come dimostra l’istituzione del SITCEN.

E’ evidente che per la natura propria della sua funzione, l’intelligence appartiene al nucleo essenziale della sovranità statuale, dunque non è pensabile una cessione di sovranità tout court a un’organizzazione sovranazionale. E’ altresì evidente che in un mondo globalizzato dove emergono con forza nuovi protagonisti che rompono i vecchi equilibri politici ed economici, si fa sempre più urgente il rafforzamento dell’Unione europea che oggi, invece, mostra tutta la sua preoccupante debolezza. In questo quadro, un salto di qualità nella costruzione di un’Europa politica ed economica più forte non può prescindere da una stretta connessione tra politica estera, politica di difesa e strumenti di intelligence tra i Paesi membri.

E’ auspicabile che si realizzino nuovi progressi in tal senso. I Parlamenti devono svolgere un ruolo fondamentale anche per favorire un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo nella politica estera e di difesa. Occasioni come questa e lo scambio di informazioni e di esperienze tra gli organi parlamentari competenti costituiscono efficaci strumenti per perseguire tale obiettivo.

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