Intervista
3 gennaio 2012

MERKEL E SARKOZY HANNO FALLITO. MONTI LAVORI PER UNA SVOLTA

Intervista di Carlo Fusi – Il Messaggero


primopianogb1925_img.jpg
Comincia il 2012, anno decisivo sotto tanti profili, non solo quello dell’emergenza economica. E Massimo D’Alema ha un paio di cose da dire: al governo e al centrosinistra. «Oltre l’orizzonte del governo Monti - sottolinea il presidente del Copasir - o c’è una svolta politica in Italia e in Europa, oppure a mio avviso da questa crisi non si esce. Il centrosinistra deve essere il motore di questa nuova impostazione. Questo è il nostro compito fondamentale. Noi sosteniamo con senso di responsabilità e sincero apprezzamento l’esecutivo, tuttavia la natura dei problemi che abbiamo di fronte richiede un progetto politico di medio-lungo periodo. Che riguarda l’Europa e l’Italia. Il problema è la necessità di una svolta progressista. Il negoziato che si apre sul Trattato intergovernativo è un passaggio cruciale».

Presidente, ma qual è il suo cruccio? Crede che il governo Monti non sta agendo all’altezza della situazione?

«Non è questo il punto. Abbiamo riconquistato una credibilità in Europa grazie alle misure prese dal governo e anche grazie al modo in cui il Parlamento le ha accolte. Però ora di questa credibilità bisogna fare un uso incisivo».

In che termini: smantellando il direttorio Merkel-Sarkozy?

«Non soltanto. Intanto va rilevata la scarsa credibilità di quella coppia per il modo in cui ha gestito la crisi europea. Io non ce l’ho con la locomotiva franco-tedesca in sé, che è un dato della realtà europea. La vera questione sono i contenuti del direttorio, che in realtà appare oggi più che altro l’espressione di una leadership tedesca. La verità è che l’Europa soffre di una guida miope e conservatrice e cresce la convinzione che una politica di pura austerità, che abbia come esclusiva stella polare la stabilità monetaria, rischia di portarci nel vicolo cieco della recessione. E la recessione non consente certo di affrontare il problema dei debiti sovrani. La Ue ha sofferto e soffre di un gravissimo deficit di solidarietà e di visione politica. E’ il frutto di un governo europeo di destra, che non ha strategia per lo sviluppo, che ha una visione totalmente subalterna agli interessi dei grandi gruppi finanziari. Anche per questo per uscire dalla crisi c’è bisogno che si riapra un confronto politico a livello europeo».

E l’Italia e il governo Monti da che parte devono collocarsi in questo confronto?
«E’ interesse dell’Europa e dell’Italia creare meccanismi più efficaci di solidarietà per fronteggiare la speculazione finanziaria: l’andamento dello spread dimostra che ancora non ci siamo. Rispetto al precipizio in cui stavamo finendo certamente la situazione si è stabilizzata, ma c’è ancora parecchio da fare. La bozza di trattato intergovernativo è ancora inadeguata da questo punto di vista, così come mi sembra insufficiente la capitalizzazione del cosiddetto Fondo salva-Stati: l’ideale sarebbe dare vita ad una Agenzia europea per il debito. In secondo luogo manca una strategia di sviluppo e di crescita. Questo è il dato principale. La Germania ha chiesto meccanismi severi per garantire la responsabilità fiscale e noi abbiamo accettato e condiviso questa scelta, anche nella convinzione che questo avrebbe favorito una contropartita sul piano della solidarietà e dello sviluppo. Ma questo ancora non si vede. Da qui emerge la necessità di una battaglia politica da parte delle forze progressiste europee. Non è un caso che anche Obama prema affinché l’Europa compia scelte a sostegno della crescita».

Le chiedevo del governo Monti. Cosa deve fare?

«In uno scenario come quello che ho descritto, è cruciale il modo il governo italiano e il premier Monti spenderanno l’accresciuta autorevolezza italiana. Se noi dovessimo semplicemente accodarci al treno franco-tedesco, sbaglieremmo direzione. Certo, fa piacere che Monti sia invitato agli incontri. Però non deve sfuggire che è il contenuto di questi incontri che va cambiato».

Scusi, potrebbe essere un tantino più concreto?

«Credo che un importante banco di prova sarà costituito dalla Convenzione che si terrà nelle prossime settimane sul trattato intergovernativo. Vorrei sottolineare che i tre rappresentanti del Parlamento europeo alla Convenzione – tra i quali c’è anche un parlamentare italiano, Roberto Gualtieri - hanno concordato unitariamente un pacchetto di emendamenti di grande rilievo, che si concentrano su due obiettivi principali: da un lato, ricondurre l’anomalia di un trattato intergovernativo nel quadro delle norme comunitarie e, quindi, delle regole democratiche dell’Unione; dall’altro, rafforzare meccanismi di solidarietà e impegno comune per la crescita, che nella bozza di Trattato hanno invece uno spazio minimo. Sarebbe davvero importante se il governo italiano si schierasse nella partita politica che si apre a favore di questa impostazione. Non chiedo ovviamente a Monti di diventare capofila dei progressisti europei, non è quello il suo compito. Tuttavia poiché gli emendamenti sono unitari, sostenerli sarebbe nella tradizione europeista dell’Italia. Insisto: si tratta di un passaggio decisivo. Il problema europeo è la crescita, non il debito. L’euro cede forse rispetto allo yen perché abbiamo il debito? Ma il debito del Giappone è il doppio di quello europeo, vicino al 200 per cento del Pil. La disciplina di bilancio è una regola giusta, però senza una strategia di sviluppo dalla crisi non ne usciamo. In caso contrario, potremmo trovarci tra qualche mese in una condizione insostenibile. Come giustamente rileva Monti, non è pensabile varare nuove manovre».

Anche il presidente della Repubblica, nel suo messaggio di fine anno, ha toccato questo punto.

«Napolitano ha rivolto agli italiani un messaggio appassionatamente europeista ma anche giustamente critico verso la mancanza di visione dell’attuale leadership europea. Monti ha detto che si tratta di indicazioni utili: adesso si tratta di rendere visibile l’impegno del governo italiano in questa direzione».

Vale anche per il centrosinistra: la priorità è la stessa?

«Il ruolo del centrosinistra non è solo quello di sostenere il governo e fare le riforme necessarie per ridare credibilità alle istituzioni. Abbiamo anche un altro, fondamentale compito: definire una prospettiva nuova per l’Italia. Nel 2013 si voterà per rinnovare il Parlamento e noi che siamo in questo momento la maggiore forza politica dobbiamo mettere in campo un progetto per il futuro del Paese. Più che mai questo progetto deve avere un respiro europeo, collegandosi ad una possibile svolta continentale. A maggio 2012 si vota in Francia, l’anno dopo da noi e anche la in Germania. Di qui a 18 mesi, insomma, voteranno tre Paesi su 27 che però insieme contano 200 milioni di elettori, quasi la metà dei cittadini dell’Unione. Dobbiamo preparare al meglio questo appuntamento decisivo».

Nelle more di questo cantiere europeista, quale deve essere la declinazione italiana, per esempio per quel che riguarda la fase due del governo a partire dal mercato del lavoro? i sindacati lanciano allarmi sulla tensione sociale che cresce...

«Per prima cosa, il governo deve cercare di non farsi troppo condizionare nelle sue scelte, che sono necessarie».

E da chi? Dai partiti, dalle forze sociali, dai sindacati?

«Innanzi tutto direi da Berlusconi, dalla destra. Non siamo certo noi che freniamo sulle liberalizzazioni. Smettiamola con la continua giaculatoria sui partiti, evitiamo i tipici giochi qualunquistici. I partiti sono diversi, quelli di destra e di sinistra propugnano tesi opposte. La disinvoltura con la quale Berlusconi fa finta di non essere stato lui a portare il Paese nella situazione attuale è sconcertante».

Dunque Monti non deve farsi condizionare. E poi?

«E poi bisogna partire da una considerazione fondamentale, e cioè che nel corso degli ultimi dieci anni il mondo del lavoro si è impoverito: in termini di risorse e in termini di diritti. Non siamo più negli anni ’70, quando c’era un eccessivo potere sindacale e la teoria del salario come variabile indipendente. Siamo in un momento in cui la crescita a dismisura della distanza tra la ricchezza di pochi e il disagio di tanti è la principale questione da affrontare. Bisogna ripartire dalla difesa dei diritti fondamentali a cominciare, come ha giustamente detto il ministro Fornero, da quello di avere una equa retribuzione. Anche perché se non ripartono i consumi delle famiglie l’economia non ripartirà. Il tema non è colpire i sindacati per favorire la crescita. Caso mai è superare la spaccatura tra una quota di lavoratori più garantita e i giovani precari. Che non si supera però precarizzando i garantiti. Come pure occorre dare priorità alla lotta all’evasione fiscale che è la principale forma di diseguaglianza, la più odiosa a danno dei cittadini onesti».

Dunque i sindacati hanno ragione quando chiedono di essere consultati e di aprire un tavolo di confronto con il governo.

«Per forza. Al governo spetta un ruolo di impulso e alla fine, nel caso in cui non si raggiunga un accordo, deve comunque presentare le sue proposte al Parlamento. Però le regole del lavoro sono oggetto obbligatorio di una contrattazione. Penso che Cgil, Cisl e Uil vogliano raccogliere l’appello del capo dello Stato e rilanciare la migliore tradizione del sindacato confederale, non corporativo, attento ai grandi problemi del Paese. Detto questo, è evidente che su questi temi ci si deve confrontare. Aggiungo: senza immaginare che la riforma del mercato del lavoro sia la panacea di tutti i mali. Noi abbiamo un enorme problema del rilancio della produttività ma questo non passa solo sulla flessibilità bensì anche e soprattutto sugli investimenti, sulla ricerca, sull’innovazione, su un uso misurato ed intelligente di risorse. Con attenzione particolare per il Mezzogiorno, uscito dall’agenda del Paese grazie a Berlusconi e alla Lega».



stampa