Discorso
6 ottobre 2011

Intervento di Massimo D’Alema alla V Conferenza Italia - America Latina e Caraibi

Sala delle Conferenze Internazionali del Ministero degli Affari Esteri, Roma


Innanzitutto, vorrei scusarmi per interrompere con il mio intervento il programma previsto. Spero, tuttavia, che il mio gesto venga considerato come un atto di omaggio a questa iniziativa, perché la giornata politica e parlamentare italiana non mi consentirebbe di essere qui nell’orario prestabilito.
Ciononostante, non ho voluto far mancare un mio saluto, soprattutto in qualità di uomo politico italiano che ha fortemente creduto e crede molto nelle relazioni fra l’Italia e l’America Latina. D’altronde, ho contribuito a dare vita a questa Conferenza, a conferirle un carattere permanente, con una decisione che ha visto il concorso di tutte le forze politiche, per molti aspetti contrapposte, ma unite nel valutare il rapporto con l’America Latina come uno degli assi cruciali, strategici della politica estera italiana.
In fondo, tutto questo ha una radice antica, su cui molte volte ci siamo soffermati, che consiste nel legame storico, umano, culturale, tra l’Italia e questo continente, di cui sono testimonianza vivente i milioni di figli e nipoti di italiani che vivono lì.
A questa tradizione, tuttavia, si salda un’esperienza politica più recente. L’America Latina è stata per molti aspetti, non solo in questi anni, ma nella storia italiana del Dopoguerra, uno dei temi non controversi sui quali si sono impegnati insieme i grandi partiti, le forze storiche del nostro Paese, con una visione comune volta, in particolare, a sostenere i processi democratici, la difesa dei diritti umani, la lotta contro le dittature. Per un lungo periodo, quest’idea ha sicuramente affratellato l’Italia e le forze vive e migliori del continente latinoamericano.
È evidente che, oggi, siamo di fronte a uno scenario diverso. Per molti anni siamo stati noi a preoccuparci del destino dell’America Latina. Al contrario, in questo momento, sembra che sia l’America Latina a doversi preoccupare del destino dell’Europa. Essa, infatti, appare prigioniera della sua crisi, rivolta verso i problemi interni e, dunque, in difficoltà a dispiegare una strategia efficace sulla scena mondiale. È un’Europa minacciata dalla crisi del debito sovrano, dal debito delle sue banche, a cui credo si debba guardare con molta preoccupazione per il rischio che questa situazione, alla fine, possa comportare effetti globali destabilizzanti non soltanto sull’economia europea.
In tale quadro, è chiaro che assistiamo a un cambiamento di questo rapporto. Si potrebbe dire, senza voler esagerare, che mentre per molto tempo l’America Latina ha avuto bisogno dell’Europa, oggi abbiamo quanto meno gli uni bisogno degli altri. Questo perché una strategia europea di ripresa necessita di una fortissima partnership economica e politica con uno dei grandi continenti emergenti. Qui, infatti, non solo si stabilizzano sempre di più la democrazia e il rispetto dei diritti umani, ma soprattutto si conoscono straordinari processi di crescita economica e sviluppo sociale, in termini di avanzamento di grandi masse di persone. Insomma, si assiste alla crescita di un grande mercato che comporta nuove opportunità sotto il profilo politico ed economico che sono certamente fondamentali.
Per questo l’Europa avrebbe bisogno di un’agenda nuova, orientata verso la crescita e non soltanto verso una politica di contenimento del debito. D’altro canto, inseguire il debito senza la crescita appare davvero una fatica improba e dall’esito fallimentare. Occorre mettere in atto una strategia per la crescita che eviti quella caduta della domanda globale che, se certamente è fatale per il nostro sistema produttivo, è anche una minaccia per i Paesi emergenti.
Per molti aspetti sarebbe altresì importante che l’Europa ascoltasse l’appello che viene dal Presidente degli Stati Uniti d’America e che lo lasciasse meno solo nel suo sforzo per rilanciare l’economia, l’occupazione e per ridare una prospettiva.
È in questo quadro che io vedo il rapporto dell’America Latina con il Vecchio continente e, in particolare, con l’Italia. Noi, infatti, abbiamo vincoli economici molto importanti che vanno oltre il rapporto significativo sul piano commerciale. Pensiamo che per fondamentali imprese italiane – Fiat, Telecom, Pirelli, Enel – sarebbe complicato chiudere i bilanci senza il capitolo America Latina, che rappresenta di gran lunga la voce più attiva e carica di possibilità di crescita. Si tratta, con ogni evidenza, di un legame che va oltre i rapporti tradizionali, nel senso di una vera integrazione economica.
Un’integrazione sicuramente meritevole di essere rafforzata, soprattutto portando avanti quell’impegno al quale ci dedichiamo da diversi anni con fatica, ma che è strategicamente cruciale: radicare questo rapporto a livello della piccola e media impresa, ossia portare in Sudamerica il patrimonio della tradizione manifatturiera italiana che in grandi mercati in crescita, come quelli latinoamericani, davvero potrebbe portare un contributo decisivo.
Sotto questo profilo, sebbene apprezzi senza riserve il lavoro del sottosegretario Vincenzo Scotti, in particolare intorno a questa Conferenza, lamento una caduta di tensione politica, cioè la necessità di portare avanti con maggiore determinazione scelte che potrebbero consolidare le relazioni tra i nostri Paesi. Penso, ad esempio, alla decisione che era stata assunta di far partecipare l’Italia al capitale della CAF, Corporación Andina de Fomento, uno strumento certamente importante di sostegno allo sviluppo. Si tratta di determinazioni sulle quali, anche per difficoltà economico-finanziarie, si tarda, perdendo in tal modo delle opportunità, innanzitutto per il nostro Paese, perché il CAF potrebbe essere un punto di riferimento per le imprese italiane. Senza contare che esso rappresenta un osservatorio su tutte le economie latinoamericane al quale l’Italia potrebbe partecipare con grandi vantaggi per sé, oltre ai benefici da ripartire con i Paesi amici.
Perciò, credo che dobbiamo difendere l’esperienza della Conferenza, rafforzare quello spirito che ha animato questa importante iniziativa e cercare di andare avanti sotto il profilo delle scelte che abbiamo individuato per consolidare una cooperazione che vogliamo diventi più concreta.
E, soprattutto, penso che l’Italia debba farsi forte del suo rapporto con l’America Latina in sede europea, per chiedere all’Unione più coraggio, maggiore apertura, un effettivo sforzo di integrazione con le grandi economie emergenti.
Nella consapevolezza che tutto ciò che nel passato fu visto come vocazione dell’Europa ad aiutare gli altri, oggi diventa anche una necessità per aiutare noi stessi e per trovare nel rapporto con le realtà più vive ed emergenti anche le energie per rilanciare le nostre economie e per dare un’opportunità ai nostri giovani.
É anche così che vedo l’interrelazione nel mondo globale: una grande occasione per assorbire dagli altri quella vitalità e quello slancio che, talvolta, sembrano essersi affievoliti nel nostro continente.
E l’Italia può essere un Paese protagonista in questo senso. Abbiamo una grande tradizione di dinamismo, abbiamo una storia di amicizia e di collaborazione con l’America Latina e abbiamo la volontà di essere protagonisti anche nel futuro.
Grazie.



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