Discorso
26 marzo 2012

NON ARRENDIAMOCI ALL'IDEA CHE NON SI POTRANNO FARE LE RIFORME. SONO UNA PRIORITA', A PARTIRE DALLA LEGGE ELETTORALE

INTERVENTO DI MASSIMO D'ALEMA ALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PD
Roma - Sede nazionale del Pd


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Considero la relazione di Bersani molto positiva, nel senso sia del posizionamento del nostro partito, i punti politici a cui ha fatto riferimento, sia dal punto di vista delle indicazioni del piano d’azione, che lui ha voluto fare, e delle soluzioni proposte. In particolare, l’avere definito il ruolo del Pd nel rapporto tra la durezza della transizione e il malessere della società, che certamente noi non possiamo non cercare di comprendere e al quale dobbiamo cercare di dare risposte.

Sono molto d’accordo con l’intervento che ha fatto Walter Veltroni, non soltanto per i contenuti, in particolare sul compito riformatore della politica, ma anche per lo spirito. Credo davvero che possiamo uscire da questa direzione più forti sul piano della saldezza, della affidabilità del nostro partito, della reazione a una immagine caricaturale.

Ciò che sto dicendo non lo attribuisco al governo Monti: evidentemente questo passaggio è stato pensato, interpretato da qualcuno come una occasione importante, un agguato preparato. Nel senso che ci si aspettava, arrivati a questo punto, di introdurre un cuneo tra noi e il governo, isolare la Cgil e spaccare il PD. Non ci sono riusciti, come Willy il coyote. Non è così. Innanzitutto, perché la domanda di cambiare la riforma viene da tutti i sindacati, compresa la Ugl, dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Si tratta di una domanda larghissima di cui noi ci facciamo portatori.

Non siamo subalterni a nessuno e noi ne possiamo uscire anche più uniti e credibili in un passaggio delicatissimo, perché la situazione è dura. Noi reggiamo nel rapporto tra la durezza delle scelte dell’oggi e la sofferenza del Paese se siamo anche in grado di dare forza al dopo, anche perché questo dopo non è così lontano: sono le elezioni del 2013.

Sosteniamo questo governo per il bene del Paese, perché ci porta fuori dalle favole del berlusconismo e, nello stesso tempo, prepariamo una prospettiva politica convincente, una svolta in senso progressista, non rispetto al governo Monti, ma rispetto a un decennio conservatore in Italia e in Europa. Dunque lavoriamo a una svolta rispetto alle politiche neoliberiste, a una visione ristretta dell’Europa delle sanzioni, dei vincoli, che non ha respiro, non ha forza, non ha fascino ideale, non ha un progetto per il futuro.

E’ questo il senso della svolta che vogliamo determinare, di cui ci sentiamo pienamente partecipi. Non è solo una prospettiva politica per l’Italia. Perché i socialisti francesi, che certo non brillano per europeismo, avvertono la necessità di mettere l’Europa al centro della loro campagna elettorale? Perché – io credo - si rendono conto che se vanno al governo e non muta il quadro europeo, non hanno margini per fare una politica riformatrice nel loro Paese.

Noi siamo stati una forza del rigore in Italia. Io ho avuto l’onore di partecipare due volte al governo e i ministri delle finanze erano Ciampi e Padoa Schioppa. Francamente, quanto a competenze tecniche e a rigore, credo che siamo tra i maestri e non tra gli allievi. Quando abbiamo lasciato il governo, sì, certo, non c’era ancora stata la crisi, ma con tutti i problemi di quell’ esecutivo lo spread era a 34 punti e il debito pubblico al 103,5% del Pil. Abbiamo dimostrato meglio di chiunque altro di sapere combinare rigore e severità nella gestione dei conti pubblici e politiche socialmente sostenibili. Però è chiaro che i ritmi di rientro che ci impone l’Europa non so se sono sostenibili. Non so se l’Europa stessa non debba fare una riflessione. Il tema centrale qual è? Il debito o la crescita? Che equilibrio c’è tra essi? Qui c’è un punto di fondo che riguarda le prospettive politiche del continente. Secondo me ci sentiamo giustamente partecipi e se c’è più europeismo nel campo progressista non ci deve preoccupare. Dobbiamo rivendicarlo come merito anche nostro. In questo campo noi siamo, certamente, tra le forze più radicalmente europeiste.

E’ un cammino difficile. Questa iniziativa di Parigi è stata un fatto importante, un obiettivo non semplice da ottenere. Come promotore del convegno, avrei voluto andare anche oltre, ma è chiaro che lì c’è una resistenza del socialismo europeo. E’ chiaro che i socialisti europei soffrono di una chiusura, di un residuo sbagliato di autosufficienza, perché oltretutto non lo sono. E noi dobbiamo spingerli ad aprirsi. Questo è il nostro ruolo. Ma non lo si può fare se non lavorando insieme a loro. In Europa c’è un’aria nuova a cui vale la pena collegarsi. Guardiamo anche alle ultime elezioni in Spagna, Andalusia, e in Germania, nella Saar.

In questo quadro, per noi il tema della prospettiva è legato a come si gestisce il rapporto e il sostegno al governo Monti, alla dimensione europea e alla riforma della politica. Sono d’accordo con Veltroni: è un’emergenza. Da questa direzione deve venire un messaggio: noi non possiamo arrenderci all’idea, che mi sembra prendere piede, che non si farà alcuna riforma né costituzionale né elettorale. Io credo che noi dobbiamo dire che non ci arrendiamo, che la legge elettorale è una priorità. Ma allora bisogna puntare dritti sul compromesso che qui ci ha illustrato Violante, che è l’unica prospettiva realistica per fare la legge elettorale e non dobbiamo mettere i bastoni tra le ruote pure noi. L’argomento secondo cui bisogna votare le coalizioni – io lo dico con grande rispetto – lo abbiamo sostenuto e abbiamo sperimentato leggi elettorali di questo tipo per 20 anni. Non funzionano e forse anche per questo in Europa non le ha nessuno. Il vero inganno nei confronti degli elettori è di aver fatto coalizioni elettorali che poi non sono state in grado di governare. E’ la storia italiana di questi 20 anni. Quindi, una legge che punta sui partiti è essenziale per noi. Un grande partito come il nostro deve candidare se stesso a governare l’Italia e non mettersi nelle condizioni che la nostra proposta di governo dipenderà dal fatto se annunciamo prima, sulla base di un convenienza elettorale, se andiamo con Di Pietro o andiamo con Casini. E quindi facciamo la campagna elettorale per chiedere voti per Di Pietro o per Casini. Viceversa, dobbiamo essere messi nelle condizioni di chieder il consenso per noi, per il nostro progetto. Poi, è chiaro che se gli elettori, disgraziatamente, non danno la maggioranza assoluta, il partito che vince le elezioni cercherà le forze più affidabili per formare un governo e ci sarà la sfiducia costruttiva per evitare il pendolarismo. Questa è la democrazia parlamentare europea. Ed è l’occasione buona per andare in questa direzione. Per dire: noi siamo pronti a fare questa legge, gli altri si prendano la loro responsabilità.



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