Discorso
12 marzo 2012

CORRUZIONE: UN PROBLEMA CULTURALE?<br>Intervento di Massimo D'Alema alla presentazione del n. 2/2012 della rivista “Italianieuropei”

Sala della Mercede - Camera dei Deputati


Vorrei ringraziare, innanzitutto, gli illustri interlocutori che hanno voluto partecipare alla presentazione del secondo numero della rivista “Italianieuropei”. La nostra discussione sarà incentrata, in particolare, sul focus che questo mese è dedicato al tema cruciale della corruzione.
Questa iniziativa editoriale, culturale, politica è stata assunta per attirare l’attenzione su un delicato nodo della giustizia, sia per quanto riguarda i problemi della prevenzione che la necessità di un aggiornamento della nostra normativa penale. In questo senso, direi che c’è stata una felice coincidenza, perché da una parte la denuncia della Corte dei Conti ha contribuito a riaccendere il dibattito pubblico su questo tema, dall’altra partecipiamo del confronto politico sulla legge sulla corruzione.
In questi giorni, stiamo assistendo a una discussione politica sulla corruzione che viene rappresentata dai giornali prevalentemente come un litigio tra i partiti. A mio parere, quando i partiti discutono, bisognerebbe piuttosto cercare di capire di che cosa dibattono e magari, a volte, sarebbe anche interessante esprimersi su chi ha ragione e chi torto. Al contrario, questa immagine dei partiti che litigano tende a conferire loro una connotazione generalmente negativa anziché offrire ai cittadini una chiave interpretativa dei temi che sono al centro di un conflitto, in modo che poi ciascuno possa farsi un’opinione. Viene usato il plurale “i partiti”, un termine irritante, una nozione generica. Ma non esistono “i partiti”, semmai esistono forze politiche, ciascuna delle quali ha un nome, un cognome e una propria posizione, giusta o sbagliata che sia.
Non voglio entrare nel merito dell’entità e dei costi della corruzione denunciati dalla Corte dei Conti, perché è una questione delicata e, onestamente, molto difficile. Ciononostante, non c’è dubbio che parliamo di un fenomeno profondamente radicato nella realtà del nostro Paese. Così come è chiaro che i dati e le statistiche che riguardano questi reati e che rivelano un drastico calo rispetto all’inizio degli anni ’90, come è stato qui osservato, in verità non riflettono quella che è la percezione diffusa sulla loro incidenza.
E credo anche che sia sbagliato, per venire a un tema del dibattito politico di questi giorni, considerare questa materia come “altro” rispetto al risanamento economico del Paese. Viene detto: “Questo è un governo d’emergenza che deve affrontare la crisi economica, perciò non deve occuparsi delle questioni che non hanno a che vedere con essa, come la legge sulla corruzione”. Non sono d’accordo. Perché, sia in termini di prevenzione sia in termini di aggiornamento della norma penale, tale questione ha molto a che vedere con i temi del risanamento economico-finanziario e dello sviluppo pieno di un’economia sana. La corruzione, infatti, è un ostacolo, è una delle facce di quel sistema economico illegale che costituisce un freno alla ripresa economica del Paese, determinando anche quella distorsione di tutti i sistemi di prelievo, per cui evasione fiscale e corruzione sono due fenomeni tra di loro strettamente interconnessi. Inoltre, qui risiede la ragione della difficoltà di attrarre investimenti stranieri in Italia. E’ evidente, quindi, che parliamo di un aspetto che rientra pienamente nel tema dell’emergenza economico-finanziaria, ragion d’essere dell’attuale governo di responsabilità nazionale.
Per cui è vero, i partiti discutono circa la necessità e l’opportunità di inserire questo tema nell’agenda del governo, ma uno dei due ha ragione e l’altro ha torto. Perciò è giusto che l’opinione pubblica sia incoraggiata a prendere posizione in questo confronto tra i partiti che, come a volte accade, riguarda grandi temi del Paese rispetto ai quali i cittadini devono essere aiutati a intervenire con la loro scelta e il loro orientamento.
Oggi siamo giunti all’epilogo di una lunga stagione politica che è nata proprio da quello straordinario fenomeno di lotta alla corruzione politica rappresentato da Mani pulite. All’inizio degli anni ’90, infatti, a fondamento della cosiddetta Seconda Repubblica, sono state poste scelte di natura politico-istituzionale che, nell’intenzione dei riformatori di allora (alcuni dei quali sono presenti tra noi), avrebbero dovuto sradicare, eliminare alla radice quel fenomeno di corruzione diffusa che era venuto alla luce nelle inchieste di Mani pulite.
Quelle indagini prendevano le mosse dalla convinzione che la corruzione fosse legata a due fenomeni: il prevalere del sistema dei partiti, portatori di corruzione, in parte perché macchine bisognose di finanziamenti illegali e la democrazia bloccata.
Ora, non abbiamo più la democrazia bloccata e il peso dei partiti si è enormemente ridotto, però conosciamo ugualmente una corruzione dilagante o, perlomeno, estremamente diffusa e allarmante. Il che dimostra che quell’analisi era sbagliata, anzi, era parziale, riduttiva, coglieva soltanto una parte, la congiuntura del fenomeno corruttivo, e non la sua natura.
L’estrema personalizzazione della politica che è venuta dopo quella stagione, poi, non solo non ha attenuato i fenomeni di corruzione politica ma, per certi aspetti, ha accresciuto i costi della politica e ha ridotto i controlli, perché, a modo loro, i partiti avevano meccanismi di controllo che oggi sono pressoché svaniti. Ancora, si sono moltiplicati in modo confuso e disordinato gli episodi di corruzione personale e, in particolare, quei fenomeni di costruzione di “cricche” che molto spesso sono fiorite intorno al potere individuale.
C’è un secondo aspetto che ha clamorosamente smentito questa visione, secondo la quale, appunto, la fine del ruolo predominante dei partiti e lo sblocco della democrazia avrebbero tolto di mezzo la diffusione della corruzione. Mi riferisco al dato, che emerge chiaramente dalle cronache, per cui i fatti di corruzione agiscono molto più in profondità, non sono legati prevalentemente alle responsabilità della politica. Semmai la politica ha una responsabilità nel non assumere provvedimenti adeguati per combatterli.
Oggi, si avverte il bisogno di perseguire la corruzione tra privati e si osserva anche che, molto spesso, questi gruppi corruttivi coinvolgono innanzitutto settori dell’amministrazione pubblica, rispetto ai quali i politici appaiono in una posizione subalterna.
A ben vedere, non sono i politici a tenere le fila di questi sistemi di potere, che sono nelle mani di altri, cioè di una burocrazia che nell’alternarsi dei partiti al governo ha rappresentato la vera e autentica continuità nell’esercizio del potere. Fino ad arrivare a una dinamica per la quale il ministro di turno appare non il centro, ma un’appendice di un sistema di potere che ha ben altra struttura e leadership.
Mi riferisco a vicende all’attenzione di tutti, che hanno rappresentato la vera continuità del potere nel confuso alternarsi di un ceto politico improvvisato come quello che è venuto alla luce in questi anni, espressione non più dei partiti, ma di un’idea della politica come autopromozione, di un caotico affacciarsi, senza filtri formativi, di pezzi di società che hanno invaso le istituzioni. In proposito, vorrei dire che se per politici si intendono quelli che si sono formati nell’esperienza dei partiti e hanno dedicato alla politica la loro vita, di questi, in Parlamento, ce ne saranno una dozzina, e non sono affatto la parte peggiore dell’Assemblea. Per il resto, essa è composta da giornalisti, avvocati, professionisti di vari rami, piccoli imprenditori, magistrati… Insomma, è la società civile, la società italiana nelle sue diverse espressioni.
Per tornare alla vicenda Mani pulite, vorrei affrontare un aspetto, cioè il fatto che in quella fase abbia pesato, a mio parere, un difetto di impostazione di alcune indagini. Per far saltare quel sistema, che tale era e che è stata opera meritoria averlo fatto saltare, i magistrati hanno utilizzato, in parte in una condizione di necessità, una strategia precisa: un uso massiccio dell’imputazione di concussione, fino alla teorizzazione forse più fantasiosa del reato di concussione ambientale, volta a eludere la complicità tra imprenditori e mondo politico. Da questo punto di vista, forse è stata una chiave che ha funzionato a livello processuale, ma essa ha finito per fornire un’interpretazione riduttiva, e in parte fuorviante, del fenomeno. In realtà, infatti, si trattava di una manifestazione ben altrimenti complessa, ossia di una complicità tra una parte della politica e una parte del mondo imprenditoriale che ha agito come elemento distorsivo della vita economica del Paese.
Ecco, a mio parere, avere interpretato questo blocco di potere solo sul versante della concussione subìta ha fatto sì che anche l’azione repressiva abbia avuto, in qualche modo, una sua parzialità, colpendo una faccia del sistema e lasciando praticamente intatta l’altra. Ma quel sistema era tale proprio in quanto aveva una pluralità di protagonisti: mondo economico, settore dell’amministrazione pubblica e ceto politico. Il quale ha pagato un prezzo alto a quelle indagini e, in molti casi, alcuni sono poi risultati innocenti. Gli altri attori di quel sistema, invece, sono rimasti meno “attenzionati” da parte delle indagini giudiziarie. Insomma, se questa chiave è stata spesso processualmente efficace e forse necessaria, sul piano interpretativo del fenomeno si è rivelata parziale. Così come, alla fine, è stato parziale anche l’effetto prodotto sull’opera di risanamento. Infatti, successivamente, l’altra parte del sistema ha largamente e liberamente operato negli anni successivi.
Se questo è il quadro, oggi preferisco accettare la richiesta dell’OCSE di cancellare la fattispecie della concussione e introdurre una legislazione chiaramente premiale nei confronti di chi querela. Questo perché ritengo che l’imprenditore o il cittadino che denuncia la corruzione meriti di essere considerato una vittima, cioè un concusso. Viceversa, chi non denuncia e trae vantaggi dai medesimi fatti si rende complice della corruzione, non ne è certo vittima.
Dunque, considero certamente importante questa legge, si deve fare, è quanto mai necessaria, ma -ripeto- preferirei agire sul lato di una norma premiale per coloro che denunciano. Li potremo chiamare “pentiti”, usando un’espressione comprensibile, contenuta nel nostro ordinamento, e anche funzionale a scardinare altre forme di reato associativo.
In definitiva, ritengo sia necessario liberarsi da interpretazioni troppo facili: la corruzione dilagante in quegli anni non dipendeva né dalla democrazia bloccata né soltanto dai partiti. Al contrario, siamo di fronte a un fenomeno culturale, cioè legato alla storia complessa di questo Paese, alla fragilità dello Stato e del senso dello Stato.
Ed è un fenomeno che oggi ha una dimensione tale da rappresentare una parte del problema economico-finanziario del Paese, purtroppo ha assunto questa dignità, non è un accessorio di politica penale che si deve tralasciare per altre priorità. Sarebbe una lettura sbagliata. Anzi, bisogna sapere che l’estrema personalizzazione della politica non solo non è la soluzione ma, semmai, comporta nuovi fattori di rischio.
Occorre, perciò, intervenire sul piano della norma penale, aggiornandola nel senso che qui è stato auspicato e che, tra l’altro, riprende largamente i concetti contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC) che l’Italia deve recepire al più presto. Dunque, il traffico di influenza, la corruzione tra privati e -insisto- una norma premiale nei confronti di chi collabora.
Un’altra strada che è importante intraprendere è quella della prevenzione. In proposito, Roberto Garofoli ci ha detto cose molto interessanti su norme riguardanti il funzionamento della Pubblica amministrazione in materia di incompatibilità e sull’importanza dei codici etici.
Per quanto riguarda i partiti, penso che sia molto importante richiedere una capacità di regolazione della loro vita. Se, da un lato, può essere delicato stabilire per legge che un cittadino che non è condannato per corruzione con sentenza passata in giudicato possa essere privato dei diritti politici di elettorato passivo, dall’altro si può certamente intervenire con norme fortemente dissuasive, come lo stabilire che i partiti che li mettono in lista vengano esclusi dal finanziamento pubblico e dal rimborso elettorale, perché ciò non tocca i diritti individuali.
E’ tempo di fare una legge che solleciti i partiti ad autoregolarsi, che introduca dei criteri di controllo, di trasparenza nell’uso di risorse che essi ricevono e che hanno origine pubblica, con una serie di norme premiali e dissuasive.
Perciò, sono d’accordo sull’assunzione di codici etici per le professioni, per la pubblica amministrazione e per la politica, ma ciò non basta. E’ necessario l’intervento legislativo per regolare la vita delle organizzazioni di partito con norme dissuasive efficaci. Non andando ad inficiare il diritto di elettorato passivo, bensì intervenendo sul piano amministrativo dicendo: “benissimo, tu puoi candidarti, però non ti diamo il rimborso elettorale”.
Insomma, parliamo di una vasta materia di discussione che investe anche una nuova legge elettorale. Il nodo della lotta alla corruzione nella politica, infatti, potrebbe essere sciolto nell’ambito di una riforma che prevedesse da un lato tetti di spese elettorali e effettivi controlli, dall’altro regole per i rimborsi elettorali e norme dissuasive.
E’ un tema che rientra a pieno titolo nell’agenda politica e anche in quella del governo Monti. Sia per il peso che la corruzione ha nel nostro Paese, sia perché questo governo di responsabilità nazionale ci offre un’occasione da non perdere. Questo, infatti, a mio giudizio, è il momento di progettare una nuova stagione politica, cercando di vedere dove sono i limiti di quella che abbiamo vissuto sin qui e anche quali seri rimedi si possano costruire per il prossimo futuro.
Siccome credo fortemente al primato non della politica ma della democrazia, che è un concetto diverso, se non vogliamo che ancora una volta, a un certo punto, arrivino i magistrati a segnare una nuova cesura nella storia nazionale, è tempo che la politica si prenda con maggiore coraggio le sue responsabilità.
In fondo, noi, Italianieuropei, come fondazione di cultura politica, in questo numero della rivista, abbiamo cercato di dare un contributo di idee e di proposte nella speranza che tale messaggio venga recepito dalle forze politiche e dal Parlamento.
Grazie.



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