Intervista
26 agosto 2012

Solo il rigore non ci darà prospettive, occorre una svolta progressista

Intervista di Umberto De Giovannangeli - l'Unità


La crisi sta mettendo a dura prova il progetto europeo, eppure tutti sappiamo che da questo tunnel si può uscire in un modo solo: con più Europa. Cosa vuol dire questo in concreto? In che modo possiamo accelerare il progetto di unificazione europea? Qual è il salto di qualità che ancora manca?

Sì, effettivamente dalla crisi si può uscire soltanto compiendo un passo in avanti molto coraggioso nel senso dell’unità politica dell’Europa. Mai come in questo momento risulta evidente che moneta unica e mercato unico di per sé non fanno l’Europa. Al contrario, rischiamo anche di logorare e di perdere queste conquiste così importanti se non si rafforza la dimensione politica unitaria. E’ paradossale che in questa fase l’azione politica più importante a favore dell’Europa la stia facendo la Bce, mentre non si riesce ancora a mettere in opera neppure quanto, con molta prudenza e molto ritardo, è stato deciso al Consiglio europeo.
Un’Europa politica più forte, significa una strategia per la crescita e una effettiva capacità di fronteggiare la speculazione finanziaria. Mai come oggi appare evidente quanto sia illusoria l’idea che possa essere difesa una vecchia concezione della sovranità nazionale, e che l’unico modo di esercitare effettivamente una sovranità è condividerla con gli altri Paesi europei. In altri drammatici momenti di crisi l’Europa è stata in grado di reagire compiendo scelte coraggiose, un vero e proprio salto in avanti. Questo è oggi il compito a cui sono chiamate le classi dirigenti europee e dovrebbe essere la bandiera del progetto di un rinnovato centrosinistra in Europa.

Le difficoltà economiche sono state affrontate finora soltanto con ricette di austerity e di taglio della spesa pubblica. Questo ha provocato, e sta provocando, gravi disagi sociali oltre che economici, facendo pagare il prezzo delle difficoltà alle classi più deboli. La crisi economica sta diventando una crisi di democrazia?

Non voglio negare la necessità di una politica di rigore finanziario, in particolare un impegno per la riduzione della spesa pubblica corrente. D’altro canto, il centrosinistra in Italia ha dimostrato di saper contenere la spesa evitando, allo stesso tempo, di far pagare il prezzo ai ceti sociali più deboli. Ma il problema è che una politica solo di austerità non offre nessuna prospettiva e, alla fine, non può che risultare fallimentare, perché la caduta dell’economia impedisce lo stesso risanamento dei conti pubblici. E’ evidente che bisogna trovare un equilibrio nuovo tra rigore e strategie per la crescita. Questo significa che si deve consentire la ripresa degli investimenti pubblici e privati, anche attraverso una interpretazione più flessibile del Patto di stabilità che, non a caso, si chiama Patto di stabilità e di crescita, anche se a volte i leader europei sembrano essersene dimenticati. Inoltre, è fondamentale affrontare un nodo sociale che sempre più è diventato anche un ostacolo enorme alla ripresa economica. Mi riferisco alla crescita delle diseguaglianze e alla svalorizzazione del lavoro che ha determinato una caduta del potere di acquisto di tantissime famiglie in Italia e in altri Paesi europei. E’ chiaro che per restituire risorse al lavoro occorre un riequilibrio delle politiche fiscali a sostegno della crescita e della giustizia sociali, e che dunque faccia gravare di più sulla rendita finanziaria il peso della fiscalità. Ma anche questo non è facile da realizzare al di fuori di una strategia europea. In questo senso acquista un valore fondamentale la proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie che potrebbe oltretutto consentire di finanziare progetti europei di investimento.

Populismo e nazionalismo risorgono puntualmente nei periodi di grande crisi come quella che stiamo vivendo: il successo elettorale di Alba Dorata in Grecia ne è una triste conferma. Si tratta di fantasmi passeggeri o sono sintomi di qualcosa di più inquietante e pericoloso? E' il sogno di una Europa unita che si allontana?

La democrazia europea appare sempre più schiacciata nella morsa tra il potere di una tecnocrazia lontana, che impone ai poteri democratici l’umiliante trafila dei compiti a casa, e l’insorgere di fenomeni populisti, che sono l’espressione al tempo stesso velleitaria e pericolosa di una rivolta contro la globalizzazione che non è in grado però di offrire nessuna speranza e nessuna opportunità. E’ evidente che l’Europa vive la sfida di un passaggio d’epoca nel quale vengono rimesse in discussione molte conquiste e anche molti privilegi di cui gli europei hanno goduto per una lunga fase storica. Tutto questo spinge a guardare al mondo che cambia più con timore che non con speranza. La destra, in particolare, ha cavalcato queste paure traducendole in una spinta identitaria contro l’immigrazione, contro l’Islam, contro la concorrenza che viene da Oriente, contro l’integrazione europea. E’ chiaro che su questa strada non c’è nessuna speranza, ma sarebbe un errore sottovalutare le ragioni di una protesta, di un rancore che nasce da un profondo disagio sociale e da una grande insicurezza. La sfida per la sinistra è mettere in campo una riposta popolare al populismo, in grado di ridare speranza ai ceti sociali più deboli e a quel mondo del lavoro nel quale paradossalmente la nuova destra trova la sua forza e il suo consenso


 

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