Intervista
14 settembre 2012

Non sono i diritti a frenare l'occupazione. Il Sud cambi, ma non va lasciato solo

Intervista di Pietro Perone – Il Mattino


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Riconosce Massimo D’Alema che il Sud, come ha sostenuto Monti in
un’intervista al Mattino, ha bisogno di un «cambio di mentalità» ma non per
questo lo Stato può lavarsi le mani «pur nella limitatezza della risorse
disponibili». Sarà però il prossimo governo, «quello di centrosinistra -
assicura - a dover riprendere la strada interrotta dello sviluppo. Ma sullo
Statuto dei lavoratori che secondo il presidente del Consiglio avrebbe
frenato l’occupazione l’ex premier taglia corto: «Non conosco nessuno che
abbia deciso di non investire nel nostro Paese per colpa dell’articolo 18».

Il premier chiede intanto al Sud un cambio di mentalità e soprattutto di far
leva unicamente sulle proprie risorse. Lo Stato in questa fase di profonda
crisi può fare poco?


Sono d'accordo con Monti: occorre un cambio di mentalità e bisogna
rimboccarsi le maniche. Va superata ogni logica assistenzialistica e
clientelare per valorizzare il merito e il talento di tanti ragazzi che dopo
avere studiato vengono spinti a andare via. Lo Stato, però, non può
sottrarsi dal cercare di intervenire pur nella limitatezza delle risorse
disponibili. Non vorrei che l’esigenza di un cambio di mentalità venga
interpretata come se il governo dicesse al Sud “sono affari vostri”. In
particolare, credo che la priorità, come ha anche sostenuto Prodi, sia la
lotta alla criminalità organizzata, il cancro più pericoloso per lo
sviluppo. Nella crisi i clan rischiano di accentuare la penetrazione
intensificando il riciclaggio di capitali.

Il ministro Barca ha puntato sul migliore utilizzo dei fondi Ue da sempre
fonte di sprechi, ma il lavoro e le infrastrutture non sembrano essere in
cima all’agenda della politica: questo governo deve fare di più?


Penso che Barca stia facendo un buon lavoro: il tema su cui ha posto
l'accento, utilizzare al meglio i fondi europei, è efficace soprattutto per
recuperare finanziamenti rispetto alle grandi scelte. Non bisogna però
dimenticare che questo governo è nato per affrontare l’emergenza ed evitare
il tracollo economico del Paese, mentre nel Sud si accumulano questioni
irrisolte che richiedono una politica di lungo periodo. È evidente che in
una fase di crisi economica molto grave, il Mezzogiorno paghi il prezzo più
alto e non imputerei queste responsabilità all’esecutivo Monti.

In passato erano stati messi in cantiere una serie di progetti: per esempio
Prodi puntava sul porto di Gioia Tauro, non sono mancate idee da Berlusconi.
C'è ora un’assenza di progettualità?


C'è una differenza fondamentale tra i progetti messi in campo dal
centrosinistra e quelli di Berlusconi: noi abbiamo attuato una politica per
il Sud. In particolare, dal ’96 al 2001, il Mezzogiorno ha conosciuto un
tasso di crescita superiore rispetto alla media nazionale, cosa mai avvenuta
prima, e il livello dell’impegno della spesa era del 42%. Tra le strategie
intraprese, la portualità per sfruttare le nuove opportunità della
globalizzazione, ma anche un impegno sulla ricerca. Ricordo che in quella
stagione nacquero due istituzioni post universitarie di alto livello a Lecce
e Catania, prima si potevano trovare solo al centro Nord. Fu quello anche il
tempo dei patti territoriali, della programmazione dal basso e soprattutto
del credito di imposta, una misura che va ripresa perché ha prodotto effetti
concreti innescando un meccanismo automatico di assunzioni senza
l’intermediazione della politica. È poi venuto il decennio
berlusconiano-leghista in cui c’è stata la totale dismissione dell'impegno
pubblico verso il Mezzogiorno, sostituito da una serie di favole tra cui la
creazione della banca o la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina.
Una differenza talmente marcata, quella tra le politiche del centrosinistra
e quelle del centrodestra, che non può essere sottaciuta.

Gli operai dell'Alcoa di nuovo sul silos, 150 sono le vertenze aperte sul
tavolo del ministero dello Sviluppo, molte riguardano aziende del Sud: la
politica, nell'era dei tecnici, è in grado di offrire risposte per allentare
le tensioni sociali?


Sull’Ilva intanto abbiamo assistito in queste ore all’ostruzionismo
barbarico della Lega che non si rende conto che l’azienda di Taranto è il
principale produttore dell'acciaio del Paese, Nord compreso. Nell’agenda del
prossimo governo di centrosinistra, il Sud sarà tra le priorità ma è
necessario fare oggi il possibile per affrontare le vertenze aperte e
scongiurare lo smantellamento dell’apparato produttivo del Mezzogiorno,
altrimenti arriveremo sguarniti all’appuntamento con la ripresa economica.
Ogni crisi aziendale richiede un’attenzione specifica e il governo deve
impegnarsi per l’Irisbus, come per la Fincantieri su cui si registra qualche
spiraglio. Ma accanto alla sfida per mantenere aperti i siti esistenti e
tradizionali, c’è quella cruciale di un nuovo sviluppo basato su settori
strategici come l’agricoltura di qualità, il turismo e l’energia
alternativa. In Puglia, dove si è investito in settori nuovi, vi sono
segnali incoraggianti sul fronte dell’occupazione.

Tremonti rilancia l'idea di tornare alla Cassa del Mezzogiorno per
accentrare interventi oggi dispersi in mille rivoli.


Di solito ha tante idee quando non governa, sarebbe forse meglio il
contrario. Ma al di là dell’aspetto provocatorio della proposta, c’è
sicuramente l’esigenza concreta di centralizzare gli interventi, che è poi
quello che il ministro Barca sta tentando di fare. In questi anni le Regioni
hanno investito soldi in mille progetti determinando una scarsa efficacia
degli investimenti. La via maestra credo sia quella di concentrare i fondi
su formazione e innovazione. Al governo nazionale il compito di decidere
insieme con le Regioni le priorità.

Monti intanto sostiene che alcune norme dello Statuto dei lavoratori sono
state un freno all’occupazione: è d’accordo?


Non credo sia così. Se si domanda a un imprenditore, soprattutto straniero
cosa lo spaventa di più, risponderà che sono la lentezza e la farraginosità
della burocrazia e della giustizia civile, la criminalità organizzata. Non
conosco nessuno che abbia deciso di non investire nel nostro Paese per colpa
dell’articolo 18. La riforma è stata fatta, non è utile riaprire
l’argomento, ora la politica deve misurarsi con la drammatica sofferenza
sociale, comprendere le ragioni e rispondere con saggezza alla disperazione
senza abbassare la soglia dei diritti e delle tutele.


 

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