Intervista
27 gennaio 2013

Mps, è stato il Pd a volere il ricambio

colloquio con Pietro Spataro - l'Unità


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«La verità è che dovrebbero dire grazie al Pd per aver fatto chiarezza dentro il Montepaschi». Massimo D’Alema si è preso un giorno di riposo e dalla sua casa di campagna vede volare troppi «avvoltoi». In questo colloquio con l’Unità si mostra preoccupato della piega che sta prendendo il confronto politico e del rischio che il qualunquismo possa gonfiare le vele.

Vorrebbe ci fosse maggiore consapevolezza di questo. E vorrebbe ci fosse anche da parte di Monti che proprio sul caso di Siena ha affondato il coltello. Ma D’Alema si trattiene, vuole evitare lo scontro con il Professore perché è Berlusconi l’«antagonista robusto»: è tra lui e il Pd che si giocherà la partita del voto. «Non esiste un bipolarismo tra il Pd e Monti, sarebbe un errore», dice. E se gli si fa notare che il premier sta un po’ esagerando, ammette che su Montepaschi ha detto una «cosa maligna» ma poi ha capito, e «ha scantonato». Forse quando gli è stato ricordato, anche da lui, di aver messo in lista Alfredo Monaci, che era nel Cda del Monte insieme con Mussari.

Ciò che interessa di più a D’Alema, però, è tenere il Pd fuori da questa «vicenda surreale». Lo ripete più volte: «Il Pd non c’entra nulla». Perché nelle scelte compiute hanno svolto il loro ruolo le istituzioni, che sono legittimate dal voto. «Ma vorrei anche ricordare - spiega - che siamo stati noi a varare le norme che riducevano il peso delle fondazioni nelle banche. Quando ero premier, a Siena si fecero dei manifesti in cui ero definito persona indesiderabile». Poi c’è anche il seguito della storia, la battaglia che si è combattuta per il rinnovamento del management della banca e che ha portato Profumo e Viola a Palazzo Salimbeni e che, forse, ha evitato un esito catastrofico. Una battaglia che ha diviso il Pd locale e costretto il sindaco a dimettersi. «Un anno fa è stato appunto il sindaco Ceccuzzi, che è del Pd, a rendersi conto che le cose non andavano e a volere un ricambio radicale. Questo ovviamente si nasconde, ma il chiarimento lo abbiamo voluto noi». I guai del Montepaschi, come si sa, cominciarono con l’affare Antonveneta, quando la banca di Siena disse di no all’operazione Unipol-Bnl e con il gruppo Santander tentò l’altra avventura, sulla quale oggi è aperta un’inchiesta. «Che strano - fa notare D’Alema - qualcuno oggi mi accusa di essere l’ispiratore dell’affare Antonveneta dopo avermi accusato di esserlo stato per Unipol-Bnl. La verità è che l’operazione Unipol-Bnl era una scelta strategica. Il gruppo dirigente del partito era a favore e Montepaschi invece era contrario. E questa è la conferma clamorosa che non è affatto vero che il partito controllava la banca, perché la banca era completamente autonoma. Aggiungo, però, che uno non può essere accusato di essere lo sponsor di un’operazione e del suo contrario, altrimenti diventa una barzelletta e magari mi accuseranno anche di essere responsabile della guerra in Cecenia. Nella diffamazione ci vuole coerenza». Eppure allora i manager del Monte erano considerati da tutti come i «cavalieri del bene» contro i cattivi della sinistra. «Certo, persino dagli stessi giornali che oggi ci accusano...».


Questa «vicenda surreale» dimostra, comunque, che c’è qualcosa che non funziona nella vita delle banche e nell’uso della finanza speculativa. Per esempio sul fronte dei controlli qualcosa non ha funzionato. «È un problema serio - spiega D’Alema - e almeno su questo spero che nessuno voglia sostenere che spetti al Pd il controllo dei manager». Nelle ore concitate del caso Mussari c’è stata una tensione, proprio sui poteri di controllo, tra il Tesoro e Bankitalia. «Credo che se la normativa non consente controlli accurati, la normativa va cambiata. Ma c’è un’altra questione che riguarda l’uso dei derivati, con i quali c’è chi tenta di fare alti guadagni con altissimi rischi. Bene, se uno vuole rischiare con i soldi propri, faccia pure, si accomodi al casinò della speculazione. Ma non è ammissibile che certe operazioni si facciano con i risparmi dei cittadini».

La preoccupazione, oltre le strumentalizzazioni, è però per un quadro politico troppo confuso. A cui si aggiunge un Monti che si fa agguerrito e che, dopo il Pd, attacca ossessivamente la Cgil. Come se, in un Paese dalle mille corporazioni, il problema fosse il più grande sindacato. D’Alema è convinto e lo dice con chiarezza che il Pd non è il «partito della Cgil». Ma ribadisce anche che non si governa «criminalizzando una forza che rappresenta milioni di lavoratori». Le perplessità maggiori l’ex premier le ha sulla natura politica dell’operazione Monti perché ci vede dietro, è il ragionamento, una spinta «contro i partiti e un’esaltazione acritica della società civile». E anche una tentazione di mettere fine alla concertazione e «aprire un conflitto con i sindacati». Certo, per chi parla tanto di Europa appare come un’anomalia. «La Germania - ricorda - è governata da partiti radicati e non da liste personali. E la concertazione è forte, anzi lì i sindacati sono associati al governo delle imprese. La forza dei partiti e il dialogo sociale sono un valore irrinunciabile, non un disvalore».


Di questo vorrebbe che si potesse discutere con Monti. Nei confronti del Professore, D’Alema non vuole alzare i toni. Perché la partita vera si gioca con il Cavaliere, è lui l’avversario. «Altrimenti è come affrontare il derby con la Lazio parlando del Milan», dice da tifoso della Roma. Sono parole che appaiono quasi come un appello al premier: la smetta di polemizzare, occupiamoci dei problemi del Paese. «Stiamo attenti, il rischio è che nella confusione rispunti Berlusconi», avverte. Anche perché resta convinto che la campagna qualunquista contro la politica alla fine i voti li porti a Grillo e non alla lista civica del premier. Il tentativo insomma è di rimettere ordine nelle cose, far capire che lo scontro è serio e che i rischi sono alti. Per questo anche i retroscena che annunciano patti più o meno segreti con Berlusconi per il futuro capo dello Stato vengono liquidati come «veline e veleni». D’Alema vorrebbe, invece, che fosse più chiaro quali pericoli può creare una guerra di tutti contro tutti. Vuole evitarla, quella guerra, ed è convinto che il Pd «dovrebbe reagire, fare uno sforzo enorme per occuparsi del Paese». La sensazione è che dare troppo scontata la vittoria alla fine sia «dannoso». «Sì, bisogna farla la campagna elettorale. E al momento non vedo ancora una mobilitazione collettiva adeguata, sento che dobbiamo ancora dispiegare le nostre forze». Altrimenti, pensa, non si riuscirà a respingere l’assalto al Pd che in fondo è l’unico partito che si candida a governare il Paese. «Gli altri - conclude - sono lì che vogliono indebolirci, condizionarci o impedirci di andare a Palazzo Chigi». Per evitare questo approdo, sembra di capire, non basta rispondere colpo su colpo.

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