Atterra tra le «nebbie del Nord», come le chiama lui, per un tour politico-letterario tra Varese e Bergamo. È cortese e moderatamente ottimista, a dispetto di chi lo vuole altero. Come sempre «Contro corrente», giusto per citare il titolo del suo ultimo libro, presentato ieri sera a Treviglio.
Presidente Massimo D’Alema, a proposito di foschie, proprio qui in Lombardia i sondaggi iniziano a dare risultati grigi per il centrosinistra.
Per la prima volta la sfida per il governo della Lombardia è aperta. Non sappiamo l’esito, ma siamo competitivi e possiamo vincere. Mi sembra già una novità importante».
La Lega, però, guadagna terreno.
«La Lega è una forza politica il cui peso si è drasticamente ridotto. È vero che rischia di assumere la guida della Lombardia, ma per un patto di potere con Berlusconi. In realtà è un partito del 5%, fortemente in declino. Del resto ha totalmente fallito rispetto a quello per cui aveva chiesto il voto dei cittadini. Doveva ridurre le tasse e migliorare la pubblica amministrazione; invece la pressione fiscale non è mai diminuita e la spesa pubblica è aumentata, passando dal 46,1% del Pil del 2000, con il governo di centrosinistra, al 53% del Pil di oggi».
Qual è allora la sfida del Pd nei territori «verdepadani»?
«Noi siamo una forza moderna che vuole unire il mondo del lavoro e il mondo dell’impresa, per rilanciare il Paese e renderlo più competitivo. Abbiamo buone ragioni per stare in campo».
Il lavoro è al centro della vostra agenda politica. Monti, però, vi accusa di essere subalterni alla Cgil e spostati a sinistra sulle posizioni di Vendola.
«La Cgil ha 5 milioni di iscritti e rappresenta tanta parte dei lavoratori. Essere contro la Cgil, quindi, non ci sembra un buon modo di cominciare a impegnarsi in politica e candidarsi a governare il Paese. Certo, però, non siamo il partito della Cgil e non siamo subalterni a nessuno. Siamo convinti che la condizione per rilanciare la nostra economia non sia accentuare il conflitto sociale, bensì il dialogo e la collaborazione tra sindacato e impresa. A questo proposito,guardiamo all’esperienza tedesca».
Intanto, però, in Italia non si investe più.
«Ma il problema non sono i lavoratori e la compressione dei loro diritti, bensì l’inefficienza della pubblica amministrazione, la lentezza della giustizia, il peso della fiscalità. Questi sono i problemi da affrontare. Insieme alla difesa dei lavoratori, la riduzione del precariato e il rilancio della competitività del sistema economico».
Ritiene ancora valido (e possibile) il suo disegno strategico di un’alleanza di governo tra sinistra e moderati?
«All’indomani delle elezioni occorrerà allargare la maggioranza e dare vita a una maggioranza solida, basata su quell’incontro tra progressisti e moderati proposto da Bersani. Ma spero che la vittoria del Pd e del centrosinistra sia rilevante, non di misura. Perché la condizione migliore per dare stabilità al Paese è che il governo poggi su un grande partito. Non perché ci riteniamo autosufficienti, ma perché il Pd è la forza perno dell’alleanza».