Discorso
9 febbraio 2013

Renaissance for Europe - L'intervento di Massimo D'Alema

Torino, Teatro Regio, 9 febbraio 2013


Siamo molto grati – e lasciate che lo dica in una doppia veste, quella di presidente della Fondazione dei progressisti europei, che ha promosso questo incontro, e quella di militante del Partito democratico e del centrosinistra italiano – a tutti gli amici, i compagni, i leader politici e di governo, le personalità della cultura europea che hanno voluto dare vita con noi al grande evento di oggi. 
Un evento che è parte di un progetto che nel corso di tre anni accompagna gli appuntamenti elettorali in tre grandi, fondamentali Paesi dell’Unione: la Francia, l’Italia e la Germania. Tre grandi Paesi che non sono da soli l’Unione europea, ma che, con i loro 200 milioni di abitanti su 380 dell’area dell’euro, possono imprimere all’Europa una svolta necessaria e possibile. Noi abbiamo voluto che questi tre grandi momenti nazionali fossero legati insieme da uno sforzo comune per elaborare e rafforzare un progetto che riguarda il futuro del nostro continente.  
Innanzitutto perché sappiamo che non siamo sufficienti a noi stessi e che nessuna forza di progresso che conquisti il governo del proprio Paese potrà vincere la sfida se non nel quadro di un’Europa che cambia, di un impegno comune per il lavoro, per lo sviluppo, per la giustizia sociale. 
E allora, il messaggio che noi vogliamo lanciare è un messaggio di fiducia nel futuro dell’Europa, in un momento difficile. E’ un messaggio di speranza, è un programma di lotta e di cambiamento. Perché l’ideale europeo non vince senza il coraggio di cambiare e se soltanto noi europeisti ci illudiamo di potere difendere il valore dell’Europa sulla base di ciò, che pure è tanto, che è stato conquistato sino ad oggi. 
Occorre far crescere un nuovo progetto e una classe dirigente unita, capace di ragionare insieme, di individuare insieme le priorità, le scelte che sono necessarie, di condurre le battaglie difficili che saranno indispensabili. 
Oggi noi ci troviamo a commentare gli esiti di un Consiglio europeo. Un altro passaggio faticoso, un altro compromesso raggiunto dopo ore e ore di fatica. Noi conosciamo e abbiamo anche vissuto, nel passato, questi riti europei. Ricordo l’agenda 2000 a Berlino con Gerhard Schroder, che negoziato faticoso, che lunghe nottate. Noi siamo realisti: sappiamo che l’Europa procede anche attraverso faticosi compromessi e sappiamo vedere quanto, anche nell’accordo di oggi, può essere apprezzato a vantaggio di questo o quel Paese. 
Ma abbiamo anche il dovere di un giudizio complessivo, che guardi alla realtà della sofferenza sociale, della disoccupazione, della mancanza di fiducia nel futuro che investe tanti europei e dall’altra parte misuri il valore delle scelte politiche. E allora, abbiamo il dovere di dire che questa non è l’Europa che vogliamo.  
Abbiamo il dovere di dire che non è accettabile il compiacimento dei leader conservatori, il sorriso di Cameron, Merkel, tutti lieti perché abbiamo tagliato gli investimenti per la ricerca, per le infrastrutture, in un momento in cui l’Europa avrebbe bisogno del contrario. 
Certo, questo è il frutto della realtà, dei rapporti di forza, del prevalere, in Europa, delle forze conservatrici. Ma a questo noi non ci vogliamo arrendere. Noi siamo qui non solo per cambiare l’Italia ma anche per cambiare quei rapporti di forza, anche per gettare tutto il peso dell’Italia democratica e progressista dalla parte di chi, in Europa, si batte per il lavoro, per lo sviluppo economico, per la crescita, per l’avvenire delle nuove generazioni. 
Occorre liberare l’Europa dalla morsa, dalla prigionia entro la quale il progetto europeo è stato stretto da due destre: una destra tecnocratica, conservatrice, avara, che domina a Bruxelles, e una destra populista, nazionalista, becera, che mette piede nei diversi Paesi europei e di cui noi, qui in Italia, abbiamo un esemplare davvero singolare. 
Queste due destre si alimentano l’una con l’altra e rischiano di soffocare l’ideale europeo innanzitutto nella coscienza e nella speranza della nuova generazione. 
Spetta a noi spezzare questa morsa. Spetta a noi mettere in campo un europeismo coraggiosamente innovatore, che punti a cambiare le politiche europee nel senso di un’effettiva solidarietà contro la speculazione finanziaria, di una politica concertata per abbattere i tassi di interesse, senza che nessuno pretenda che gli altri paghino i debiti di chi li ha fatti, ma nella coscienza che un’Europa unita può ridurre il peso della rendita e liberare risorse per lo sviluppo e per il lavoro. 
E vogliamo un’Europa che abbia una strategia per la crescita, che punti sull’innovazione, sull’economia verde, sulla ricerca scientifica e che sia in grado di consentire a ciascun Paese di fare di più per il lavoro e per lo sviluppo economico. 
Ma il cambiamento non può fermarsi solo alle politiche e noi abbiamo messo l’accento su un tema di fondo. Sul limite, cioè, di un’Europa intergovernativa. Non è, forse, lo spettacolo di questo vertice? Un’Europa che diventa soltanto l’arena nella quale i diversi governi nazionali si contendono ciascuno un pezzettino, ma si avverte la debolezza di un disegno comune, di un progetto che unisce. 
L’Europa non può essere solo limitata a una dimensione intergovernativa che diventa sempre più pervasiva. Abbiamo bisogno di rilanciare le istituzioni comuni, c’è bisogno di una svolta democratica. Se a Bruxelles si decide tanto della vita dei cittadini europei, i cittadini europei debbono decidere di quello che accade a Bruxelles, in una forma più diretta, valorizzando il ruolo del Parlamento europeo – che è oggi forte anche, voglio dirlo, della guida intelligente, attiva, coraggiosa di Martin Schulz – collegandolo più efficacemente ai parlamenti nazionali e puntando a fare dell’Europa il campo di un vero confronto politico. A partire dalle prossime elezioni, nelle quali noi progressisti vogliamo essere in campo con un nostro programma, con un nostro candidato, per sottrarre le scelte a una pura negoziazione tra i governi e per ricondurle alla volontà democratica dei cittadini. 
Dunque, l’Europa politica è in cammino. E lo avvertiamo anche perché sentiamo gli uni con gli altri che le nostre scadenze elettorali non riguardano soltanto noi. Il 17 marzo scorso eravamo a Parigi con François Hollande, al Cirque d’Hiver. Non c’era solo la solidarietà. C’era la consapevolezza che la vittoria dei socialisti francesi avrebbe offerto anche a noi una possibilità in più. E non dovete credere, cari amici, che i nostri compagni venuti da tutta l’Europa siano qui solo per solidarietà: loro sanno che, se vince Berlusconi, è un danno anche per loro e non soltanto per i cittadini italiani. I nostri destini sono strettamente connessi tra di loro e ci sentiamo parte di una vicenda politica, di una vicenda storica che è comune.
Ecco perché è importante per l’Europa che il centrosinistra, erede della migliore tradizione democratica dell’europeismo italiano, assuma la guida del Paese. Ecco perché è importante, dopo Ciampi, dopo Prodi, che sia Bersani a portare la voce dell’Italia nel Consiglio europeo. Ed è importante che tutti insieme ci sforziamo di ridare all’ideale europeo una forza e un fascino che ha perduto, innanzitutto nella coscienza dei più giovani. 
Non possiamo accontentarci del fatto che si sia compiuta la missione dei padri. Certo, i padri hanno abbattuto le frontiere lungo le quali erano scoppiate due guerre mondiali e ci hanno dato un continente di pace, di prosperità. Si tratta di un fatto enorme e senza precedenti nella storia del mondo. 
Ma ora c’è una missione delle nuove generazioni, che è quella di vincere la paura, di rimettere in cammino l’Europa, con energia. Ed è quella di affermare la nostra civiltà, la libertà, la democrazia, i diritti sociali, la dignità inviolabile della persona. Il mondo, non solo l’Europa, ha bisogno di questi valori. Ma solo un’Europa forte e unita può affermali. 
Questa è la missione della sinistra e questo è il messaggio. E’ un messaggio di lotta, ma è anche un messaggio di speranza che lanciamo ai nostri concittadini e a tutti gli europei. 
Grazie. 

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