Discorso
17 settembre 2013

Oltre l'austerità: costruire una solidarietà europea - relazione introduttiva - versione italiana

Call to Europe III - Bruxelles, Concert Noble


Cari amici,

vi ringrazio di essere qui con noi, oggi, per la terza edizione della conferenza internazionale della FEPS “Call to Europe”. Un appuntamento che, oserei dire, sta diventando sempre più importante per la comunità dei progressisti e per i nostri interlocutori in Europa. Quest’anno, abbiamo deciso di concentrare la nostra discussione sulla necessità di costruire una vera solidarietà europea e su come farlo. 
Il momento è cruciale. Siamo alla vigilia delle elezioni europee: poco dopo le elezioni federali in Germania di domenica prossima, avrà inizio la campagna europea. 
Sono persuaso che le elezioni europee del 2014 saranno di fondamentale importanza per il nostro futuro, per il futuro dell’Europa, per molte ragioni. La UE le affronterà mentre alcuni dei suoi Stati membri si trovano ancora nel vivo della crisi economica più drammatica e l’intero progetto europeo è attraversato da un vasto moto di dubbi, risentimenti, diffidenza e biasimo reciproci. 
Questo voto rappresenta la prima occasione, per i cittadini europei, di esprimere il loro parere sulla direzione che la UE ha intrapreso a partire dall’esplosione della crisi. Un parere che oggi è senz’altro molto più informato e consapevole di quanto non fosse ancora solo pochi anni fa. 

Tuttavia, vi è un chiaro pericolo: proprio a causa della crisi, le questioni europee sono ormai entrate stabilmente nel dibattito politico nazionale, e il rischio è che la campagna alle porte contribuirà a “nazionalizzare” il dibattito europeo, invece che l’inverso (“europeizzare” i dibattiti nazionali).  
Ancora peggio: il rischio che corriamo è che questo voto risulti marcato da una profonda critica, quando non da un secco rifiuto, all’Europa da parte dei propri cittadini. 
A mio parere, se vogliamo evitare un risultato elettorale che si traduca in una crisi del progetto europeo, l’unica via percorribile è quella di offrire ai cittadini una reale alternativa, con una piattaforma comune che deve necessariamente essere coraggiosa e innovativa. Il nostro obiettivo, insomma, deve essere quello di andare al voto per cambiare la direzione attuale delle politiche europee. 
Le domande che i cittadini del nostro continente pongono riguardano la stessa esistenza del progetto di integrazione europea: si chiedono se abbiamo davvero bisogno di questa Europa, e quale ne sia, oggi, il senso. 
Non servirebbe a niente, dunque, mostrare vuoti e ipocriti slanci pro-europei. Ammettiamolo: l’Europa sta diventando sempre più impopolare, anche in Paesi, come l’Italia, di tradizione convintamente europeista. 
Come ho avuto modo di sottolineare in numerose occasioni, questa impopolarità è dovuta a due fondamentali ragioni: in primo luogo, la UE finora si è dimostrata incapace di rispondere ai bisogni e alle aspettative dei suoi cittadini. In secondo luogo, le istituzioni di Bruxelles appaiono sempre più distaccate dalla vita quotidiana degli europei, i quali sentono di non avere nessun controllo reale sulle decisioni prese da lontani burocrati tramite oscuri processi decisionali. In breve, mi riferisco a quello che è stato definito il deficit democratico dell’Unione.


Il nostro obiettivo, l’obiettivo della FEPS, è di fornire risposte e soluzioni a tali questioni. E la nostra prima risposta è chiara e semplice: sì, abbiamo bisogno dell’Europa. Tuttavia, questa risposta di per sé non è sufficiente, né lo è dire “abbiamo bisogno di più Europa”, perché l’Europa che vogliamo, l’Europa che sogniamo e che sognavano i suoi padri fondatori, non è quella che abbiamo oggi. Ecco perché è nostro dovere, come progressisti, concepire una visione alternativa e presentarla ai cittadini. 
Negli ultimi anni la FEPS ha lavorato molto in questa direzione, per contribuire a elaborare una piattaforma progressista comune per la sinistra europea. Un lavoro che ci rende orgogliosi.
Lasciatemi ricordare gli importanti eventi di Parigi, nel marzo 2012, a ridosso delle elezioni presidenziali francesi, di Torino lo scorso febbraio, e di Lipsia a maggio, nel quadro di un progetto che abbiamo significativamente chiamato “un Rinascimento per l’Europa”. Un progetto che puntava a riunire personalità politiche europee, accademici ed esperti, impegnandoli attorno a un obiettivo comune. Quello, cioè, di andare oltre i consueti dibattiti tecnici e la semplice analisi della crisi, allo scopo di promuovere e sostenere la formulazione di una visione progressista comune per l’Europa. Una visione che deve essere molto più che il minimo comun denominatore tra idee e interessi diversi e che deve fondarsi su un sentimento di solidarietà.  
Siamo tutti d’accordo sul fatto che il Trattato di Lisbona è lungi dall’essere perfetto, ma rappresenta il miglior compromesso che potessimo raggiungere allora e deve essere sfruttato in tutto il suo potenziale. E siamo d’accordo sul fatto che la democrazia europea deve essere potenziata e la cittadinanza europea deve acquistare un nuovo e reale significato.
Siamo d’accordo anche sul fatto che la crisi è europea e, pertanto, la risposta non può che essere europea. Siamo d’accordo – ed è la questione centrale della nostra discussione di oggi – sul fatto che è necessario liberare l’Europa dalla gabbia di austerità in cui è stata confinata negli ultimi anni e guidarla verso l’adozione di una nuova strategia di sviluppo. Sono questi, a mio parere, i punti essenziali per una nuova stagione europea. 
Dobbiamo riconoscere che alcuni passi in avanti in questo senso sono stati recentemente compiuti, in particolare grazie al governo francese, il quale, in seguito alla vittoria dei Socialisti alle elezioni dello scorso anno, ha iniziato a giocare un ruolo positivo in Europa. Tuttavia, questi cambiamenti non sono sufficienti.
Vi sono, infatti, alcune questioni che considero essenziali e che spero vengano analizzate in modo più approfondito nel corso del nostro dibattito odierno, quali:
l’introduzione di una politica di solidarietà in Europa per risolvere il problema dei debiti sovrani;
un’interpretazione più ampia e flessibile del Patto di stabilità, che sblocchi gli investimenti pubblici nazionali; 
una strategia europea di investimento e un nuovo e più ampio budget, che rifletta gli obiettivi della UE nel Ventesimo secolo e preveda maggiori risorse per il lavoro e la crescita, la ricerca e l’istruzione, l’innovazione e le infrastrutture;
la creazione dell’Unione bancaria europea, per contrastare la speculazione finanziaria e agevolare l’accesso al credito per le imprese, con l’obiettivo di incoraggiare gli investimenti nell’economia reale e una robusta ripresa dalla crisi; 
il completamento del Mercato unico e gli stimoli al consumo interno, per sostenere i primi modesti segnali di ripresa. A tal fine, occorre promuovere una redistribuzione del reddito, l’aumento dei salari e, quindi, una crescita trainata dal reddito stesso.   
Le prossime elezioni europee costituiscono una tappa cruciale e un’opportunità unica nel processo di costruzione dell’Europa nuova, diversa, più democratica che immaginiamo. Qualunque ne sia l’esito, esse rappresenteranno di per sé un cambiamento di portata storica. I partiti progressisti, infatti, correranno con un candidato unico alla presidenza della Commissione, e alcuni governi nazionali, come quello italiano, si sono impegnati a tenere conto della volontà degli elettori europei nell’indicazione del prossimo presidente della Commissione e a invitare il resto del Consiglio a fare lo stesso. Si tratta di un notevole cambiamento in senso democratico rispetto alla procedura abituale, attuabile senza bisogno di alcuna riforma dei Trattati, che la UE in questo momento non sarebbe in grado di realizzare.
Ma per produrre un reale cambiamento, per mantenere la promessa di una nuova Europa, molto altro resta ancora da fare. Alla FEPS continueremo i nostri sforzi e contribuiremo con le nostre idee, con le nostre proposte, con la nostra immaginazione, e speriamo che la discussione di oggi costituirà un altro passo in avanti. 
Grazie.

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