Intervista
29 ottobre 2013

Matteo senza contenuti. Premiership non scontata

Intervista di Nando Santonastaso - Il Mattino


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Il futuro del governo non dipende da Matteo Renzi, dice Massimo D’Alema, in procinto di partire per la Cina («Un lascito temporaneo», ironizza) e atteso l’8 novembre a Napoli per una serie di appuntamenti nell’ambito del dibattito per le primarie del Pd. Ma è da Renzi e dalle parole della «Leopolda» che bisogna partire per capire gli scenari possibili della politica italiana.

Pochi giorni fa lei ha detto che Renzi per non logorarsi ha una sola via d’uscita: logorare Letta. Dopo la «Leopolda» è sempre di quest’avviso? 

«Che Renzi abbia un successo mediatico garantito e un sostegno enorme da parte dei media è fuori discussione. Ma non mi pare che a questo successo corrisponda una straordinaria ricchezza e novità di contenuti. Mi ricorda un po’ quella pubblicità con Virna Lisi, ”con quella bocca può dire ciò che vuole”. Salvo poi a dimenticare che in gran parte le cose che ha detto a Firenze sono patrimonio consolidato del Pd».

A cosa in particolare si riferisce?

«Alcuni media gli hanno attribuito la novità del sistema elettorale a doppio turno: peccato che fosse già da tempo la posizione del partito. Ma non ho capito che cosa succede se gli altri il doppio turno non lo vogliono: non vorrei che pensasse che alla fine è meglio il Porcellum quando si tornerà alle urne».

Ipotesi che lei non prende nemmeno in considerazione?

«La riforma della legge elettorale è la precondizione per il cambiamento del Paese e il ritorno della politica a un ruolo ben diverso da quello attuale. Dopo lo sforzo del presidente Napolitano di garantire la nascita di un governo sostenuto dall’unica maggioranza possibile in questa fase, tocca alla politica indicare nuove strade. La riforma elettorale è il caposaldo di questo percorso. Per quanto mi riguarda sono per il maggioritario, possibilmente a doppio turno».

Quindi la pensa come Renzi?

«Ma perché, c’è qualcuno che ritiene che in Italia ci sia un sistema proporzionale? Se noi con il 30% dei consensi abbiamo ottenuto il 55% dei seggi alla Camera, vuol dire che c’è un maggioritario. Certo, un maggioritario strampalato che va sostituito con un sistema migliore. Ripeto, la riforma elettorale è decisiva, sarebbe assurdo tornare alle urne ancora con il Porcellum».

Ma dopo la ”Leopolda” il governo è più forte o più debole?

«Al di là di quello che dice Renzi, la tenuta del governo dipende da quella parte del Pdl che non vuole far cessare anticipatamente l’esperienza dell’esecutivo Letta. Se quella parte non tiene, non c’è Renzi che tenga. Lui del resto propone obiettivi che sono già parte del programma di questo governo: la fine del bicameralismo e una riforma istituzionale che metta mano al Titolo V della Costituzione sono il frutto del lavoro dei saggi nominati da Napolitano».

Ma ha senso dire basta alle larghe intese, come ha fatto Renzi, quando nei fatti il Pd sostiene un governo che punta a durare almeno fino al 2015?

«Su questo punto sono d’accordo con Renzi. Quello delle larghe intese è un esperimento a tempo, che si concluderà e che non andrà in alcun modo ripreso. E’ stata una scelta di necessità: non c’era altra ragione per un governo del genere».

Proviamo a immaginare invece che al voto si andrà in primavera: in questo caso bisognerebbe riproporre le primarie o Renzi, dando per certo il suo successo l’8 dicembre, dovrebbe considerarsi il candidato naturale alla guida del governo?

«Può darsi che possa sorgere un’altra candidatura, che qualcuno cioè voglia sfidarlo proprio com’è successo tra Bersani e lui. Renzi non potrebbe sottrarsi a questa sfida, tanto più che andremo alle elezioni con una coalizione, non certo da soli. Quindi non si può escludere che ci possano essere altri candidati a guidare il centrosinistra. La questione, insomma, non mi pare affatto risolta. Di sicuro non dipenderà solo da Renzi ma da una lunga serie di fattori».

Coalizione con Vendola o con chi?

«Penso che ci debba essere anche Sel. In ogni caso, il Pd non può avere la presunzione di andare al voto da solo. Io immagino una coalizione che raccolga anche forze di centro e della società civile. Una coalizione ampia, insomma».

Giustizia, anche Renzi vuole riformarla. 

«Ho considerato interessante che alla Leopolda si sia parlato della riforma della giustizia, anche se, da uno come Renzi, che lancia un tema così sensibile per il Paese, mi sarei aspettato qualche spiegazione in più...». 

Lei cosa intende per riforma: meno custodia cautelare, separazione delle carriere o cosa?

«Per quanto riguarda la giustizia civile bisogna porre un freno alla lunghezza insopportabile dei processi. Ma bisogna mettere mano anche a quella penale: c’è troppo ”pan-penalismo” in Italia e la depenalizzazione di alcuni reati è una strada necessaria. C’è stato un eccesso del ricorso alla carcerazione preventiva anche quando non c’erano obiettivamente pericoli di fuga, di inquinamento delle prove o addirittura sufficienti indizi di colpevolezza». 

Pensa a qualche vicenda in particolare?

«Ad esempio a quella, giustamente ricordata da Renzi, di Scaglia (il manager di Fastweb assolto dopo essere stato un anno in carcere prima del giudizio, ndr). Per fortuna in questo Paese ci sono molti casi di sentenze che smontano completamente la tesi accusatoria, confermando l’assoluta indipendenza della magistratura giudicante da quella inquirente. Sono per la piena salvaguardia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, che però deve fare una valutazione attenta della professionalità dei pm nel considerare gli avanzamenti di carriera».

Il caso Berlusconi: secondo lei la decadenza del Cavaliere è un atto dovuto o il Parlamento può e deve riconoscersi un’autonomia in cui entrano anche valutazioni di opportunità? 

«Berlusconi come uomo politico ha un dovere accresciuto di rispetto delle leggi, non un dovere ridotto. In un Paese così severo verso i cittadini in materia fiscale il fatto che la classe dirigente non rispetti la norma non è accettabile. Penso che Berlusconi dovrebbe saggiamente dimettersi da parlamentare. Questo non gli impedirebbe di esercitare un ruolo politico ma toglierebbe da disagi e imbarazzi il Parlamento ed eviterebbe questa inutile drammatizzazione. Io sono uscito dal Parlamento per… reati meno gravi – essere un leader della sinistra - e, come vede, questo non mi impedisce di occuparmi ancora di politica».

Ma Berlusconi fuori dal Parlamento indebolirebbe o rafforzerebbe la sua posizione?

«L’indebolimento del suo ruolo non deriva dalla sua presenza o meno in Parlamento, ma da una perdita di credibilità e peso anche nel suo stesso mondo, che in parte oramai non lo accetta più. Questo è il dato vero».

Ma la scissione all’interno del Pdl ci sarà o no?

«Ci sarà se Berlusconi e i suoi più accaniti sostenitori cercheranno di far cadere il governo Letta».

E sarà sempre Berlusconi il futuro del centrodestra riorganizzato?

«Le leadership si cambiano, è fisiologico in un Paese democratico. Guardi alla Gran Bretagna: i conservatori hanno potuto sostituire la Thatcher nei cui confronti Berlusconi non è nulla. E lo stesso è avvenuto con i laburisti: chi pensava che non ci fosse futuro dopo Blair è stato costretto a ricredersi».

In Parlamento è approdata la legge di stabilità: dove è possibile secondo lei migliorarla?

«Penso che la vera emergenza del Paese sia la povertà e credo che la legge di stabilità possa essere corretta per dare maggiore protezione ai ceti più deboli. Intervenire di più sul taglio del cuneo fiscale può dare qualche risposta in più, perché avrebbe un duplice effetto: sostenere le imprese nella crescita e garantire più risorse ai salari più bassi».

Chiudiamo con il Sud: il ministro Trigilia ha puntato l’indice sulle responsabilità della classe dirigente meridionale ma intanto lo scenario del Mezzogiorno è a dir poco desolante...

«Anch’io come il governatore Vendola ho trovato l’affermazione del ministro troppo carica. Non perché non ci siano delle responsabilità delle classi dirigenti meridionali ma non vorrei che si scaricassero su di esse anche le responsabilità che sono della politica nazionale. La verità è che la situazione al Sud è motivo di angoscia. Occorrebbe una terapia d’urto, che richiederebbe l’impiego  di risorse nazionali. Purtroppo  continuiamo a essere prigionieri di vincoli dettati da un’austerità dannosa per tutta l’Europa. Uno dei passi che l’Unione europea potrebbe compiere per tornare a crescere sarebbe lo scorporo degli investimenti pubblici dal rapporto deficit/pil. Questo potrebbe avere un effetto positivo anche sul Mezzogiorno».

Sta pensando per caso di tornare anche lei come Tremonti alla Cassa per il Mezzogiorno?

«No, penso che servirebbe un piano straordinario. Nel ’99, con il presidente Ciampi, noi lanciammo un grande programma, fatto di investimenti dal basso - la cosiddetta programmazione decentrata – e di credito d’imposta, che garantì un forte incentivo alle assunzioni e agli investimenti innovativi. Se si vanno a rileggere i dati economici di quegli anni, si scopre che il tasso di crescita e quello di occupazione del Sud erano superiori alla media nazionale».

Lei crede che questa terapia d’urto sia nelle corde dell’attuale governo?

«Il governo finora ha fronteggiato delle emergenze e ha pagato anche posizioni propagandistiche al PDL, come ad esempio la vicenda dell’IMU. E’ necessario che il Sud torni a essere centrale nell’agenda del governo, per il bene di tutto il Paese».

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