Discorso
1 novembre 2013

"La situazione politica europea e il ruolo dei progressisti" - versione italiana

Conferenza presso la University of Chinese people - Pechino, 1° novembre


Cari compagni, cari amici, 
è sempre un grande piacere per me visitare la Cina e sono onorato di essere qui oggi. Perciò lasciatemi ringraziare il Dipartimento internazionale del Partito comunista cinese per il gradito invito, che mi offre l’occasione di condividere con voi il mio pensiero sulle sfide che il Vecchio continente ? scosso dalla crisi più profonda che abbia mai vissuto dalla sua costituzione, oltre sessant’anni fa ? sta affrontando, su quelle che affronterà e sul ruolo che i progressisti europei stanno svolgendo e svolgeranno in questi tempi difficili. 
Tuttavia, prima di parlare del presente, vorrei ricordare brevemente cosa fosse il progetto europeo nelle menti dei padri fondatori dell’Europa all’indomani del dramma della Seconda guerra mondiale. Erano francesi, inglesi, italiani, belgi, avevano combattuto più di una guerra feroce su fronti opposti, e tuttavia avevano un piano comune, un sogno condiviso: lasciarsi alle spalle conflitti e ostilità attraverso la cooperazione pacifica e la solidarietà. L’Europa del dopoguerra è divenuta una risposta alle tragedie del passato e l’espressione di un bisogno di guarire le ferite che avevano dilaniato il nostro continente. Ecco perché gli europei hanno deciso di cancellare gradualmente le frontiere interne che dividevano i loro Paesi l’uno dall’altro, creando un’ampia zona in cui le persone, i beni e le idee potessero circolare liberamente. 
Dopo il 1989, l’allargamento dell’Unione europea era la necessaria risposta al periodo buio della Guerra fredda, che aveva separato il popolo europeo per quasi cinquant’anni. E, ancora una volta, per superare le divisioni del passato, gli europei hanno deciso di compiere un passo in avanti, ampliando gli ambiti di cooperazione, consolidando l’integrazione e istituendo una moneta comune. Quest’ultima, nonostante la pesante crisi finanziaria, rimane uno dei simboli più importanti di questa fruttuosa collaborazione tra Stati le cui relazioni passate erano caratterizzate da una diffidenza reciproca, quando non da un’aperta inimicizia.
Come è accaduto ieri, l’Europa di oggi e quella di domani saranno giudicate soprattutto sulla base della sua capacità di rispondere alle grandi sfide globali e di uscire più unita dalle crisi che l’hanno messa a dura prova. Quindi, questa dovrebbe essere la nuova prospettiva per gli europei: la costruzione di un ordine fondato sulla pace e sulla grande sfida di promuovere lo sviluppo salvaguardando al contempo l’ambiente e combattendo la povertà. Sfide che richiedono un’Europa forte, capace di superare la tentazione di rinchiudersi nel conservatorismo o di coltivare egoistici nazionalismi. 
A questo scopo, tuttavia, dobbiamo anzitutto lasciarci alle spalle la più grave crisi politica che il progetto europeo abbia mai attraversato. Politica, perché la crisi finanziaria ed economica che ha devastato le economie del nostro continente negli ultimi cinque anni si è ormai estesa alla sfera politica, a quella sociale e a quella culturale, e stiamo assistendo a una brusca caduta dei sentimenti pro-europei nelle opinioni pubbliche degli Stati membri dell’Unione. 
Questo è il risultato dei due principali difetti nella costruzione europea: da un lato, l’Europa non sembra in grado di assicurare la ripresa economica e la creazione di posti di lavoro di cui avremmo assoluto bisogno, di porre un argine al disagio sociale generalizzato che ha colpito il continente e che richiederebbe risposte urgenti.
Dall’altro lato, l’Unione è sempre più percepita dai suoi cittadini come un potere distante, burocratico, tecnocratico, distaccato dalla dura realtà delle persone comuni, che si sentono impotenti e incapaci di esercitare un’influenza o un controllo sul processo decisionale che avviene a Bruxelles. 
Le principali decisioni sulle politiche economiche, infatti, vengono prese lì, a Bruxelles, non nelle capitali europee, e devono sottostare a una lunga serie di trattati, regole, vincoli, obblighi e sanzioni. La conseguenza è che i cittadini hanno la crescente sensazione che l’opportunità, per loro, di essere coinvolti nel meccanismo decisionale o di controllarlo, di avere una voce in merito alle scelte che influenzano la loro stessa vita, sta progressivamente scomparendo. 
Non dovrebbe quindi sorprendere che il risultato di tali sviluppi sia il montare, in molti Paesi europei, di sentimenti antipolitici, che considerano la politica sempre più incapace o addirittura non intenzionata a offrire soluzioni, di un sentimento sempre più antieuropeo e, in particolare, di forze populiste euroscettiche. 
E’ un fatto che la crisi economica e finanziaria ha colpito l’Europa in un momento in cui la maggior parte dei suoi Stati membri erano guidati da partiti conservatori. A mio parere, attualmente si possono riconoscere due tipologie diverse di movimenti di destra in Europa: la destra neoliberale, che ci ha imposto le politiche di austerità che hanno reso la crisi anche peggiore di quanto non fosse, e le destre nazionaliste e populiste che troppo spesso hanno fatto leva sulle paure dei cittadini e sui sentimenti antieuropei. 
Ora però “tocca” ai progressisti: spetta ora a loro affrontare la crisi. Le prossime elezioni europee, che si terranno nel maggio prossimo, costituiscono, da questo punto di vista, un’opportunità imperdibile per i socialisti e socialdemocratici europei. L’opportunità di formare un fronte coordinato e consistente di partiti con un obiettivo comune: cambiare l’Europa. Perché l’Europa, così com’è oggi, non risponde più ai bisogni, alle speranze e alle aspettative dei propri cittadini. Noi vogliamo e dobbiamo combattere per un’Europa diversa, più unita e più democratica. 
Ciò vuol dire in particolare rafforzare il rapporto tra i cittadini, il Parlamento europeo e la Commissione. Un rapporto che è – o dovrebbe essere ? il cuore della democrazia europea, ma che è stato largamente messo da parte.
Il trasferimento di poteri al Consiglio, avvenuto negli ultimi anni, ha implicato di fatto il trasferimento di poteri verso i Paesi più forti dell’Unione ed è stato percepito come un impoverimento della democrazia. Le decisioni sono il frutto di trattative tra governi, che lasciano una mera illusione di neutralità e di legittimità, nascondendo il fatto che i Paesi economicamente più forti giocano in una posizione di vantaggio rispetto a quelli più deboli.  
Un cittadino greco, che ogni giorno è costretto a duri sacrifici per sopravvivere, pensa che questi sacrifici vengano imposti a lui e ai suoi connazionali dalla Germania. Non dall’Unione europea, quindi, ma da un altro Stato membro. In un quadro simile, divisioni e risentimenti nazionalistici tra Paesi forti e Paesi deboli si stanno acutizzando.
Quindi c’è una sorta di disallineamento paradossale tra un processo decisionale che si svolge a Bruxelles e la mancanza di un dibattito politico al livello continentale, di una dimensione politica europea e di una sfera pubblica comune. Disallineamento che deve essere corretto, se vogliamo davvero uscire dalle crisi, sia quella economica che quella politica. La riduzione degli aspetti intergovernativi e l’aumento della forza e della legittimità dell’Europa, oltre alla sua capacità di produrre una dimensione realmente politica sono le precondizioni essenziali per assicurare la ripresa. 
Non è tanto questione di introdurre dal giorno alla note riforme istituzionali radicali e di vasta portata, o di eleggere direttamente il presidente della Commissione o dell’Unione. Anche se, lasciatemelo dire, credo che alcune riforme istituzionali dovranno essere negoziate in un prossimo futuro. Tuttavia, dobbiamo anzitutto dispiegare appieno il potenziale offerto dall’attuale quadro istituzionale e, attraverso una coraggiosa iniziativa politica, dobbiamo dare maggiore legittimità democratica ai partiti politici europei e al presidente della Commissione. Questo potrebbe avvenire, da parte delle maggiori famiglie politiche europee, in occasione delle prossime elezioni per il Parlamento europeo, se ciascuna famiglia presenterà, nel corso della campagna elettorale, un programma condiviso dai partiti nazionali e un candidato comune alla Presidenza della Commissione. Questo aiuterebbe senza dubbio a ridurre il divario tra i cittadini e le istituzioni di Bruxelles. Inoltre, per la prima volta avremmo delle vere e proprie elezioni europee, e non più una mera somma di elezioni nazionali. 
Dobbiamo superare quella separazione tra politiche e politica che sta avendo effetti devastanti. Senza la politica – che significa dibattito, confronto tra opzioni diverse, scambio di opinioni, compromesso – le politiche divengono un fatto tecnocratico. Senza le politiche, la politica a livello nazionale rischia di essere sempre più ridotta a semplice narrazione, a propaganda. Quindi, qualcosa di lontano dalla vita reale dei cittadini. 
Riformare l’UE per renderla più democratica e più vicina ai cittadini è uno degli obiettivi, mentre cambiare il contenuto delle politiche dovrà essere il prossimo, puntando su crescita e sviluppo e uscendo dall’opprimente atmosfera di austerità che ha caratterizzato l’Europa negli ultimi anni. 
In primo luogo, dovremo introdurre nel quadro dell’Unione una forma di reale solidarietà reciproca. Le mancanze nell’apparato istituzionale europeo hanno finora rappresentato una barriera al progresso e alla solidarietà. I trattati e i patti si sono concentrati eccessivamente sul ruolo di coordinamento e su criteri monetari, senza alcun riferimento a regole di solidarietà o a standard sociali. Proprio questi dovrebbero diventare importanti componenti delle fondamenta istituzionali dell’Unione economica e monetaria e, oserei dire, dell’Unione nella sua interezza. In particolare, i progressisti europei dovrebbero concentrarsi sulla questione della crisi del debito sovrano. Una soluzione brillante, a mio parere, sarebbe la creazione di un Fondo di redenzione del debito, come è stato suggerito dal Consiglio degli economisti tedeschi.  
In second luogo, ritengo che l’Unione dovrebbe disporre di un budget più ampio, che dovrebbe essere in linea con grandi piani di investimento, volti a stimolare la crescita e l’occupazione. 
Una terza misura che consider essenziale dovrebbe essere l’introduzione della cosiddetta “golden rule”, che preveda che le spese per investimenti in occupazione e crescita che ho citato siano escluse dal computo del rapporto tra deficit e PIL, così come definito dal Patto di stabilità.
Questi strumenti dovrebbero essere rinforzati dall’attuazione parallela di altre misure, come la creazione di un’unione bancaria, l’armonizzazione delle politiche sociali, il coordinamento delle politiche fiscali nazionali, in particolare riguardo alla tassazione dei capitali. L’obiettivo di fondo dovrebbe essere quello di incoraggiare una crescita che non sia più solo trainata dalle esportazioni, ma che dovrebbe invece rafforzare il Mercato unico, stimolando la domanda interna agendo sull’innalzamento del potere d’acquisto delle famiglie. Ciò significa anche agire sui salari, sulle politiche del lavoro e sui diritti dei lavoratori, sulla lotta alla povertà e sul welfare.
Infine, i progressisti europei dovrebbero lavorare all’instaurazione di un nuovo sistema di regole mirate a una regolamentazione dell’economia globale e alla lotta contro la speculazione finanziaria e i paradisi fiscali. Dovremmo cercare di negoziare un nuovo “patto monetario” che, senza tassi di cambio fissi, dovrebbe consentire un certo grado di fluttuazioni, allo scopo di evitare una selvaggia svalutazione competitiva. 
In altri termini, per realizzare una vera e propria cooperazione economica, dovremo compiere ogni sforzo per ridare slancio al ruolo della politica, quella delle istituzioni internazionali e quella degli Stati. 
Prima di concludere il mio discorso, vorrei sottolineare che dobbiamo costruire un’Europa che sia in grado di agire positivamente sulla scena globale, pronta a combattere la povertà, le ingiustizie e per un mondo pacificato, lasciandoci alle spalle l’Europa che abbiamo visto fino ad ora, un’Europa rinchiusa su se stessa che rischia di essere la palla al piede della ripresa economica mondiale. 
Questi sono i nostri obiettivi. Questi sono gli obiettivi delle forze progressiste. Queste sono le priorità su cui dobbiamo formulare il programma del Partito socialista europeo, un partito aperto, al servizio di quello che abbiamo chiamato un “Rinascimento per l’Europa”. 
Credo che questo debba essere lo scopo di una nuova forza progressista europea in grado di trascendere l’esperienza del riformismo nazionale che ha dominato nel Ventesimo secolo, restituendo ai popoli europei l’orgoglio per il nostro patrimonio di civiltà e la capacità di guardare al futuro con la speranza nel cuore. 
Grazie. 



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