Intervista
26 febbraio 2015

Sud, D’Alema: c’è disinteresse. Passi indietro suoi fondi europei

Intervista di Pietro Perone - Il Mattino


Copertina_5.jpg


Fuori dall’agenda della politica, tallone d’Achille del governo Renzi, vittima del taglio del coofinanziamento nazionale indispensabile per attivare i fondi europei, il Mezzogiorno sarà il leit motiv del convegno che si terrà domani, a Napoli, organizzato dalla fondazione Italianieuropei. Massimo D’Alema, che ne è presidente, ragiona sui passi indietro compiuti rispetto a ciò che un tempo veniva definita «questione meridionale», zona d’Italia in cui «i lavoratori sono più deboli e dunque più esposti». Una situazione che verrà aggravata dal Jobs Act che, avverte D’Alema, farà diventare «tutti Co.co.pro».

Il Mezzogiorno ha perduto anche la certezza dei fondi Ue?

«È questo il rischio, in parte per la responsabilità delle stesse regioni meridionali, che non sono state in grado di utilizzare i fondi europei in modo efficace e tempestivo, in parte per colpa di misure prese dal governo, che a mio avviso sono discutibili e che finiscono per punire le popolazioni e anche gli amministratori capaci. La riduzione della percentuale nazionale del coofinanziamento, nel tentativo di punire i cosiddetti “enti inadempienti”, farà pagare un prezzo alto ai cittadini».

È dall’epoca del governo Ciampi che si discute del pieno utilizzo dei fondi Ue: ci sarà una qualche responsabilità anche delle classi dirigenti meridionali altrimenti non teme che si corre il rischio di cadere nell’auto indulgenza?

«C’è una colpa sicuramente delle classi dirigenti che nel corso di questi anni non sono riuscite a fare molto. Ricordo, però, che ci sono stati momenti importanti nella storia del Mezzogiorno in cui si è riusciti a dimostrare che questa parte del Paese non è condannata alle difficoltà. Nell’ultimo numero della rivista di Italianieuropei abbiamo cercato di capire le ragioni che hanno reso difficile l’affermarsi di una classe dirigente moderna».

Quali?

«Una delle cause principali è stata l’intermediazione perenne a cui è stato relegato il ceto politico. Non a caso, in passato il centrosinistra al governo ha cercato di eliminare l’intermediazione attraverso meccanismi automatici di utilizzo delle risorse. Purtroppo non si è proseguito lungo quella strada e oggi gli amministratori del Meridione sono tornati ad esercitare fondamentalmente un ruolo di mediazione, impoverendo quella che è la missione principale della politica: avere una visione di cambiamento, una progettualità, promuovere l’innovazione.

Responsabilità dei governi di centrodestra e di centrosinistra.

«La responsabilità maggiore è dei primi, perché è stato il centrodestra a spazzare via le politiche innovative nel Mezzogiorno varate durante una stagione di meridionalismo intelligente. E non si trattava solo di una programmazione dal basso, perché c’era anche un severo controllo dall’alto. Infatti erano stati introdotti una serie di automatismi, a partire dal credito di imposta. Finalmente si metteva l’imprenditore nelle condizioni di non cercare più il politico di riferimento che doveva garantire le risorse. Non c’erano più dunque i margini per imbrogliare, visto che per ottenere il finanziamento bisognava dimostrare che gli impegni presi erano stati effettivamente compiuti. Si chiudeva la stagione dei finanziamenti a progetti veri solo sulla carta. Quello degli automatismi è dunque il terreno su cui bisognerebbe tornare, premiando idee innovative senza la mediazione di nessuno».

Governo bocciato sul Sud?

«Da questo punto di vista non sono arrivati segnali positivi. Per certi aspetti abbiamo perfino registrato un arretramento».

Potrà servire un ministro del Mezzogiorno come ha annunciato Renzi qualche giorno fa?

«Rispetto al disinteresse di questi mesi potrebbe essere una novità, certo non risolutiva, ma che può contribuire a far uscire la questione meridionale da una condizione di marginalità. Avere annunciato la nomina è forse l’indice che c’è la consapevolezza che le cose non vanno. Speriamo che adesso seguano i fatti».

Mattarella potrà essere un punto di riferimento, nel suo messaggio di insediamento ha ricordato più volte il dramma Sud.

«Ho molta stima del capo dello Stato e non ho dubbi sul suo impegno meridionalista. È un uomo del Sud, conosce bene quella realtà. Ma la figura del presidente della Repubblica ha dei limiti costituzionali, non dispone del potere di azione che è proprio del governo».

Il caso Grecia, l’accordo con l’Eurogruppo, può cambiare il corso delle cose anche per il Sud, area debole al pari di Atene?

«La politica di sola austerità ha prodotto danni. Ad esempio, mettendo investimenti e spesa pubblica sullo stesso piano, come fa l’Unione europea, è molto più facile tagliare la prima voce, colpendo il modo particolare quelle aree che hanno più bisogno di risorse per crescita e sviluppo. Se pensiamo che negli anni ’80, il 25% del Pil europeo veniva investito, mentre oggi siamo arrivati al 15-16 per cento ci rendiamo conto del danno che subisce la parte più povera d’Europa. Al governo di Tsipras va dunque il merito di avere posto con molta energia una questione centrale. Ma il premier greco ha trovato al proprio fianco anche i socialisti europei che, ricordiamolo, sono impegnati in un governo di coalizione con i conservatori e in questa posizione cercano di ridurre i danni della politica di austerità. Da questo punto di vista ci sono delle novità positive: il piano Junker sugli investimenti e il documento europeo sulla flessibilità, il quale consente di affrontare il tema dell’interpretazione del patto di stabilità in termini meno vincolanti. Insomma, si va lentamente nella direzione giusta».

Tsipras l’ha convinta?

«Auspico una collaborazione con i socialisti, perché senza la forza dei riformisti europei che peso avrebbe il premier greco? Lui ha bisogno dei socialisti e loro non devono chiudergli la porta in faccia».

Torniamo all’Italia: il Jobs Act aiuterà il Mezzogiorno?

«Sinceramente non vedo come. A me pare che il Sud molto difficilmente potrà trarne dei vantaggi: siamo di fronte a una riforma che avvantaggia al massimo gli imprenditori della aree dove si comincia a registrare un po’ di crescita e non quelle parti del Paese dove l’economia è ferma. Questa riforma smentisce se stessa. Si era partiti dalla giusta idea di unificare il mercato del lavoro, di eliminare le discriminazioni e introdurre un sistema di tutele crescenti. Si è finiti per rendere la discriminazione permanente. Il risultato non è coerente con la positiva ispirazione iniziale. Questa riforma aumenterà la precarietà del lavoro, soprattutto per quanto riguarda i nuovi assunti».

Il contrario di ciò che sostiene Renzi: con l’eliminazione dei Co.co.pro., ha assicurato, ci saranno solo assunzioni a tempo indeterminato.

«Non è vero, perché dal momento in cui si introduce la possibilità di licenziare senza giusta causa tutti diventano Co.co.pro. A maggior ragione nel Mezzogiorno dove i lavoratori sono più deboli e dunque più esposti. Detto ciò, minori tutele non rappresentano una grande conquista dei lavoratori, da nessuna parte essi si trovino ».

Allora la pensa come Landini?

«Sto avanzando una critica che è stata già mossa in Parlamento da una parte del PD».



 


Landini
Sulla riforma avanzo una critica già
mossa in Parlamento da una parte del PD



Tsipras
Il suo intervento deciso può servire ad allentare
il rigore ma avrà peso solo se collabora con il Pse


Junker
La politica di austerità ha prodotto danni.
Colgo però segnali di novità dal piano sulla flessibilità




I finanziamenti
Vanno assegnati con criteri automatici,
l’intermediazione delle classi dirigenti impoverisce la politica

stampa