Intervista
13 novembre 2015

L’UE fatica a ridefinire i suoi obiettivi

Intervista di Osvaldo Migotto - Corriere del Ticino


Copertina_5.jpg


Presidente D’Alema il suo impegno politico è iniziato in giovanissima età, quando il progetto d’integrazione europea prendeva sempre più forma. Oggi la crisi economica e il dramma dei migranti nutrono gli egoismi nazionali e mettendo a dura prova la tenuta dell’edificio europeo. Come valuta questo difficile momento?

«Credo che il progetto europeo incontri una seria difficoltà di carattere strategico. L’Europa ha avuto una chiara missione per un lungo periodo, diciamo fino all’inizio degli anni Novanta, che è consistita nel superare il lascito delle guerre che avevano lacerato il nostro continente. Innanzitutto le due guerre mondiali e poi la Guerra fredda. Da questo punto di vista il progetto europeo ha avuto un indiscutibile successo. Se pensiamo che nell’arco di una sola generazione lungo i confini tra Francia e Germania, dove sono morti milioni di persone, noi abbiamo abolito le frontiere e cancellato la Cortina di ferro, uno deve riconoscere che l’Europa è riuscita a sanare le ferite che attraversavano il Vecchio continente. Da questo punto di vista il progetto europeo ha vinto garantendo la pace. L’Europa è l’unico continente che da una generazione non conosce guerre, salvo i Balcani, ma all’epoca erano al di fuori dell’Unione europea».

Mentre oggi cos’è cambiato?

«Una volta esaurito questo compito storico, l’Europa si è trovata in difficoltà nel ridefinire la propria missione che a mio giudizio oggi è quella di affrontare le grandi sfide che vengono dal mondo globalizzato. Vi è una difficoltà a rispondere alle nuove sfide, da quelle che riguardano lo sviluppo economico a quelle della politica internazionale, per non parlare della difficoltà ad affrontare crisi come quella dei migranti. Sono tutti segnali molto preoccupanti questi, e io vorrei attirare l’attenzione su una questione fondamentale: qual è la risposta a queste difficoltà? La spinta a una rinazionalizzazione delle politiche, che vediamo oggi operante, è una risposta completamente illusoria».

Non solo vi sono Paesi UE che cercano di rispondere in modo autonomo alle sfide del momento, ma a volte lo fanno in modo contraddittorio rispetto alle direttive di Bruxelles. Che ne pensa?

«Sì, penso che il risultato di una risposta confusa e in ordine sparso sia una progressiva perdita d’influenza dell’Europa nel mondo; questo è il problema. Il mondo sta cambiando molto rapidamente, ci sono nuovi attori, grandi potenze. Nessun Paese europeo preso singolarmente può continuare ad avere un peso reale e il destino è quello di una progressiva marginalizzazione. Si tratta di decidere se l’Europa si arrende a questo destino di marginalità oppure no. Se l’Europa non vuole arrendersi deve ritrovare la strada di un progetto comune».

Negli scorsi giorni il premier Cameron ha posto le sue condizioni; nuove basi su cui rifondare i rapporti con Bruxelles. Quella di Londra potrebbe essere una prima pericolosa picconata all’edificio europeo?

«In realtà il Regno Unito ha una presenza abbastanza marginale nell’UE. Se consideriamo che non aderisce al Trattato di Schengen, che non ha aderito all’Eurozona e la quantità infinita di opting out di cui gode il Regno Unito, non mi pare che la presenza britannica rappresenti un pilastro dell’Unione europea. Uscire dall’UE non corrisponde agli interessi della Gran Bretagna. Basti pensare alla piazza finanziaria di Londra che subirebbe danni enormi, e non è un caso se la piazza finanziaria londinese si sia fortemente mobilitata contro la prospettiva di un’uscita dall’Unione europea».

Il popolo elvetico con il referendum del 9 febbraio 2014 ha chiesto un freno all’immigrazione, anche per i cittadini dei Paesi UE. Bruxelles di limitazioni alla libera circolazione non ne vuole sentir parlare, anche se in Svizzera oltre il 20% della popolazione è straniera. Immagina che con Londra Bruxelles si mostrerà altrettanto dogmatica?

«Non lo so, spero che non vengano fatte concessioni eccessive alle pretese britanniche di trattamenti speciali, perché questo rischierebbe di incrinare il funzionamento dell’Unione in modo grave. La mia speranza è che Bruxelles tenga fede a dei criteri rigorosi, perché altrimenti si andrebbe verso una sorta di Europa à la carte in cui ognuno si sceglie le cose che gli vanno bene e scarta quelle che gli vanno male. Se si vuole andare in questa direzione lo si faccia ma allora ci vuole un nocciolo duro che condivida responsabilità ma anche determinati privilegi. Non si può pensare di scartare le responsabilità e di prendersi i vantaggi. Per quanto concerne la Svizzera va detto che si è enormemente giovata della presenza di lavoratori stranieri. Mi pare che in realtà non abbiano mai rappresentato un peso per la Confederazione; semmai una risorsa per il benessere economico complessivo. Chiaro ci sono questi momenti di ripiegamento, ma è evidente che se la Svizzera adotterà nei confronti dei cittadini dell’Unione europea delle limitazioni, l’UE farà lo stesso con i cittadini svizzeri».

Veniamo all’Italia; da quando Renzi ha preso la guida del Governo si sta meglio o peggio?

«Il Paese sta conoscendo una modesta ripresa economica, che sicuramente è un fatto positivo. La ripresa riguarda comunque tutta l’UE e quella italiana procede a un ritmo più blando. Le previsioni danno una ripresa europea intorno all’1,9%, l’1,6% nell’Eurozona e lo 0,9% in Italia. Questi sono i dati. Il premier Renzi è un giovane molto creativo nel presentare i numeri, ma i numeri anche se presentati in modo creativo sono numeri con la loro spietata oggettività. Detto questo vedremo; bisogna sperare che le cose vadano per il meglio. Non faccio il gufo, come dice Renzi con un’espressione non simpatica. Non credo sia giusto chiamare gufi quelli che criticano, o semplicemente ricordano i numeri. Non sono tra i gufi, però sono un uomo di Stato con una lunga esperienza e sono abituato a guardare i problemi per quelli che sono. Non credo che i problemi si risolvono con l’affabulazione. Diceva Nicolò Machiavelli, un altro fiorentino, ‘cum parole non si mantengono li Stati’. Una frase molto bella che va tenuta presente».


stampa