MADRID «Quel che è necessario è un profondo cambiamento nel processo di transizione». L’impegno dell’Internazionale socialista per l’Iraq è nero su bianco: «un profundo cambio», nel testo in spagnolo del documento del Consiglio di Madrid. Un «piccolo miracolo politico», dice Massimo D’Alema.
Il voto di Madrid è stato praticamente all’unanimità. Comprensivo, tanto dei laburisti inglesi, che hanno sempre sostenuto a spada tratta la scelta del premier Tony Blair di partecipare al fianco di George Bush alla guerra preventiva contro Saddam Hussein, quanto dei socialisti arabi che vivono l’occupazione militare come fonte di insicurezza per l’intera area. Il «piccolo miracolo politico», come lo definisce Massimo D’Alema, che ha affiancato il presidente dell’Internazionale Antonio Guterres nella difficile mediazione, è riuscito alla terza stesura della risoluzione, praticamente all’ultimo minuto.
Dopo che era stato mancato lo stesso obbiettivo sulla «dichiarazione di Madrid». Questa, infatti, ha nuovamente messo all’indice il «concetto della guerra preventiva con cui si pretende di legittimare ogni tipo di soluzione unilaterale». Inglesi e polacchi, che hanno avallato quel concetto, si sono sottratti all’approvazione insieme a rumeni, albanesi e israeliani. Come già era accaduto all’ultimo congresso dell’Internazionale socialista a San Paolo del Brasile. E però la consapevolezza dei crescenti rischi dell’occupazione militare in Iraq, che ormai serpeggia anche in quelle file, ha alimentato un soprassalto di interesse a contribuire alla definizione delle soluzioni «urgenti» per il processo di transizione. Quelle poi indicate nella risoluzione votata da tutti. Si tratta, anzitutto, di «dare alle Nazioni Unite la totale ed effettiva responsabilità per la transizione e la ricostruzione in Iraq, implementando la risoluzione 1511 del Consiglio di sicurezza». E, su questa base, di «organizzare una forza multinazionale in Iraq autorizzata dall’Onu con partecipazione di paesi della Conferenza islamica». Gli altri punti del documento riguardano l’«accelerazione del trasferimento del potere all’autorità irachena in cui siano riconosciute tutte le componenti della società» e la necessità che il popolo iracheno abbia una Costituzione per «uno Stato federale, secolare, democratico, multietnico e multireligioso, capace di rispettare i diritti della maggioranza e della minoranza».
Ma anche sul Medio Oriente a Madrid si è realizzata una importante convergenza, ancora più significativa perché realizzata dopo un incontro diretto tra i maggiori esponenti dei laburisti israeliani e dei socialisti palestinesi, sull’urgenza che «entrambe le parti nel conflitto si astengano dall’uso della violenza e implementino un cessate il fuoco» per arrivare alla soluzione di due Stati basata sulle frontiere del 1967. E anche su questo risultato c’è l’impronta italiana: è stata, infatti, raccolta la proposta avanzata da D’Alema di prospettare una «associazione più stretta di Israele e della Palestina con l’Unione europea come risultato del processo di pace». Un’idea - nota il vice presidente dell’Internazionale - ben diversa da quella, «sbagliata» del governo italiano di associare oggi solo Israele, perché «determina quell’incentivo alla pace che solo può sbloccare la road map e coinvolgere, insieme all’Europa, anche gli Usa e, perché no, la stessa Nato nel controllo delle frontiere a garanzia della sicurezza».
D’Alema, soddisfatto dei risultati di Madrid?«Sì. Tutto si tiene, Iraq e questione mediorientale, nella strategia della sicurezza democratica globale che l’Internazionale socialista contrappone alla guerra preventiva».
Ma i laburisti di Blair continuano a non accettare la condanna dell’Internazionale socialista alla guerra preventiva. Come siete riusciti a conciliare questo atteggiamento con l’adesione al «cambiamento» in Iraq?«È stato lo sforzo convergente sulla prospettiva a evitare una nuova rottura, che a questo punto sarebbe stata drammatica. Il mandato che Guterres e io avevamo ricevuto era di predisporre un documento che guardasse al futuro, sulla base di un dibattito che è stato durissimo contro la guerra e le menzogne sulle armi di distruzione di massa con cui si è intesa legittimarla, ma si è anche rivelato consapevole dello sforzo necessario per una via d’uscita tale da garantire non soltanto la pace e la sicurezza ma anche il destino democratico dell’Iraq. Ci abbiamo provato, per una volta positivamente».
Un marchingegno diplomatico o un compromesso politico?«La risoluzione richiama i deliberati del congresso di San Paolo, quindi il giudizio di ferma critica alla guerra è implicito. Certo, abbiamo rimosso gli aspetti più controversi della vicenda che si è consumata in Iraq, ma l’Internazionale non fa alcuna marcia indietro. Anzi, fa un salto in avanti, diventando protagonista di una svolta, come quella del coinvolgimento delle Nazioni Unite e del passaggio dei poteri in tempi certi e rapidi agli iracheni, ora avvertita come necessaria anche dalle parti coinvolte direttamente nell’intervento militare. Questo a me pare essere il dato politicamente più interessante e significativo: chi partecipa all’occupazione dell’Iraq riconosce apertamente tanto il rischio di rimanere impantanato quanto l’urgenza di uscire dalla palude».
Crede che questa novità possa contribuire ad allentare le tensioni che sono tornate ad affiorare anche nella sinistra italiana di fronte alla scadenza del decreto sul rifinanziamento della missione militare italiana in Iraq?«Mi auguro proprio di sì. Il “cambiamento” sostenuto dall’intera Internazionale socialista è la “svolta” per cui ci stiamo battendo in Italia. Mi riconosco in pieno nella riflessione di Felipe Gonzales. Ci ha dato il benvenuto in Spagna, “il paese dove il governo dice che i suoi servizi segreti non hanno fatto errori, che le sue truppe rispettano le risoluzione dell’Onu, che il conflitto è cosa passata”. Né più né meno che come il governo italiano. Ma Gonzales ci ha anche ricordato come a tanta “irresponsabilità” si deve rispondere con la responsabilità di cambiare il segno politico della situazione irachena, facendo in modo che la forza di occupazione sia sostituita da una forza internazionale sotto l’egida dell’Onu per evitare che l’Iraq precipiti nella guerra civile. La risoluzione dell’Internazionale a me sembra raccogliere positivamente l’esigenza di non abbandonare il popolo iracheno a un destino così drammatico con la realistica via d’uscita del ripristino della legalità internazionale».