Intervista
14 marzo 2004

D'Alema alla Margherita: «Il nostro destino comune»

Non ci sono più differenze tra la cultura riformista della Margherita e quella dei Ds.


Gli elettori dell'uno e dell'altro partner della lista unitaria si considerano in egual misura "di centrosinistra". Perciò, dice il presidente dei Ds dopo la mattinata trascorsa al congresso di Rimini, non serve la competizione sul terreno delle proposte. Anche per sfondare nell'elettorato deluso da Berlusconi, vale di più (a forza attrattiva della lista unitaria che non la distinzione della Margherita. A questa replica al "posizionamento" di Rutelli, D'Alema fa seguire la proposta di riunificare dopo le Europee le fondazioni culturali. La lotta al terrorismo? Ancora debole una linea alternativa a quella americana. Bossi? Un protagonista, che deve tornare tale.

Il messaggio di Massimo D'Alema alla Margherita, come principale partner della lista unitaria, è piuttosto chiaro. Investe le ultime settimane di fibrillazione tra Ds e Rutelli, quindi l'attualità più stretta. Ma parte da un'analisi molto netta di quello che sono diventati i partiti (e soprattutto l'elettorato) di centrosinistra, e si proietta al dopo 14 giugno con una proposta politica inedita: l'unione dei luoghi di riflessione politico/culturale dei partiti riformisti, in una Fondazione unitaria che elabori il nucleo della proposta riformatrice per il 2006.

Quali sono le differenze tra il riformismo dei Ds e quello della Margherita?
Io francamente non ne vedo molte. Voglio dire che vedo naturalmente i confini politici, ma mi pare ci sia un continuum assoluto tra la cultura riformista della Margherita e quella del mio partito. Ci sono nella Margherita, su alcuni temi, posizioni assimilabili a quelle della sinistra dei Ds, ma io faticherei molto a dire che i Ds nel loro insieme stanno a sinistra e la Margherita al centro, con un confine definito tra i due. Non è così, non è vero.

Due partiti uguali?
No, partiti diversi per le storie dalle quali discendono, che è una diversità importante alla quale io guardo con rispetto. Ma, appunto le provenienze sono diverse. Nel presente, e soprattutto nel futuro, non mi pare che sia più così. E guardate che questo, molto più di quanto non ci rendiamo conto noi stessi dirigenti, è clamorosamente vero tra i nostri elettori. Nella percezione che hanno di sé, che è molto importante, sia quelli dei Ds che quelli della Margherita si definiscono per la grandissima maggioranza di centrosinistra. E, in entrambi i partiti, c'è sia chi - naturalmente con proporzioni diverse - si definisce di sinistra, sia chi si definisce di centro. Ne dobbiamo prendere atto. Tanto perché sia chiaro: io mi definisco di sinistra, ma voglio dire che la percezione di sé accomuna già nei fatti questi due partiti.

Nel suo intervento al congresso, che lei ha appena ascoltato, Franco Marini ha parlato nuovamente di una Margherita partito di centro...
E io insisto: questo riguarda il dato storico. Però neanche gli elettori di Marini percepiscono la Margherita così, non parlo neppure di quelli di centrodestra, che la definirebbero direttamente di sinistra... No, guardate che noi ragioniamo ancora con le categorie dei vecchi partiti popolari, ma il bipolarismo ormai è stato introiettato dagli italiani e in dieci anni ha cambiato le cose nel profondo.

Prima conseguenza della sua analisi: sbaglia la Margherita a lanciarvi una sfida riformista.
Noi dobbiamo approfondire molti temi e innovare il nostro programma, e non c'è dubbio. Però non dobbiamo farlo in modo competitivo, perché questo non sarebbe utile a fare passi avanti ma solo a posizionare partiti e personalità. Dico questo perché ho una convinzione: per vincere, e anche per conquistare l'elettorato deluso del centrodestra, non vale più la vecchia idea di avere ogni partito dell'alleanza a presidio di una parte di elettorato. Non funziona più, se fosse così dovrebbe essere Mastella a intercettare i voti in uscita dalla Casa delle libertà.

Invece com'è?
Io credo che noi abbiamo già in tasca il biglietto vincente della lotteria, e questo biglietto si chiama lista unitaria. Che, come dimostrano tutte le analisi, ha una capacità di attrazione molto superiore a quella dei nostri partiti messi insieme per due ottime ragioni: perché è una vera novità sulla scena politica, e gli elettori delusi cercano appunto novità. E perché si presenta come una grande forza, cioè come un soggetto che dà sicurezza, capace di garantire il governo del paese a chi esattamente questo ci chiede. Allora pensiamo a come far vincere la lista unitaria, invece che alle possibilità di ognuno di noi singolarmente preso. Perché è la somma che è più moderna, ed è questo che attrae, più di quanto non potrebbe riuscire a fare l'iniziati-va competitiva della Margherita o dei Ds.

Mettiamola così: Rutelli e la Margherita, nel comune interesse della lista unitaria e della sua capacità riformista, pensano di poter fare un lavoro, e di poter lanciare messaggi al paese, come i Ds non possono permettersi di fare. Per la loro provenienza, e per il loro dibattito interno.
Ho seri dubbi che sia davvero così. E non credo proprio che una campagna - chiamiamola così - di modernizzazione della cultura politica del centrosinistra possa aver successo se condotta nei termini di una competizione tra i partiti. Che poi è anche competizione fra le persone, e francamente io per esempio su molti temi la penso in un modo a mio avviso più innovativo, rispetto a cose che sono state dette, a proposte che sono state fatte...

... come quelle recenti di Rutelli?
Sì, anche come quelle recenti di Rutelli. Non so, potrei pensare che i tempi della proposta lanciata al centrodestra sulla giustizia non siano stati proprio quelli giusti, e io credo di aver dimostrato da tempo di avere sulla giustizia qualche idea riformista.

Quanto alle "resistenze" all'innovazione interne ai Ds?
Ce ne sono, e anche con nobili fondamenti. Come ce ne sono anche nella Margherita su alcuni temi, penso soltanto alle riforme istituzionali. Ma attenzione: lo schema "Ds uguale vecchio" non solo non risponde a verità - non del tutto, almeno - ma soprattutto può frenare il nostro percorso invece di accelerarlo.

Dove porta questo suo ragionamento su partiti ormai simili, culture uguali eccetera?
Io dico questo. I congressi sono i momenti dell'orgoglio di partito, e va bene, per carità. Ho sentito che Marini ne vuole fare almeno altri due col simbolo della Margherita, alla scadenza naturale. Ho calcolato, sono quattro anni... va benissimo anche per me, sono più o meno gli stessi tempi che mi ero dato io... Ma, a parte questo, adesso faremo una campagna elettorale. La faremo insieme, e sarà una campagna elettorale con la proporzionale, il che significa anche una competizione con le altre forze del centrosinistra. In queste condizioni si sviluppa qualcosa di forte, direi quasi una fraternità... I nostri interessi saranno identici. Insieme - ribadisco, insieme - dovremo attrarre elettorato in fuga dal centrodestra. E insieme dovremo rispondere a sinistra, dove ci sono molti competitori agguerriti e una identità molto sentita e radicata (il che dovrebbe sconsigliare i leader della Margherita dall'accentuare la polemica su una frontiera dove siamo esposti). Ma il momento cruciale verrà dopo le elezioni, quando, come io credo, la lista unitaria avrà vinto le Europee.

Che succederà allora?
Be', allora tutto questo nostro dibattito sembrerà preistoria. Non si tratterà più di ragionare sul se stare insieme, ma sul come. Ecco quello che mi preme dire. Che dovremo secondo me evitare ogni affondo organizzativo, qualsiasi accelerazione, e anzi disperdere fin da adesso il sospetto che a questo si voglia andare. No, non si tratta proprio di unificare partiti, sezioni, simboli...

E di che cosa, allora?
Vorrei mutuare l'espressione usata da Prodi: cooperazioni rafforzate. Mettere in comune qualcosa senza mettere in discussione i partiti. Innanzitutto condividere qualcosa che forse sembrerà impalpabile, ma è il punto più importante: un orizzonte strategico. Cioè lo schieramento nel bipolarismo italiano non come congiuntura, ma come scelta definitiva, come destino comune. E poi dovremo cominciare a condividere, appunto come accade in Europa, anche qualche istituzione..

Quali?
Penso che dovremmo cominciare a mettere in comune la riflessione. Ragionare insieme sull'Italia del futuro. Intraprendere uno sforzo permanente di approfondimento, intanto per varare un progetto comune per il 2006. Nella mia attività di ricerca politico/culturale ho cercato invano fin qui di dare un carattere organico alla collaborazione, che pure c'è stata, con personalità, diciamo così, dell'area della Margherita. Secondo me è arrivato il momento di dar vita a una grande Fondazione culturale che metta insieme quelle esistenti, e che dia così anche un bel messaggio al paese. È una cosa che si può fare, e che sta nel mezzo tra due scenari del dopo-elezioni secondo me impossibili: la palingenesi da una parte, il tutti-a-casa dall'altra.

Veramente c'è anche l'altra questione delicata del dopo-elezioni: il gruppo parlamentare europeo...
Lo so, lo capisco. Su questo voglio solo dire che noi non potremo fare un gruppo dell'Ulivo a Strasburgo, perché i regolamenti impongono di fare un gruppo europeo. E allora, invece che radunare intorno agli italiani dei pezzetti sparsi e ininfluenti di partitini europei, perché non giocare insieme - con la forza che ci verrebbe da una vittoria elettorale che temo altri progressisti europei non avranno - la partita per rinnovare e cambiare davvero il gruppo più grande, quello dei socialisti. Trasformandolo in un gruppo del nuovo centrosinistra europeo, come noi dei Ds abbiamo proposto da tempo al Pse?

Siamo alle questioni internazionali. Il quadro cambia dopo Madrid? Ci sono margini per una nuova politica estera italiana, alla quale l'opposizione possa collaborare?
Che ci siano margini di dialogo col governo, anche su questo, dubito assai. A parte questo, Madrid è un terribile richiamo alla ferocia del terrorismo, alla radicalità della sua sfida, al fatto che questa sfida riguarda tutti e non solo gli Stati Uniti. Concordo con quello che ha detto Rutelli nella sua relazione, siamo di fronte a uri altra prova che la strategia di Bush è fallimentare e controproducente, e che la guerra in Iraq è stata un tragico errore. Questo va detto e ripetuto, anche per sottrarsi al ricatto di quelli che dicono: c'è il terrorismo, armiamoci e partiamo. Ma per andare dove? Rimane però un problema enorme per noi: siamo ancora deboli nell'individuare una alternativa a questa strategia americana tanto semplice quanto sbagliata. Come si rimuovono i focolai di tensione e ingiustizia, come si riformano le istituzioni multilaterali, quale uso si fa della forza, che è cosa diversa dal dire di no alla guerra... È una riflessione seria: gli Usa hanno fallito, ma noi?

Ultima domanda: Umberto Bossi sta male, e lei ha avuto con lui un rapporto personale...
È vero. E vorrei dire adesso, in aggiunta alla ovvia e profonda solidarietà umana, che Bossi è un protagonista vero della politica italiana. Rappresenta sentimenti e posizioni che ci sono, e ai quali lui ha dato forma politica. È una persona vera, non di plastica, e io spero davvero che possa tornare presto protagonista.

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