ROMA - "Altro che fuga, altro che disimpegno e irresponsabilità. Come i fatti dimostrano, un'altra politica estera è possibile, e il centrosinistra ne è l'espressione più compiuta e concreta". Dopo i tragici attentati di Madrid, la lista unitaria lancia la sua controffensiva sul fronte della sicurezza, del terrorismo e delle strategie internazionali utili a contrastarlo. E dopo Romano Prodi, che chiarisce la posizione dell'Ulivo sul tema della guerra in Iraq, tocca a Massimo D'Alema integrare il "manifesto" del centrosinistra con un progetto ancora più ambizioso.
"Il dramma del dopoguerra iracheno - chiarisce il presidente dei Ds, non si risolverà senza un intervento della comunità internazionale in Medio Oriente".
Per questo, dopo averne discusso a lungo proprio con Prodi, D'Alema avanza una doppia proposta: "Facciamo aderire all'Unione europea, con la formula della "associazione speciale", Israele, lo Stato palestinese e la Giordania, per offrire a questi paesi una prospettiva seria di crescita economica. E poi proponiamo loro, e anche all'Egitto e al nuovo Iraq, un'adesione alla Nato, con la formula della "partnership for peace", per offrire un quadro di regole militari che garantiscano sicurezza in tutta l'area. Solo in questo modo sarà possibile uscire dal tragico tunnel nel quale ci ha cacciati la strategia dell'unilateralismo americano".
Presidente D'Alema, l'America, con il suo unilateralismo, colma i vuoti che l'Europa non riesce a coprire. Non è così? "No, non è così. Per questo condivido in tutto l'analisi di Prodi. Che rilancia un tema essenziale, quello del governo multilaterale delle crisi, la capacità della comunità internazionale di rispondere alle sfide, non solo a quelle del terrorismo e della sicurezza, ma anche quelle dei diritti umani e dei diritti dei popoli, attraverso la rete delle istituzioni internazionali, e attraverso il prevalere del diritto internazionale. Il valore delle dichiarazioni di Prodi, che riflette la posizione del centrosinistra italiano e di tutte le forze progressiste europee, sta proprio in questo. Dobbiamo partire da un dato oggettivo: il fallimento della politica dell'unilateralismo americano. Una strategia che ha lacerato il tessuto delle istituzioni internazionali e ha gravemente indebolito il sistema delle alleanze internazionali, sostituito dal sistema che loro chiamano dei "willing", dei volenterosi, e che invece è il sistema di "quelli che si accodano" in cambio degli appalti. Quella concezione dell'amministrazione Usa ha clamorosamente fallito: la guerra in Iraq doveva portare la fine del terrorismo, l'esportazione della democrazia e la pacificazione del Medio Oriente. È successo l'esatto contrario".
Troppo spesso, nell'accezione diffusa del centrosinistra, l'invocazione del multilateralismo rischia di coincidere con la strategia del "tutti a casa". "La posizione della Lista unitaria è esattamente contraria. Non "tutti a casa", semmai "tutti in campo", ma insieme alle Nazioni Unite. Noi non vogliamo e non dobbiamo lasciare soli gli americani, perché questo aggraverebbe solo i problemi. La posizione di Prodi e quella della Lista unitaria, così come quella di Zapatero, va valutata nella sua integrità. Ritirarsi dall'Iraq sarebbe un gesto di protesta estremo, da prendere in considerazione nel caso in cui gli americani rifiutassero un intervento vero dell'Onu. Ma l'obiettivo della nostra strategia non è il ritiro: nasce invece dalla volontà di creare le condizioni per un pieno ripristino della legittimità internazionale nel dopoguerra iracheno. Una cosa è decidere una guerra, e sostenerla inviando i propri soldati. L'Italia lo ha fatto, e ha commesso un grave errore. Ma un'altra cosa è ritirarsi oggi, di fronte all'offensiva dei terroristi e alla minaccia di una guerra civile in Iraq".
Ma lei è sicuro che il continuo riferimento all'Onu, strumento non sempre efficace negli ultimi anni, risolva davvero tutti i problemi?"Realisticamente, non credo che se si va tutti in Iraq si risolve ogni problema. Ma intanto viene meno il vulnus della guerra unilaterale. Adesso sento questi famosi "terzisti" di casa nostra che continuano a criticare la sinistra, che non sarebbe capace di assumersi le sue responsabilità. Faccio osservare che noi con l'Internazionale socialista, in Iraq ci siamo andati a luglio, molto prima che partissero i nostri soldati. A Baghdad noi ci siamo stati, mentre Berlusconi non ha ancora trovato il tempo di farlo, preso da impegni più ?stressanti'. Incontrammo noi per primi il governo provvisorio e insieme definimmo un quadro di proposte: calendario certo sul passaggio dei poteri alle autorità irachene, transizione gestita dall'Onu. Le nostre responsabilità ce le siamo prese subito, all'indomani della guerra. Il fatto è che nessuno ci ha ascoltato, a partire dal governo italiano. C'era questa fantastica illusione che, sotto la guida di Bush, le potenze vincitrici sarebbero state accolte in trionfo, con tanto di bandierine e di contratti petroliferi. E' accaduto il contrario. E adesso c'è pure chi viene a chiedere più senso di responsabilità alla sinistra!"
La sensazione è che, anche con un intervento multilaterale, l'Occidente non sia in grado di fronteggiare la minaccia nuova del terrorismo globale. "È vero, ma anche questo impone un cambio di strategia. Il terrorismo non si sconfigge solo con la forza, né tantomeno con la guerra, perché non è un esercito, non è uno stato, ma ha radici culturali e religiose diffuse, è un sentimento di odio verso l'Occidente. Noi, purtroppo, lo stiamo alimentando. Diciamolo con franchezza: era difficile, per Bin Laden, immaginare uno scenario "operativo" migliore dell'Iraq occupato. Per questo serve un cambio di strategia. Il terrorismo non è solo nemico dell'Occidente, ma è nemico dell'umanità, e dunque anche del mondo arabo. Per farlo capire alle opinioni pubbliche non serve la guerra preventiva. Serve la politica. Ma soprattutto, a mio parere occorre risolvere il vero punto nodale, che resta il conflitto arabo-israeliano. Anche su questo fronte, il Grande Programma per il Medio Oriente preparato dagli Usa si è rivelato un fallimento. Gli americani non hanno capito che, oggi più che mai, la svolta globale dell'area passa per Gerusalemme. Lì c'è il principale alimento dell'integralismo islamico. Anche per ragioni strumentali. Sono convinto che i terroristi di Al Qaeda non siano affatto appassionati dalla causa palestinese. Ma è un fatto che la "usano" per portare avanti la loro folle strategia del terrore. Ed è un fatto che l'integralismo, alla lunga, ha cominciato a diffondersi nel mondo palestinese".
E non da ora, per la verità. Hamas non la scopriamo adesso, con l'uccisione di Yassin. "Vero. C'è Hamas, ci sono le brigate Al Aqsa, c'è la Jiahd. Ma come le affrontiamo? Hamas è una realtà complessa e articolata, che compi sanguinose azioni terroristiche. Ma è anche una struttura che fa assistenza sociale, raggruppa centinaia di migliaia di persone. La strategia di Sharon qual è? Le uccidiamo tutte con i missili? Non mi pare un buon programma".
E allora? "Non possiamo e non dobbiamo accettare l'idea che a Gerusalemme si combatte il terrorismo come a Madrid. A Gerusalemme ci sono tragici atti di terrorismo, inaccettabili, e che vanno condannati e contrastati con durezza. Ma c'è anche uno Stato aggressore Israele, che tende a confinare i palestinesi in una riserva indiana. A reprimerli, a umiliarli. E questo noi non sempre lo vediamo, anche a causa di un comportamento della Rai in alcuni momenti apertamente fazioso".
Presidente D'Alema, dove vuole arrivare? Qual è la sua idea? "La proposta, è chiara. Ne ho discusso a lungo, anche con Prodi, in questi giorni. Si articola in tre punti. Punto primo: la comunità internazionale deve far riprendere i negoziati, sulla base di una bozza concreta di accordo di pace, che riguarda le questioni aperte dei confini, dello status di Gerusalemme e dei profughi. Ritengo che quella di Ginevra sia una buona base di partenza. Il punto secondo è l'Europa: a Israele, allo Stato palestinese e alla Giordania noi possiamo offrire l'ingresso nella Ue, con la formula della "associazione speciale" già sperimentata per alcuni Paesi nordici, che comporti anche l'integrazione economica tra queste realtà e la loro graduale partecipazione al mercato comune europeo, alle sue regole e ai suoi benefici. Il punto terzo è la Nato: ai Paesi dell'area, includendo anche l'Egitto e il nuovo Iraq nel momento in cui sarà costituito come stato vero e proprio, noi possiamo offrire un legame all'Alleanza Atlantica, con la formula della "partnership for peace" già sperimentata con i Paesi dell'ex Urss.
Dunque, ricapitolando: integrazione economica e garanzie di sicurezza, con la doppia garanzia della Ue e della Nato. Sono proposte che andranno discusse e ragionate. Ma per noi sono una solida base di partenza, per spezzare la spirale dell'odio e offrire una prospettiva di pace al Medio Oriente".
Ne dovrete parlare, con i partner europei e con il governo italiano... "Faremo tutti i passi necessari. Per noi l'alternativa non è davvero tra andare sempre dietro a Bush per ottenere una pacca sulle spalle e intanto farci emarginare dal resto d'Europa, oppure restarcene a casa. Come si vede, noi abbiamo un nostro progetto di politica estera, attiva e concreta. E' il governo italiano che non ce l'ha. E i risultati si vedono".
Si riferisce al Direttorio anglo-franco-tedesco, che continua a tagliar fuori l'Italia? "Capisco Blair, Chirac e Schroeder. Se hanno cose serie di cui parlare, perché dovrebbero chiamare uno come Berlusconi? E lo dico con tutta l'amarezza di chi vede il proprio paese confinato in un ruolo marginale che non merita".
di
Massimo Giannini