Discorso
14 aprile 2004

Audizione del ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sulla situazione in Iraq

Commissioni Riunite (III-IV Camera e 3a-4a Senato)


MASSIMO D'ALEMA.

Signor ministro, credo che tutti noi condividiamo la preoccupazione per una situazione che diviene di ora in ora più drammatica e che, senza dubbio, ci colpisce maggiormente per la condizione in cui si trovano alcuni nostri connazionali ostaggi di milizie armate. All'origine di tale dramma vi è - non lo possiamo dimenticare - una guerra illegittima, fondata su motivazioni menzognere, che ha lacerato il tessuto della legalità internazionale e ha indebolito le istituzioni internazionali, la cooperazione e le alleanze, comprese quelle occidentali. Ciò rende oggi così difficile quel più largo coinvolgimento della comunità internazionale che lei stesso ha ritenuto necessario per cercare una via d'uscita da questa crisi così drammatica.

All'errore della guerra si sono aggiunti gli errori del dopoguerra di cui, in una certa misura, l'Italia si è resa corresponsabile. Tali errori hanno alimentato una crescente conflittualità anziché avviare un processo di pacificazione di quel paese, di cui non vi è alcun segno. Prima sono state disgregate le strutture militari e civili che certamente erano legate alla dittatura, ma erano anche un fattore di coesione del paese. Tale questione, forse, poteva essere affrontata con maggiore saggezza anziché alimentare la guerriglia attraverso la cacciata in massa dei militari e dei funzionari civili dell'amministrazione irachena. Da ultimo, vi è stata la decisione americana di sferrare un colpo ai gruppi sciiti che fanno capo allo sceicco Al Sadr, che - vorrei ricordare - avevano collaborato con gli americani. Tutte queste milizie armate non compaiono improvvisamente in Iraq, ma erano già presenti: sono le stesse che hanno contribuito alla folgorante avanzata americana. Al Sadr, addirittura, si incaricò di organizzare i gruppi di vigilanza contro i saccheggi all'indomani della conquista americana di Baghdad. Senza alcun dubbio, dunque, tali milizie hanno collaborato con gli Stati Uniti. Ora il paradosso è che persino quelli che erano contro Saddam Hussein si volgono con le armi contro le forze americane e della coalizione.

È evidente che tale situazione così drammatica richieda una svolta: torneremo a discuterne anche in una sede più generale. Forse, tale situazione richiederebbe anche l'ammissione degli errori compiuti, almeno in parte. Tuttavia, vi sono alcune questioni più immediate su cui, apprezzando l'impegno del Governo per cercare di salvare i nostri concittadini, vorrei avanzare qualche raccomandazione. Condivido anch'io che si debba fare tutto il possibile. Apprezzo che il Governo italiano si sia rivolto ad un paese come l'Iran e, forse, si potrebbe estendere tale sforzo di cooperazione ad altri paesi della regione. Naturalmente, ciò esclude il tono minaccioso ed arrogante con il quale, ancora in questi giorni, l'amministrazione americana si è rivolta al governo iraniano. Sono due linee diverse: o si chiede la collaborazione, o si minaccia.

Ho qualche dubbio, sinceramente, circa il modo in cui il Governo intende affrontare il problema delicato dei numerosi connazionali che si trovano in quel luogo. Per quanto riguarda alcuni di essi non è ben chiaro cosa stiano facendo lì: vi sono aspetti oscuri in tale vicenda che, via via, si chiariranno. Non ho dubbio che il Governo fornirà al Parlamento ed all'opinione pubblica tutte le informazioni necessarie. Credo che, così come hanno fatto molti paesi europei, compresi alcuni di quelli impegnati militarmente in Iraq, bisognerebbe invitare i civili che non si trovano in tale territorio in missione per conto del loro paese ad abbandonare l'Iraq.

Ritengo che questa sarebbe una condotta più saggia anziché limitarsi a chiedere elenchi o notizie degli spostamenti di tali persone della cui sicurezza non credo il nostro paese, il nostro Governo, le nostre Forze armate si possano far carico.

Vi è poi una seconda osservazione che è una richiesta al Governo italiano: in queste ore il rischio è che l'aggravamento della crisi determini una escalation del conflitto che si traduca in numero ancora maggiore di perdite di vite umane tra i civili iracheni. La stampa italiana non ha dato alcun peso al rapporto di Amnesty International sulla condotta delle truppe di occupazione, ma chi l'ha visto ha capito che si tratta di pagine piuttosto allarmanti. L'organizzazione americana Human Rights Watch ha deciso di promuovere un'inchiesta su Falluja dove risultano essere stati uccisi centinaia e centinaia di civili. Lo stesso governo provvisorio iracheno, quello che affianca gli americani, ha chiesto due giorni fa alle autorità militari di sospendere quella che essi hanno definito la punizione collettiva dei cittadini di Falluja. Si tratta di un'espressione sinistra: è la stessa che usava Saddam Hussein quando puniva collettivamente gli sciiti di Bassora. Alle porte di Najaf e di Kerbala vi sono le truppe americane. Credo che il Governo italiano debba chiedere agli alleati americani cui abbiamo fornito 3 mila soldati - siamo la terza presenza militare in quel paese - di fermare i massacri delle popolazioni civili, di garantire gli aiuti umanitari alle città assediate, di evitare che vi sia ancora sangue e si generi nuovo odio fino a rendere incolmabile il varco tra l'Occidente, il mondo arabo e quel tormentato paese.

Da ultimo, vi sono le questioni politiche. L'opposizione che rappresento ha chiesto una svolta: se entro il 30 giugno questa non vi sarà chiederemo il ritiro delle Forze armate italiane. Questa era ed è la nostra posizione. Oggi lei ha detto alcune cose che sembrano andare nella direzione giusta: il Governo italiano chiede una risoluzione dell'ONU, la chiederà con fermezza agli Stati Uniti. Si tratta di una risoluzione dell'ONU che, a differenza della n. 1511, ponga fine all'occupazione militare. Non sfugge a nessuno che se si vuole allargare l'impegno internazionale in Iraq bisogna che tale impegno cambi di segno. È impensabile che si allarghi la coalizione dei volonterosi: gli altri non vogliono (a mio giudizio sbagliando), i volonterosi ci sono già. Anche noi avremmo dovuto dire agli americani che la nostra presenza era dall'inizio condizionata ad un mutamento del quadro della legittimità internazionale e ad una risoluzione delle Nazioni Unite. Non lo facemmo.
Oggi un allargamento della presenza internazionale passa attraverso un mutamento di segno della stessa. Bisogna che gli Stati Uniti comprendono tale necessità. Da diverse parti in Europa si chiede ciò e sembrerebbe che lo stesso governo britannico sia orientato a chiedere tale svolta. Anche John Kerry chiede che la gestione della transizione vada sotto l'autorità delle Nazioni Unite e non degli Stati Uniti d'America. Noi l'avevamo chiesta fin dal luglio dell'anno scorso, ma allora si pensava - così si disse anche in Parlamento - che la guerra fosse finita e non vi fosse altro da fare che ricostruire ed aprire le porte alla democrazia. Si sbagliò, non pretendiamo che lo si riconosca.

Tale svolta è necessaria anche per rafforzare un clima di unità delle forze politiche italiane in un momento così difficile e così drammatico. Oggi non vi chiediamo di cedere al ricatto dei terroristi, di fuggire perché hanno preso alcuni ostaggi. Però, vi chiediamo di rendervi conto che la condotta sin qui seguita dagli Stati Uniti, e da noi avallata, ha rappresentato un tragico errore. Oggi l'Iraq è in una situazione ancora più disastrosa dell'indomani della guerra, il pericolo del terrorismo si è esteso e, forse, bisogna cambiare strada.

Lo stenografico integrale della seduta

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