Discorso
6 settembre 2006

Camera dei Deputati - Commissioni congiunte Esteri e Difesa sul decreto riguardante la missione Italiana in Libano

Testo dell'intervento


Il ministro Massimo D'ALEMA rileva che il decreto-legge n. 253 del 28 agosto 2006 assicura la necessaria copertura finanziaria alla partecipazione dell'Italia all'impegno complessivo della comunità internazionale in Libano, per quanto riguarda sia gli aiuti umanitari e di ricostruzione sia la partecipazione del contingente italiano alla missione di pace delle Nazioni Unite, che si sta dispiegando nel sud del paese.
L'impegno che l'Italia ha assunto in Libano, a seguito dell'approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701, è coerente con il ruolo di primo piano che il nostro Paese ha svolto fin dai primi giorni della crisi israelo-libanese per favorire un cessate-il-fuoco e per porre le premesse di una soluzione pacifica e negoziata (vedi allegato)

Non solo, la tesi dell'Italia è che lo sforzo che la comunità internazionale sta compiendo sul fronte libanese possa produrre effetti virtuosi innanzitutto sul fronte palestinese - che resta cuore di crisi in Medio oriente anche in considerazione della sempre più insostenibile situazione umanitaria a Gaza - e che questo impegno può produrre effetti positivi in genere nella regione medio-orientale.

Non ritiene necessario riassumere le tappe dell'iniziativa diplomatica dell'Italia, più volte discusse in Parlamento soprattutto in occasione del dibattito che ha portato alla approvazione con largo consenso da parte delle forze politiche delle risoluzioni del 18 agosto scorso. Al fine di garantire un aggiornamento rispetto a quanto riferito al Parlamento nel mese di agosto, fa presente che la linea del nostro Paese ha ricevuto un significativo avallo politico da parte del Consiglio affari generali straordinario dell'Unione europea del 25 agosto, richiesto dall'Italia stessa. Con il suo intervento nella crisi libanese, e dispiegando settemila soldati nella principale missione delle Nazioni Unite in Medio Oriente, l'Europa ha assunto per la prima volta - in un'area così strategica per la sicurezza del vecchio Continente - un ruolo di protagonista. Come più volte affermato nelle scorse settimane, osserva che l'Europa è passata, in Medio Oriente, da semplice ufficiale pagatore ad attore strategico.

Questa nuova assunzione di responsabilità dei Paesi europei ha potuto fare leva sul sostegno diplomatico degli Stati Uniti e si è combinata ad una ritrovata centralità delle Nazioni Unite, dimostrata fra l'altro dalla presenza di Kofi Annan alla riunione del Consiglio affari generali straordinario dell'Unione europea appena citato. Per un Governo che crede, come il nostro, nella gestione multilaterale delle crisi internazionali, quella in esame è una svolta di notevole significato. Quando Europa e Stati Uniti si muovono in modo unitario, come in quest'ultimo caso, il multilateralismo può effettivamente essere efficace. La partecipazione italiana alla missione di peace-keeping in Libano non risponde solo a una visione ideale delle relazioni internazionali. Risponde anche, e molto direttamente, agli interessi nazionali di un Paese come il nostro, che per ragioni geografiche, geopolitiche, demografiche, energetiche è tra i più esposti alle onde di instabilità derivanti dal conflitto medio-orientale. È un caso nel quale valori e interessi si combinano. È un caso in cui metodo diplomatico, aiuto umanitario e strumento militare possono essere complementari. È un caso in cui, infine, gli sforzi nazionali diventano sinergici con il rilancio degli organismi internazionali.

L'Italia ha sempre ritenuto che, se avesse concretamente offerto la sua disponibilità a schierare un proprio contingente militare in Libano, sarebbe riuscita a costruire un consenso europeo intorno a tale posizione. Non si è mai pensato che si sarebbe trattato di uno sforzo destinato a rimanere solitario. I fatti hanno dato ragione, a partire innanzitutto dalla decisione francese di schierare nel Paese un contingente notevole mantenendo il comando della missione UNIFIL rafforzata fino al febbraio prossimo, nonché la decisione di altri paesi europei, che hanno garantito un concorso a livello interno, e di paesi extraeuropei, molti dei quali a maggioranza islamica. Il grosso della missione militare è in effetti costruito su Italia, Francia, Spagna, cui si combinano un contributo importante della Germania nel controllo delle frontiere, un notevole dispiegamento aeronavale e un sostegno anche da parte del Regno Unito. A questi elementi si combina la recentissima decisione della Turchia di partecipare alla missione dopo il positivo esito di un difficile confronto parlamentare. Si tratta di un elemento importante considerato il valore strategico dell'ingresso di un Paese come la Turchia nella missione UNIFIL, sia in ragione della sua natura di Paese a maggioranza islamica sia in quanto interlocutore dell'Unione europea in un complesso negoziato di adesione. Si tratta di una decisione politicamente molto delicata e importante, perché si tratta dell'ingresso in UNIFIL di un attore regionale e di un Paese musulmano moderato. È una decisione che il Governo italiano saluta con grande favore e che certamente contribuirà a rafforzare i rapporti fra l'UE e la Turchia. Infine, la partecipazione del Qatar segna l'ingresso nella forza multinazionale di uno dei Paesi arabi, il che come è ovvio allarga positivamente lo spettro politico della composizione di UNIFIL, aggiungendovi uno dei membri della Lega Araba e del Consiglio di cooperazione del Golfo.

In sintesi, è potuto apparire, nel corso della lunga estate diplomatica, che l'Italia peccasse di velleitarismo nazionale. In realtà, il Governo era impegnato a costruire nei fatti - e cioè assumendosi responsabilità concrete e dirette - un solido consenso europeo e internazionale. E la responsabilità italiana, concreta e diretta, ha consentito lo sblocco della situazione, come riconosciuto dagli incoraggiamenti espressi da altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti.

È d'altra parte evidente che una missione come questa, insieme alle opportunità che produce, implica anche dei rischi molto seri che non possono essere nascosti. Sono rischi legati sia alla fragilità della situazione interna libanese, confermata dall'attentato di ieri a Sidone, sia alla precarietà dell'assetto regionale. E sono i rischi potenziali di attentati operati da cellule terroriste di varia origine. Operiamo in uno scenario diverso dal Libano degli anni Ottanta, segnato dalla presenza del terrorismo di matrice fondamentalista, che tende ad insediarsi nei territori in cui hanno luogo conflitti.

Precisa quindi che si sta lavorando, come Italia e come comunità internazionale, per ridurre queste fonti di insicurezza ai livelli minori possibili. A differenza della vecchia Unifil, questa missione nasce d'altra parte con una partecipazione militare, una catena di comando e regole di ingaggio che appaiono certamente molto più solide. Le condizioni dello spiegamento della forza sono quindi in partenza migliori di quanto non lo fossero per parecchie operazioni precedenti. Ma è evidente che il successo della missione libanese non potrà che essere misurato sul campo. E verrà garantito solo, questa è l'opinione del Governo, se lo spiegamento della forza militare verrà accompagnato da una consistente azione umanitaria (secondo le indicazioni raccolte alla recente Conferenza di Stoccolma) e da un'azione politica volta alla pacificazione effettiva del Libano. Da questo punto di vista, lo schieramento della forza militare è strumento per aprire lo spazio dì un'iniziativa politica, in Libano e nella regione. E da questo punto di vista è di conforto l'accoglienza positiva riservata alla missione militare italiana da parte delle forze politiche libanesi e da Israele.

Vanno costruite in modo progressivo e contestuale tre condizioni politiche: primo, effettivi progressi verso un accordo intra-libanese e verso una normalizzazione dei rapporti fra Israele e Libano, considerato che il conflitto è stato innescato dall'aggravamento della crisi israelo-palestinese; secondo, progressi paralleli sul fronte palestinese, per un rilancio del processo negoziale; terzo, progressi verso un coinvolgimento positivo, invece che negativo, degli attori della regione che incidono sul futuro della stabilità libanese, a cominciare dalla Siria.
Per quel che riguarda la prima condizione, è decisivo che il Governo Siniora, come prevede la risoluzione n.1701, sia in grado di affermare la propria completa sovranità sull'intero territorio. La sovranità del Libano è anche la migliore garanzia della sicurezza di Israele. L'impianto della risoluzione delle Nazioni Unite è che il disarmo di hezbollah sia il risultato dell'azione politica e militare del governo libanese stesso, assistito dalla comunità internazionale e dall'UNIFIL. Questo evidentemente significa che la forza UNIFIL non ha il mandato di disarmare direttamente hezbollah ma ha il mandato di contribuire a rendere possibile questo risultato. Sul piano politico, la sfida è che un organizzazione «mista» politico-militare, che ha compiuto atti di terrorismo e che al tempo stesso fa parte del panorama politico libanese ed è fortemente radicata nella società, sia spinta a diventare esclusivamente un attore politico nazionale, rinunciando alla violenza e all'uso delle milizie per il perseguimento di obiettivi politici. Lo sceicco Nasrallah ha ammesso l'errore di calcolo compiuto dagli hezbollah nel dare origine al conflitto recente, con i costi che ha provocato per la società libanese; bisognerà verificare e garantire nei fatti che hezbollah abbia tratto le giuste lezioni dal conflitto.
Il contesto politico, nel dopo conflitto, è in evoluzione. Il rafforzamento di Unifil è naturalmente solo il primo passo verso la soluzione della crisi, che richiede, come sviluppo immediato, la liberazione dei prigionieri e un cessate-il-fuoco permanente, quale premessa di una soluzione di lungo termine negoziata e stabile fra i governi libanese e israeliano, tra i quali non esiste un trattato di pace ma soltanto un armistizio alquanto risalente. Anche da questo punto di vista, ritiene importante sostenere che gli sforzi diplomatici di Kofi Annan, che presenterà al Consiglio di sicurezza, 1'11 settembre prossimo, nuove proposte per l'applicazione degli accordi di Tàif e delle risoluzioni nn. 1559 e 1680, nonché per la definizione della questione aperta per la demarcazione del confine internazionale, vale a dire il cosiddetto problema delle fattorie di Shebaa.

Lo spiegamento di UNIFIL verrà accompagnato dal ritiro progressivo delle forze israeliane dal Libano meridionale. Secondo quanto ha comunicato nella sua visita a Roma il vice primo ministro israeliano Shimon Peres, il ritiro israeliano verrà completato quando saranno spiegati sul terreno almeno 5000 soldati dell'UNIFIL, vale a dire una presenza militare consistente. A suo avviso, questo risultato sarebbe molto facilitato dall'abolizione immediata del blocco aereo-navale israeliano, che rende più difficile lo spiegamento di UNIFIL stessa, che complica gli sforzi di ricostruzione e che sembra dimostrare un persistente grado di sfiducia di Israele nella garanzia internazionale alla propria sicurezza. Preannuncia per domani il proprio viaggio in Israele per confermare al Governo Olmert questa posizione - che è la posizione dell'Unione europea nel suo insieme e delle Nazioni Unite - e per ribadire quanto si ritiene che sia nello stesso interesse di Israele, dopo l'esaurimento della logica unilaterale, affidarsi con fiducia alla garanzia internazionale e a una visione della propria sicurezza costruita, come nei precedenti degli accordi con Egitto e Giordania, su un accordo di pace con un Libano realmente sovrano.

La seconda condizione della stabilità regionale sono progressi concreti sul fronte israelo-palestinese. La tesi del Governo italiano è che il test del Libano, se avrà successo, possa aprire delle opportunità anche per la ripresa del dialogo fra Abu Mazen e il Governo israeliano. Sia Abu Mazen - alle prese con un braccio di ferro interno sulla ipotesi di governo di unità nazionale - che Olmert - alle prese con un delicatissimo dibattito interno sul dopoguerra libanese - hanno dichiarato nei giorni scorsi di volere sondare questa possibilità. Anche in questo caso, è del tutto inutile nascondersi le difficoltà, che dipendono anche, sul fronte palestinese, dalle divisioni interne ad hamas. Il Governo italiano ritiene, insieme all'Unione europea, che la comunità internazionale possa e debba incoraggiare due sviluppi: un cessate-il-fuoco a Gaza, dove la situazione umanitaria è ormai drammatica, al quale lavora attivamente l'Egitto; un rafforzamento di Abu Mazen volto a rendere possibile la formazione di un governo palestinese in grado di porsi come interlocutore credibile di Israele per la riapertura di un negoziato, e la nascita di un governo sulla base di un accordo internazionale.

La missione diplomatica che si accinge a compiere nei prossimi due giorni in Medio Oriente risponde anzitutto alla ricerca di una soluzione, senza dimenticare la centralità del problema palestinese ed il suo peso chiave per il futuro del Medio Oriente. La guerra libanese ha smentito, dopo l'Iraq, la validità dell'approccio secondo cui la soluzione della questione palestinese potesse restare subordinata o fosse diventata marginale. Al contrario, ciò che è diventato evidente è che la soluzione del problema palestinese e la normalizzazione dei rapporti di Israele con i suoi vicini sono precondizioni anche per porre le basi di una stabilizzazione e quindi di una evoluzione democratica della regione, il che resta un evidente interesse dell'Italia di lungo periodo.

Senza affrontare la questione palestinese, anche la lotta al terrorismo fondamentalista appare più difficile. Va finalmente capito, a cinque anni dall'11 settembre, questo punto essenziale: il terrorismo internazionale non è un nemico solo del mondo occidentale, non è solo un nemico di Israele, è anche innanzitutto un nemico delle società islamiche moderate e della loro modernizzazione e trasformazione. La non soluzione della questione palestinese è un costante motivo di indebolimento dei governi arabi moderati, del cui appoggio abbiamo bisogno, e alimenta nella popolazione civile sentimenti antioccidentali di cui si fanno forti i gruppi estremisti.

La missione dei prossimi giorni include non a caso una tappa in Giordania, Paese anch'esso vittima del terrorismo, e attore-chiave nella ricerca di una soluzione negoziale sul fronte israelo-palestinese. Più in generale, è decisivo continuare a coinvolgere positivamente - come avviato in occasione della Conferenza di Roma sul Libano - quei Paesi arabi moderati che stanno a loro volta subendo le conseguenze sia del terrorismo fondamentalista che della conflittualità medio-orientale. Gli uni e gli altri si alimentano a vicenda. Oggi è più che mai chiaro che l'esistenza di uno Stato palestinese costituisce una delle condizioni di sicurezza per Israele e per difendere l'intera area dal fondamentalismo e dal terrorismo che ne scaturisce.
La terza condizione, strettamente collegata alle prime due, è che siano compiuti dei progressi anche sul fronte dei rapporti israelo-siriani, decisivi per la futura stabilità del Libano ma anche per l'evoluzione interna al mondo palestinese, visto il sostegno siriano all'ala radicale di Meshal. Il Governo è convinto che la Siria vada messa chiaramente di fronte alla scelta vera che deve compiere: o diventare un attore responsabile nell'attuazione della risoluzione n. 1701 o restare prigioniera di un «auto-isolamento» che a medio-lungo termine non le darà nessun beneficio; così come non le darà benefici l'alleanza tattica con l'Iran. I primi discorsi di Bashar Assad, dopo il cessate-il-fuoco, non sono certo stati incoraggianti e anche per questo l'Italia ha reagito con fermezza. Tuttavia, nella sua missione a Damasco, Kofi Annan ha raccolto alcune prime rassicurazioni sull'intenzione siriana di non ostacolare la missione di UNIFIL. È cruciale che questi segnali si consolidino e si concretizzino. D'altro canto, la comunità internazionale dispone degli strumenti tecnici adeguati per intercettare trasporti di armi da un confine all'altro e valutare eventuali conseguenze nei confronti della Siria, secondo quanto previsto dal diritto internazionale.
Una svolta virtuosa della Siria metterebbe in condizioni migliori nel difficile confronto con l'Iran sulla questione nucleare. Per quanto il tema sia essenziale, ritiene che in questa sede ci si debba limitare ad affermare che l'Italia cercherà di costruire, anche su questo dossier, una posizione europea solidamente comune, che vada oltre l'esperienza del gruppo 5+1 e degli UE-3. Si potranno vedere subito i risultati dell'incontro fra Javier Solana e Ali Larijiani che sono stati preparati all'ultima riunione informale in Finlandia.

È altrettanto importante che il grado di consenso internazionale appena raggiunto sul Libano non si incrini sul nodo iraniano. Si verificherà nelle prossime settimane, che vedono fra l'altro appuntamenti importanti ai margini dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York. L'Europa, se avrà successo nell'implementazione della risoluzione n. 1701, acquisterà un'immagine diversa nello percezione israeliana e potrà facilitare più efficacemente la soluzione del problema palestinese. Per consolidare tale ruolo, va però mantenuta la ritrovata consonanza con gli Stati Uniti, che fa poi la nostra forza contrattuale. Si tratta di una condizione per l'efficacia dell'azione multilaterale.

Agli sforzi di carattere politico e diplomatico deve accompagnarsi un forte impegno della comunità internazionale nel settore umanitario ed in quello della ricostruzione post-bellica. Nel complesso, alla Conferenza di Stoccolma del 31 agosto scorso i Paesi donatori si sono impegnati per un ammontare superiore ai 940 milioni di dollari; l'Unione Europea nel suo complesso ha assicurato un contributo di circa 330 milioni di euro. Per quanto riguarda l'Italia, il decreto-legge n. 253 autorizza la spesa di 30 milioni di euro per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in questa immediata fase post bellica.
Alla luce di quanto finora rilevato, si tratta di uno scenario complesso, carico di rischi e opportunità. L'Italia deve far valere le sue ragioni e il suo ruolo sul piano politico, oltre che sul piano militare e dell'azione umanitaria. A tal fine è essenziale il mantenimento del clima politico, proficuo e non pregiudiziale, che si è istaurato fin dall'inizio tra Parlamento e Governo, e che attiene alla comune assunzione di responsabilità in un contesto in cui l'Italia gioca un ruolo specifico.

Allegato

DOCUMENTAZIONE DEPOSITATA DAL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI SULLE INIZIATIVE PER LA RICOSTRUZIONE DEL LIBANO

A) Iniziative già finanziate dalla Cooperazione italiana.

Il programma di cooperazione ordinario dell'Italia con il Libano prevedeva già prima del conflitto crediti di aiuto per oltre 82 milioni di euro (circa 54 nel settore idrico e 28 nel settore della protezione dell'ambiente, del patrimonio culturale e nel settore agro-industriale) e doni per circa 4 milioni di euro, da impiegare nel settore sanitario e in quello agricolo.
Per quanto riguarda i crediti di aiuto, sono da segnalare in particolare gli interventi in corso nel settore idrico e in quello dell'aggiornamento tecnologico:
i) i principali interventi in corso nel settore idrico riguardano il finanziamento a credito d'aiuto dell'impianto di trattamento dei reflui urbani per la città di Zahle (23 milioni di euro) e la rete di acqua potabile e fognaria di Jbeil (39,5 milioni di euro);
ii) nel settore relativo all'aggiornamento tecnologico, la fornitura di apparecchiature informatiche e di programmi gestionali alla Banca Centrale, a cui si aggiunge una componente di formazione, finanziato per un valore di 5,6 milioni di euro.

Per quanto riguarda la componente a dono, si segnalano i programmi nel settore sanitario ed in quello agricolo:
i) nel settore sanitario, l'aggiornamento del personale infermieristico, per un valore superiore a 1 milione di euro; il rafforzamento istituzionale del Ministero della Sanità (500 mila euro); la realizzazione di un Laboratorio Centrale del Ministero della Sanità (800 mila euro) ed un piano nazionale per l'assistenza sanitaria di base;
ii) nel settore agricolo è in corso di svolgimento: un progetto agricolo integrato (per un importo di 1,9 milioni di euro) nella regione di Baalbeck-Hermel, attraverso il quale si intende promuovere un'economia alternativa a quella delle colture illecite sviluppatesi nel corso del conflitto; il programma per la Produzione di materiale vegetale certificato (1,2 milioni di euro), la cui realizzazione è stata affidata al Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici nel Mediterraneo di Bari, congiuntamente all'Istituto di Ricerca Agraria del Libano.

Lo scorso maggio sono stati poi firmati gli accordi attuativi relativi a due programmi integrati di sviluppo socio-economico delle aree depresse, entrambi da finanziare con risorse a dono e rispettivamente del valore di 6,7 milioni di euro (Programma affidato all'UNDP e rivolto alle regioni del Sud del Libano) e di 4 milioni di euro (Programma affidato all'Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari) entrambi adattabili alle nuove esigenze emerse dalla guerra.

B) Iniziative per la ricostruzione del Libano.

Tra luglio e agosto la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) ha inviato aiuti umanitari e di emergenza consistenti in generi di prima necessità per un valore complessivo di oltre 1,35 milioni di euro (tra cui materiali raccolti anche dalle Regioni, dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa Italiana).
La DGCS ha inoltre autorizzato, a valere sul canale multilaterale (Fondi bilaterali di emergenza presso Organismi Internazionali) finanziamenti in favore dell'OMS, del PAM e di OCHA per un valore complessivo di 540 mila euro.
A seguito della missione in Libano del Ministro e delle altre missioni ivi compiute dal Ministero degli Affari Esteri e delle indicazioni pervenute da parte del Governo libanese, il Governo italiano ha stanziato 30 milioni di euro per la realizzazione di interventi di cooperazione allo sviluppo destinati al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione libanese.
L'Italia intende infatti contribuire al ripristino di servizi di base ed infrastrutture danneggiati a seguito degli eventi bellici, in coerenza con il suo già rilevante impegno bilaterale in Libano.
L'idea di fondo è quella di creare un programma articolato e multisettoriale in parte sul canale dell'emergenza ed in parte sul canale bilaterale, secondo una ripartizione di fondi che dovrà essere delineata non appena saranno stati definiti in maniera puntuale i singoli interventi e nel quadro delle azioni sinora svolte dalla Cooperazione italiana.
Si tratta di due componenti strettamente interconnesse, essendo necessario in via preliminare ricostruire le vie di comunicazione, sia per garantire il trasporto degli aiuti, sia per i benefici economici che derivano dal ristabilimento della piena circolazione delle merci e dei servizi tra le diverse zone del Paese e poi intervenire in favore della popolazione colpita.
In quest'ottica si intende ricostruire un ponte che attraversa il fiume Damour sull'autostrada che da Beirut conduce a Sidone e Tiro, e quindi al sud del Paese, e di uno svincolo stradale che, a poca distanza dal ponte, collega l'autostrada allo Chouf e quindi alle zone a maggioranza drusa e cristiana.
Per ciò che concerne le attività in favore della popolazione, le gravi distruzioni dei villaggi del sud del Libano hanno riguardato sia le attività e i beni privati sia i servizi pubblici. Occorrerà pertanto ripristinare i servizi di base (sanità, approvvigionamenti idrici, educazione, energia, viabilità, attività economiche). La contrazione dei consumi ha inoltre causato gravi difficoltà all'occupazione e al reddito in generale. Dal momento che esistono differenze tra i vari villaggi danneggiati, l'intervento italiano si pone l'obiettivo ambizioso di coprire l'insieme dei servizi economici e sociosanitari ritagliando programmi specifici per le singole realtà territoriali destinatarie di interventi della Cooperazione italiana. A tale fine l'Italia intende avvalersi delle sue ONG già presenti sul territorio e che operano da tempo in stretto raccordo con le autorità municipali e con la società civile libanese. Nel contesto di tale pacchetto di interventi l'Italia intende altresì destinare una parte dei fondi stanziati per il Libano in favore di attività di sminamento umanitario, considerate indispensabili e preliminari a qualsiasi attività di ricostruzione.

C) La Conferenza dei Donatori per il Libano.

Le Conferenze dei Donatori per il Libano e la Palestina di Stoccolma si sono chiuse con un lusinghiero successo per la Svezia, che è riuscita ad organizzare in breve tempo un evento che ha registrato la partecipazione ad alto livello di delegazioni di circa 50 Paesi ed di una decina di Organizzazioni Internazionali.
Ma è stato soprattutto in termini di pledges annunciati (940 milioni di USD per il Libano e circa 500 per la Palestina) che la Conferenza ha centrato il suo obiettivo, essendo state di gran lunga superate le attese del Paese ospite, che aveva stimato in 500 milioni di USD la soglia auspicata di contributi per il Libano.
Altrettanto significativo è stato il numero dei Paesi donatori essendosi registrata una decisa adesione di paesi che normalmente non sono presenti in questo tipo di eventi, mi riferisco in particolare ad alcuni Paesi mediorientali (Egitto, Giordania, Kuwait, Marocco, Qatar, Tunisia, Arabia Saudita) che hanno annunciato di aver già stanziato contributi finanziari ed aiuti umanitari per un valore di circa 1 miliardo di USD, ma anche a finanziamenti annunciati da parte di Paesi che tradizionalmente non figurano fra il novero dei maggiori donatori (Russia, Australia, Irlanda, Polonia, Brasile; Finlandia).
Per ciò che concerne i settori di intervento sono state ribadite, d'intesa con il Governo libanese ed in linea con gli appelli delle Agenzie delle Nazioni Unite presenti in Libano, le seguenti priorità: Sminamento, Riabilitazione delle Infrastrutture e delle Reti Idriche, Sanità, Educazione, Ambiente ed Agricoltura, Riavvio delle attività economico-commerciali ed industriali, Assistenza ai rifugiati palestinesi in Libano, Assistenza agli sfollati.
Per tutti questi settori si è tenuto a sottolineare l'importanza di una piena ownership del processo di ricostruzione da parte delle Autorità libanesi che si sono impegnate ad evitare che gli aiuti stanziati dalla Comunità Internazionale finiscano nelle mani di hezbollah. A questo riguardo il Governo libanese ha anche confermato l'intenzione di voler organizzare in qualche mese una seconda e più ampia Conferenza dei Donatori per il Libano per raccogliere fondi destinati ad attività di ricostruzione di più lungo respiro.
L'annuncio del contributo di 30 milioni da parte del Governo italiano che la Vice Ministra Sentinelli ha correttamente inquadrato nel contesto del più ampio contributo deciso dal Governo per il finanziamento della missione militare è stato accolto con grande soddisfazione sia dal Governo libanese che da parte di tutti gli intervenuti, che non hanno mancato di sottolineare la generosità e la tempestività del nostro contributo alla crisi libanese.

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