Intervista
24 settembre 2006

Interessi e strategie dell'Italia

Intervista di Stefano Vaccara – America Oggi


Il mondo è alle prese col grande problema di darsi un nuovo ordine dopo la fine del bipolarismo. Io credo che "sia interesse anche degli americani che un nuovo tipo di ordine mondiale abbia un carattere policentrico... un ordine di cooperazione con l'intelaiatura istituzionale intorno alle Nazioni Unite e a questo policentrismo multipolare fatto di grandi istituzioni regionali, di cui una delle più importanti è l’Ue...".

Così ci rispondeva Massimo D'Alema, oggi ministro degli Esteri italiano, durante una intervista pubblicata su questo giornale il 23 settembre del 1996, esattamente 10 anni fa. D'Alema, allora leader del PDS, maggior partito della coalizione del primo governo Prodi, si trovava a New York per la prima volta. Due anni dopo ci tornerà da primo ministro.

Di nuovo a New York in questi giorni per i lavori dell'Assemblea generale dell’Onu, il ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio del nuovo governo Prodi, ci ha concesso l'intervista sulla "nuova" politica estera italiana. L'appuntamento è per giovedì sera, siamo nello studio del Console Generale Antonio Bandini. Si sente il brusio impaziente della sala fuori, gremita dagli invitati al ricevimento offerto dal Consolato in onore del ministro. Gli addetti stampa, cordiali, efficaci quanto implacabili, ci ricordano che avremo solo dieci minuti. Oltre a Bandini, seduto vicino a noi, anche l'ambasciatore Giovanni Castellaneta.

Abbiamo poco tempo, ma tiriamo fuori dalla borsa proprio quella intervista di dieci anni fa titolata "II Massimo dei due mondi". Si ricorda D'Alema? La guarda velocemente, riconosce qualche frase, sorride e dice "molto bene". Così iniziamol’intervista proprio rileggendogli quella sua risposta ad una nostra domanda sul futuro delle relazioni internazionali.

Sono passati dieci anni con l'il settembre in mezzo: questo "multipolarismo funzionante" di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni, è forse la fase matura di quel "policentrismo multipolare" di cui parlava dieci anni fa?

"Ad una domanda di questo genere, se io fossi Stalin risponderei: 'sì'. C'è infatti ima famosa intervista in cui gli chiedono: 'Ma è vero che l'Unione Sovietica, mentre l'America imperialista fomenta la guerra, si batte per la pace etc etc', ecco il leader sovietico risponde: 'sì'. Siccome io non sono Stalin, ma sono un esponente democratico, ho il dovere di dare qualche spiegazione. Prima di tutto la domanda mi fa piacere perché è una testimonianza, non direi della mia coerenza, ma forse della mia testardaggine. Cioè del fatto che continuo a pensare che l'ordine del mondo debba essere multilaterale. Non è pensabile che la responsabilità di governare un mondo così complesso sia sulle spalle di una sola potenza, perché è troppo pesante, anche per gli americani. Persino per una potenza come gli Stati Uniti d'America, che lo sono una grande potenza. L'esperienza di questi anni, di quello che è stato chiamato l’unilateralismo americano, dimostra che effettivamente è così. Dimostra che la ricetta unilaterale non ha funzionato. Allora, dieci anni fa, c'era un'America diversa, con Clinton non c'è dubbio era più attenta alle ragioni dell'Europa. Poi abbiamo avuto l'esperienza dell’unilateralismo, adesso la mia sensazione è che l'America stia tornando a cercare di far vivere un sistema di alleanze, un sistema di istituzioni senza il quale persino la grande potenza americana non sarebbe più in grado di trovare soluzioni..."

Una fortuna quindi per il vostro governo che si ritrova a lavorare con questa America, rispetto ai vostri predecessori...

"Devo dire che noi abbiamo avuto la fortuna di arrivare in un momento in cui c'è da parte americana una maggiore attenzione all'Europa, alle Nazioni Unite, rispetto a quella che abbiamo conosciuto qualche anno fa al momento della crisi irachena."

Il governo Berlusconi è stato accusato di troppo "filoamericanismo" a discapito dell'Europa. Voi avevate promesso di "riequilibrare" la politica estera italiana. Si trattava di "semplificazioni" da campagna elettorale, oppure lei e Prodi avete in effetti dovuto subito riorientare i rapporti transatlantici dell'Italia?

"Non direi che la differenza fra noi e il governo precedente sia nel fatto che noi siamo meno amici degli americani. Forse si potrebbe dire che siamo amici in modo diverso, su qualche punto..."

Vi sentite forse più amici dell'Europa?

"Siamo molto impegnati per rilanciare l'unità europea, forse più dei precedenti governi. E vogliamo costruire un rapporto con gli Stati Uniti che si muova dentro il quadro di una relazione fra Unione europea e USA. Questo può sembrare un sofisma, ma non lo è. Cioè, io sono convinto che il ponte translatlantico approda a Bruxelles. Poi naturalmente tutti lo vogliamo sorreggere, però è molto importante che un paese come l'Italia, che sicuramente ha un rapporto speciale con gli Stati Uniti, di particolare amicizia, anche più di altri paesi europei, ecco debba contribuire a rendere forte il rapporto fra Europa e Stati Uniti. Mentre invece la logica di ritagliare in Europa una 'coalition', di paesi più legati agli Stati Uniti, di 'willing' etc, magari in contrapposizione con altri paesi europei, questa logica non è produttiva. Divide l'Europa ma alla fine non è utile neanche agli americani."

Allo scoppio della crisi Israelo-Libanese, l'Italia è apparsa subito prontissima nel cercare soluzioni per risolvere la crisi. Infatti alla risoluzione dell’Onu che ha sospeso i combattimenti si è arrivati grazie alla disponibilità dell'Italia di impegnarsi nel contingente di caschi blu. Ora, e lo testimonia anche l'incontro Prodi - Ahmadinejad all'Onu, Roma sembra nuovamente la più attiva nella trattativa sul nucleare con l'Iran, tanto ormai da essere stata inclusa nel gruppo di paesi che si occupano del dossier iraniano (da 5+1 si passa con l'Italia al 5+2). Oltre all'interesse dichiarato nella pace e nella stabilità della regione, in queste due crisi l'attivismo della politica estera italiana quanto è stato condizionato dal fatto di essere, l'Italia, il primo partner commerciale del Libano e dell'Iran?

"Io credo che noi abbiamo sicuramente lavorato per fermare il conflitto in Libano a cominciare dalla conferenza di Roma, un momento molto importante. E che fu voluta dagli americani. Abbiamo lavorato per fermare il conflitto in Libano d'intesa con gli Stati Uniti, e con la consapevolezza che per fermarlo bisognava introdurre una novità, perché certamente Israele non avrebbe potuto accettare di tornare alla situazione precedente. La novità era quindi rappresentata da questa presenza internazionale di garanzia al confine fra Israele e Libano. Idea che lanciammo immediatamente alla conferenza di Roma, ma Prodi ne aveva parlato già anche al G8 di San Piefroburgo. Idea che noi abbiamo poi perseguito, non come un progetto italiano, ma come un'idea su cui poi impegnare l'Europa. Il maggior successo, secondo me, è stato proprio quello alla fine di incoraggiare l'Unione Europea ad assumere questa responsabilità, sia pure con un particolare impegno dell'Italia. Adesso sull'Iran lo scenario è diverso, anche perché fortunatamente non ci sono guerre. Però tuttavia c'è un complesso negoziato da portare avanti. E' evidente che l'Italia ha anche un interesse nazionale. Noi siamo un grande paese del Mediterraneo che ha una molteplicità di rapporti economici, commerciali, culturali con tutto il mondo islamico. E' chiaro che l'Italia da questo punto di vista è interessata in modo vitale ad un rapporto positivo fra l'Isiam e l'Occidente, a contrastare il fondamentalismo e a fare avanzare le azioni di pace in tutto il Mediterraneo. La politica estera è anche, non soltanto, ma certamente anche un modo di rappresentare, proiettare gli interessi nazionali di un grande paese come l'Italia. La nostra non è soltanto, diciamo, un'azione umanitaria."

Nel valutare l'intervento italiano nella crisi libanese, non bisogna dimenticare insomma che l'Italia in Medio Oriente è una grande potenza economica...

"L'Italia è una potenza economica, un grande paese esportatore, un paese che ha fortissimi rapporti con questi paesi. Tuttavia nel rapporto con l'Iran, innazitutto noi siamo impegnati per raggiungere l'obiettivo che la comunità internazionale si propone. Che è quello che l'Iran non si doti di armi nucleari. Certo noi siamo interessati, come tutti, a raggiungere questo obiettivo attraverso i negoziati, verso una soluzione non solo pacifica ma direi che sia anche vantaggiosa per l'Iran. Come è noto c'è un'offerta, ci sono delle contropartite. Per noi è importante questo. Noi non siamo fra i negoziatori, però sicuramente l'Italia ha un ruolo, l'Italia vuole incoraggiare l'Iran."

Forse non siete ancora tra i negoziatori ufficiali, ma lo sarete...

"Adesso noi siamo... certamente nell'ultimo periodo siamo stati coinvolti nei momenti di discussione e di decisioni comuni. Poi vedremo.

Alla conferenza stampa tenuta questa mattina all'Onu da Ahmadinejad, a chi gli chiedeva come fosse andato l'incontro con Prodi, il presidente iraniano ha risposto che il suo paese ha un grande interesse nel rinforzare la storica amicizia che lo lega all'Italia. A chi gli chiedeva se in precedenti dichiarazioni avesse voluto veramente affermare di volere la distruzione di Israele, ha risposto che la sua ostilità era rivolta non nei confronti degli ebrei ma verso il sionismo. Per lui i sionisti sono sfruttatori che hanno tolto la terra al popolo palestinese, e secondo il presidente iraniano i sionisti non sarebbero nemmeno ebrei... Dato che lo Stato d'Israele è stato fondato dal movimento sionista, e in Medio Oriente volere la distruzione del sionismo equivale a volere quella di Israele, ascoltandolo all'Onu Ahmadinejad, ci sembra che egli confermi la volontà del regime di Teheran di desiderare la ditruzione dello stato israeliano. Ora può l'Italia avere "stretti rapporti di amicizia", come li ha definiti il presidente iraniano, con un regime che continua a negare anche l'Olocausto?

"Noi non siamo amici di nessun regime meno che mai del regime iraniano, ed abbiamo in modo assolutamente chiaro e fermo condannato certe affermazione del presidente Ahmadinejad, quando egli disse per la prima volta che si doveva distruggere Israele, cosa che oggi lui ha inteso correggere, perché le similitudini che lei fa non sono sicuramente prive di un fondamento, tuttavia è evidente che l'intenzione oggi è quella di correggere la forza di quella affermazione. Poi, credo anche io che non si possa accettare una pregiudiziale antisionista, però tutto sommato credo che l'intenzione di Ahmadinejad fosse quella di correggere la brutalità di quella affermazione. Volevo dirle però che all'epoca noi non eravamo al governo, eravamo all'opposizione. Ed io partecipai personalmente alla manifestazione di solidarietà con Israele che fu promossa davanti all'ambasciata iraniana. Non eravamo al governo, non avevamo nessun obbligo ma abbiamo sentito un dovere morale di testimoniare la nostra solidarietà al popolo d'Israele.

Quindi non c'è nessun dubbio su quello che noi pensiamo di affermazioni come quelle di Ahmadinejad. Ma siamo amici dell'Iran, che è un grande paese, 70 milioni di abitanti, una grande civiltà, una grande cultura. Insomma nella posizione politica dell'Italia sono del tutto evidenti questi aspetti: la fermezza nel respingere queste affermazioni aggressive, intolleranti, e l'atteggiamento di amicizia verso quello che è un grande paese che noi vogliamo recuperare ad un rapporto normale con la comunità internazionale. Non credo che ci sia una contraddizione."

Un altro tema centrale nei lavori di questi giorni: la riforma del Consiglio di sicurezza. Prodi nel discorso all'Assemblea dell'Onu ha detto che quando l'Europa agisce unita, fa la differenza. Ma lo scontro sulla riforma del CdS, che vede da una parte l'Italia alleata con Pakistan e Messico con una proposta che stoppa l'ingresso a membro permanente della Germania (e del Giappone, il famoso 'quick fix'), ecco sicuramente questo scontro ci appare come un atteggiamento schizzofrenico di disunità europea in politica estera. Avete tentato con i tedeschi, di sedervi ad un tavolo e trovare una formula che possa soddisfare le aspirazioni di entrambi e soprattutto non far apparire l'UE cosi schizzofrenica?

"Guardi, purtroppo in materia di riforma della Nazioni Unite, l'Unione Europea finora non c'è stata. Sono stati protagonisti gli stati nazionali in questo dibattito e chiaramente ognuno cercando di far prevalere i propri interessi nazionali. Noi italiani invece sosteniamo che dovrebbe esserci l'Europa in questo dibattito. Sosteniamo che sarebbe utile avere un seggio europeo, e cioè che l'Unione Europea fosse rappresentata nel Consiglio di sicurezza in quanto tale. Questo rappresenterebbe senza dubbio un grandissimo passo in avanti. Detto questo però io credo che oggi si profila la possibilità di andare oltre la contrapposizione che lei ha ricordato, che non è soltanto una contrapposizione europea. Questo dibattito ha diviso l'intera comunità internazionale. Cioè il tentativo di imporre il numero dei membri permanenti attraverso un colpo di maggioranza, è fallito sostanzialmente, perché si è determinato un movimento, di cui l'Italia è il promotore, 'United for Consensus', che ha sostanzialmente visto la partecipazione di un numero tale di paesi che ha bloccato il tentativo di un colpo di mano. E adesso bisogna aprire una discussione, un confronto, un negoziato, che ci consenta di trovare soluzioni di sintesi. Naturalmente noi, tantissime volte, abbiamo parlato con i tedeschi di queste questioni per superare una contrapposizione che sicuramente non è utile e che noi non abbiamo mai cercato, anche perché comprendiamo benissimo l'ambizione della Germania. Io mi ricordo che una delle prime discussioni fu con Schroeder, quando lui era cancelliere ed io ero primo ministro. E gli dissi, scherzando: 'Noi siamo fuori perché abbiamo perso la guerra insieme, ma adesso non potete pensare che noi la perdiamo da soli'. Così è in realtà, la struttura del Consiglio di Sicurezza nasce nel dopoguerra, condizionata evidentemente dalla vicenda e dall'esito della Seconda Guerra Mondiale. Io credo che c'è spazio per una riflessione che ci porti oltre queste contrapposizioni che non hanno prodotto nessun effetto perché alla fine non si è potuto decidere, e noi siamo disponibili a ricercare nuove ipotesi. Adesso è presto per presentarle".

I collaboratori del ministro, sempre cortesi ma inflessibili, interrompono l'intervista dopo venti minuti perché non c'è tempo, bisogna tornare dagli ospiti del consolato. Peccato, tra le tante domande che avevo in scaletta (come quella sul leader venezuelano Chavez che oltre a parlare di "Bush the devil", ha detto che "le Nazioni Unite non sono da riformare ma da rifondare": l'Italia che ne pensa?), c'è ne era una sulla crisi in Sudan, che, riusciamo a dire al Ministro degli Esteri, 'posta a D'Alema assume dei significati particolari'. Ecco, riesco a dire questo mentre mi alzo per avviarmi verso l'uscita.
Il ministro degli Esteri italiano mi blocca e dice:
"Capisco benissimo, e alla sua domanda avrei risposto così: io sono del parere che quando sono in discussione i diritti umani, c'è una responsabilità, 'responsibility to protect', e io credo che anche in Darfour noi dobbiamo esercitare questa responsabilità".

La nostra domanda completa sarebbe stata questa: Crisi del Darfour. posta a lei la domanda assume un significato particolare, lei era infatti a capo del governo italiano che partecipò al primo intervento militare della NATO contro uno Stato sovrano per evitare la messa in atto di un genocidio. La situazione del Darfour non presenta forse gli stessi elementi di quella del Kosovo? Se l'Onu non riuscisse a convincere con le buone il governo sudanese, potrebbe intervenire la NATO come avvenne con Belgrado? O forse il genocidio in Africa, come avvenne in Rwanda, resta "figlio di un Diavolo minore"?
Usciamo dallo studio del console soddisfatti, il ministro D'Alema ha risposto anche alla domanda che non abbiamo avuto il tempo di fargli.

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