Intervista
28 ottobre 2006

Chiedo il dispiegamento di forze internazionali a Gaza come in Libano. L'Egitto ha delineato la via della pace basata sul diritto internazionale.

Intervista ad Al Ahram


Più di 50 minuti di una lunga intervista con Massimo D'Alema che tanti definiscono come un politico unico, dotato di una mentalità illuminata, di credibilità e di trasparenza che gli hanno consentito di trasformare il partito DS, di cui e' presidente, da un partito comunista ad un partito democratico appartenente alla coalizione dei partiti del centro-sinistra al potere in Italia. Le sue qualità gli hanno reso anche possibile diventare Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1997 e Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri nell'attuale governo Prodi. Durante l'intervista, D'Alema ha risposto a tutte le domande di Al Ahram, esprimendo la sua opinione sulla tragedia palestinese, la guerra preventiva in Iraq, la situazione in Libano ed il problema nucleare dell'Iran, nonché sul fenomeno del terrorismo e sui mezzi per il sostegno dei rapporti euro - mediterranei.

Come valuta la situazione attuale in Libano e a Gaza e quali sono gli sforzi che l'Italia svolge per mettere fine allo spargimento di sangue nei territori palestinesi?

“Siamo intervenuti in Libano per mettere fine ad un conflitto tragico che poteva rappresentare il fronte di una guerra totale. Siamo intervenuti per sostenere il governo libanese, ed abbiamo organizzato la Conferenza di Roma con questo obiettivo. Siamo intervenuti anche per unire gli sforzi dell'Europa, degli USA, della Russia e del mondo arabo per arrivare ad un accordo accettato da tutti. Partendo da questo punto di vista, penso che la Conferenza di Roma sia stata importante, malgrado i risultati, perché la bozza della risoluzione delle Nazioni Unite è partita da li' e, anche se non siamo riusciti a mettere subito fine al conflitto, abbiamo messo le basi necessarie. Penso che il grande valore della Conferenza di Roma sia stato l'elenco dei partecipanti e che al momento dell'esplosione del conflitto, l'Europa, gli Stati Uniti, la Russia, l'Egitto, l'Arabia Saudita, le organizzazioni internazionali e le Nazioni Unite si siano seduti attorno ad un tavolo per lavorare insieme. Alla fine questo sforzo è stato premiato con la conclusione del conflitto ed un piano internazionale per la ricostruzione del Libano a cui ha partecipato l'Europa con grandi stanziamenti a sostegno del governo libanese. C'è oggi una forza di sicurezza che aiuta gradualmente il Libano a realizzare gli accordi tra le diverse forze libanesi che dovrebbero consolidare il sistema democratico libanese. La democrazia è sempre in pericolo a causa della presenza di milizie armate. Tutti noi sappiamo che si tratta innanzi tutto di una questione libanese e non di un obbligo internazionale. La presenza internazionale è una garanzia ed è importante la partecipazione in questa garanzia di truppe europee ed islamiche, insieme a Turchia, Qatar e la comunità internazionale. L'Occidente e l'Islam non sono separati, ma tutta la comunità internazionale deve riprendere il suo impegno congiunto. C'e' stata una forte collaborazione da parte dell'Egitto per poter arrivare ad una soluzione, molto evidente in occasione del mio incontro con il presidente Mubarak al Cairo a meta' agosto. Speriamo che la situazione in Libano proceda come è stato pianificato malgrado gli attuali rischi, le violazioni israeliane da una parte e le minacce terroristiche dall'altra, Hezbollah ed i suoi armamenti. È una situazione piena di rischi, ma dobbiamo sostenere il Libano in campo politico e militare. Abbiamo preso questa decisione sulla base di un ampio sostegno nazionale. Gli italiani hanno capito che le loro forze sarebbero state impegnate in una vera missione di pace. A Gaza la situazione è più complessa. Non ho nascosto fin dall'inizio di considerare il Libano un'esperienza utile per il futuro dei Territori palestinesi. Per quanto riguarda il Libano c'era un accordo prima del dispiegamento delle forze delle Nazioni Unite e, se si arrivasse ad un accordo anche nei Territori palestinesi, sarebbe utile, a mio parere, dispiegare forze internazionali per garantire l'accordo e la sicurezza. La situazione a Gaza è tragica ed è una prova che le strategie unilaterali non funzionano e che dobbiamo seguire la via dei negoziati come la Road Map. A mio avviso, dobbiamo fare in fretta per arrivare ad un accordo di pace vero. Ritengo che sia sbagliato continuare a posticipare una situazione finale per i Territori palestinesi. Dobbiamo procedere velocemente nell'operazione che condurrà alla creazione di uno stato palestinese entro la fine dell'anno prossimo, come aveva previsto Re Abdullah II. L'Europa deve partecipare a questo impegno tramite negoziati che saranno basati sulle Risoluzioni delle Nazioni Unite. Le posizioni dell'UE affermano le stesse cose: accordo sulla base delle frontiere del 1967 ad eccezione dei cambiamenti e dello scambio di territorio che saranno concordati tra le due parti. Questo processo avrà successo solo se otterra' un forte sostegno da parte della comunità internazionale cioè dell'Europa, degli Stati Uniti e dei Paesi arabi. Penso che l'Europa dovrà proporre questo argomento agli USA dopo le elezioni di medio termine. Per rilanciare questo processo dovrebbe verificarsi una svolta sulla scena palestinese. Quello che ci preoccupa attualmente è il conflitto tra i palestinesi stessi e le difficoltà di uscita da questa impasse grazie ad un governo di unità nazionale che penso sarebbe la soluzione più ragionevole. Un governo di unità nazionale aprirà la porta ai negoziati con Israele, e cio' comporterebbe una svolta nella posizione di Hamas, tale da portarlo a riconoscere gli accordi firmati dall'Autorità Nazionale palestinese. Se si vuole negoziare con qualcuno lo si deve riconoscere e con esso il suo diritto di esistere. La situazione non si e' ancora risolta, malgrado tutti gli sforzi, ad iniziare dal cambiamento più urgente, cioè un cessate il fuoco e la fine della tattica suicida che consiste nel lancio dei razzi Qassam, oltre alla cessazione dei raid israeliani che hanno causato più di 300 morti nelle scorse settimane. Fra le cose piu' importanti, c'e' la restituzione del soldato israeliano, specialmente, in considerazione del fatto che Israele ha espresso la sua disponibilità al rilascio di un certo numero di palestinesi, tra cui i ministri del Governo palestinese. Il fatto tragico è l'incapacità della leadership palestinese di arrivare ad un accordo che possa risolvere il nodo della situazione. Credo che la comunità internazionale debba sostenere gli sforzi del presidente Abu Mazen per la formazione di un governo di Unità Nazionale.“

L'Italia è tornata ad impegnarsi in una posizione imparziale - questa è la sua tradizione storica -nei confronti delle due parti del conflitto in Medio Oriente e cerca seriamente di arrivare ad una soluzione per la crisi e per il consolidamento della stabilità nella regione, dopo anni in cui tanti hanno pensato che l'Italia avesse adottato un approccio filo-israeliano, cosa che ha suscitato molta preoccupazione nel mondo arabo. Qual è il Suo commento?

“Siamo amici dei due popoli israeliano e palestinese e di tutti i popoli arabi. Pensiamo che l'ora è giunta di lavorare per il rispetto dei diritti di tutti i popoli della regione. Questo significa che si deve essere imparziali e che occorre intervenire con uno spirito imparziale. Io personalmente sono stato rimproverato perché ho detto che la reazione israeliana all'attacco di Hezbollah con il bombardamento del Libano era esagerata. Chi mi ha rimproverato dovrebbe vergognarsi perché quello che ho detto e' la verità. Ora non è il momento opportuno per discutere di questo argomento. È una questione di obiettività e bisogna stare attenti a non rinunciare ad avere uno spirito obiettivo e a parlare con giustizia. Solo in questo modo si potrà essere ascoltati. Credo che se l'Italia non e' in grado di dire la verità, questo non sarà a favore neanche di Israele. È nell'interesse di Israele avere un paese amico capace di parlare con il mondo arabo, degno di credibilità ed affidabile. Sono sicuro che l'impegno italiano per la creazione di una patria per i palestinesi il più presto possibile sia nell'interesse di Israele, visto che la presenza di uno stato palestinese sara' una garanzia per la sicurezza di Israele. La tragedia palestinese, che non è stata risolta, è uno dei motivi della crescita del fondamentalismo e del terrorismo, con rischi per tutti, Israele incluso.“

Come valuta gli sforzi egiziani per ridurre la tensione tra le fazioni palestinesi da una parte e tra i palestinesi e gli israeliani dall'altra, affinché si riprendano i negoziati di pace?

“Senza dubbio è una valutazione positiva. Penso che l'Egitto abbia svolto e stia svolgendo un ruolo importante. Sfortunatamente, questi sforzi non hanno avuto successo fino ad oggi, malgrado il grande impegno. Comunque, la presenza egiziana è positiva. Grazie all'Egitto e' stata delineata la via della pace. L'Egitto ha affermato che non e' con azioni unilaterali ma con la pace basata sul diritto internazionale che Israele si e' ritirato dai territori egiziani occupati e che l'Egitto ha riconosciuto Israele. La pace tra Israele ed Egitto e' stata quindi instaurata. Si tratta di una pace vera che garantisce anche la sicurezza di Israele. L'Egitto ha avuto il coraggio di intraprendere la via della vera pace e di guidare tutti verso la via della pace basata sul diritto internazionale ed il riconoscimento del diritto di esistenza di Israele. Penso che l'Egitto stia svolgendo grandi sforzi per trovare una soluzione simile per i palestinesi, per la Siria ed il Libano e mettere fine a questo conflitto tramite una soluzione permanente che comprenda tutti problemi nella regione.“

Lei come vede la soluzione del problema libanese, in particolare alla luce del fatto che Lei ha escluso la possibilita' di una ripresa del conflitto tra Israele e Hezbollah a breve termine?

“La situazione attuale ovviamente è piena di questioni sensibili e difficili. Condivido la preoccupazione francese che vede nella continua violazione israeliana dello spazio aereo libanese un pericolo indiscutibile. Sono frontiere difficili e gli incidenti potrebbero accadere lungo la linea di frontiera. Non penso però che il pericolo ora sia la ripresa del conflitto poiche' la presenza delle forze dell'UNIFIL è un fattore che scoraggia le due parti dal riprendere il conflitto. Allo stesso tempo si deve rafforzare la posizione politica del Libano cioè la forza del governo libanese e la sua stabilità e iniziare il processo di assorbimento delle milizie armate, il che rappresenta uno dei fattori che garantiscono la stabilità libanese. In secondo luogo, dobbiamo preoccuparci dei rischi degli attacchi di natura terroristica. Il Libano ha sofferto di attacchi terroristici, con l'omicidio di un grande ufficiale e, prima, del Primo Ministro Hariri, oltre a parlamentari e giornalisti. Senza dubbio, dal punto di vista di un gruppo terroristico come Al Qaeda, lo scenario migliore sarebbe quello di uno scontro tra l'Occidente e l'Islam. La presenza delle forze internazionali è un fattore di disturbo per questi gruppi e non è una coincidenza che essi abbiano adottato un atteggiamento drastico, che rappresenta secondo me una minaccia.“

Nel suo confronto con l'Islam l'Occidente è convinto di possedere la democrazia e pretende di esportare il suo modello democratico ed i suoi valori occidentali negli altri paesi persino con l'uso della forza. È un approccio che ha un impatto negativo nei paesi islamici. Non pensa che ci siano state alcune dichiarazioni che potrebbero aver aggravato lo scontro tra le diverse culture e diano l'opportunità in un modo o nell'altro alla nascita di pretese secondo cui il mondo sta andando fortemente verso lo scontro tra le civiltà?

“Non credo che sia corretto parlare di Occidente perché quando gli americani hanno deciso di avviare la guerra contro l'Iraq, una grande parte dell'occidente era contraria. Non parlo solo degli Stati ma la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica europea era contraria alla guerra. Penso che nell'Occidente stesso queste teorie della diffusione della democrazia con la forza siano state fortemente contestate. Queste teorie sono diventate molto deboli negli ultimi anni dopo i risultati catastrofici della guerra in Iraq. Ritengo che stiamo tornando ad una visione più moderata e più multilaterale delle relazioni internazionali. Stiamo assistendo al ritorno delle Nazioni Unite sulla scena. Sono meno pessimista da questo punto di vista. La questione irachena e' stata una lezione e rimane una lezione molto dura. L'idea della guerra preventiva e l'esportazione della democrazia con la forza non possono essere sostenute, ma la democrazia in ogni modo è un valore internazionale e non è monopolio dell'Occidente. La diffusione della democrazia è un fatto positivo per il mondo arabo. Sono un forte oppositore dell'idea dell'esportazione della democrazia con la forza, ma nello stesso tempo penso che la democrazia sia un valore magnifico e che per il mondo arabo lo sviluppo di una democrazia pluralista ed aperta è una grande vittoria. Credo che non dobbiamo avere paura: sono state fatte elezioni democratiche ed ha vinto Hamas. Anche questa e' democrazia, è vero, ma credo che la vittoria di Hamas e la sua ascesa al potere abbiano comportato la consapevolezza del movimento di quanto sia difficile governare. Cio' ha mostrato ai palestinesi che con le idee di Hamas il governo non fara' bene. Comunque, la democrazia è una esperienza dura ma io la preferisco con i suoi rischi piuttosto di un sistema patriarcale autoritario che non sviluppa i popoli. Per questo sono un oppositore della guerra. Malgrado il mio sostegno assoluto della democrazia, ciascuno di noi deve cercare la democrazia nel modo adatto alla sua società.“

Gli estremisti in alcuni paesi arabi ed europei strumentalizzano episodi che accadono qua e là per alimentare l'estremismo. Quali sono i mezzi necessari a combattere l'esortazione all'odio? Le sole leggi sono sufficienti?

“Credo che occorra essere attenti utilizzando termini risonanti come estremismo e terrorismo, in quanto rischiamo di confondere fenomeni ben diversi. Stiamo, soprattutto nel mondo arabo ed islamico, riscontrando un pericolo. Il terrorismo integralista basato sull'integralismo religioso costituisce oggi un grande pericolo. Si tratta di una cosa diversa dalla violenza che nasce dai movimenti nazionali di liberazione. Abbiamo conosciuto anche nel passato l'utilizzo della violenza e del terrorismo da parte di movimenti nazionali di liberazione. Pero` la violenza che trae origine da motivazioni nazionali e che mira alla liberta` e` una violenza collegata ad un fine, e quest'ultimo non e` distruggere l'altro. Ad esempio, il combattimento armato in Algeria e il combattimento dei palestinesi per istituire uno Stato autonomo hanno un fine. L'integralismo invece e` tutta un'altra cosa, poiché il suo fine e` eliminare l'altro diverso da noi per religione e per etnia. Quindi esiste una carica totalitaria nella violenza integralista che la rende un nemico mortale. Con chi mette le bombe, perche' si adopera per ottenere l'autonomia, potrei ad un certo punto negoziare. Ma con chi desidera uccidermi, perché non sono musulmano oppure perché penso in una maniera diversa dalla sua, non c'e` possibilita` di negoziare. Esso e` un nemico mortale. Credo che occorra isolare l'integralismo che costituisce un pericolo mortale per il mondo arabo, in quanto grande ostacolo che impedisce lo sviluppo moderno del mondo islamico, nonché un pericolo per l'intera umanita`. A mio avviso, l'errore sta nel permettere all'integralismo di possedere la bandiera di difendere la questione araba. Questo e` l'errore commesso dall'Occidente. Percio` penso che il metodo ideale per rispondere all'attacco terroristico non sia invadere l'Iraq, ma stabilire la pace in Palestina. Questa reazione e` stata fatale perche' ha consentito a queste forze retrograde di presentarsi come titolari della bandiera di difesa della questione nazionale. L'integralismo va combattuto con le leggi, con la forza e anche con la politica. Il compito della politica e` quello di isolare questo nemico nello spirito della gente. Cio` che suscita la nostra preoccupazione e` che le piazze arabe vedono qualche volta l'integralista non come nemico, ma come chi sostiene di difendere la dignita` del mondo islamico. Questa e` la nostra preoccupazione. Si tratta di un problema politico che non si risolve con la forza ma con la politica. Combattere il terrorismo quindi ha una dimensione che riguarda il legittimo utilizzo della forza ed anche un'altra dimensione politica e culturale, che e' stata trascurata negli ultimi anni. Il risultato di tutto cio' e` stato che il terrorismo e l'integralismo hanno consolidato la loro forza e non l'hanno ridotta”.

Citando l'utilizzo della forza, come si puo` distinguere tra terrorismo e diritto dei popoli alla legittima difesa ed al combattimento armato? Come definisce il terrorismo?

“A mio parere, ritengo che l'atto terroristico consista nell'avere intenzionalmente e senza distinzione come bersaglio i civili al fine di spargere sangue. Penso che cio` si applichi ai gruppi terroristici analogamente alle azioni dei singoli Stati. Questo e` un grande problema che va seriamente discusso nel quadro della coraggiosa revisione delle norme di diritto internazionale. Non esiste il minimo dubbio che avere intenzionalmente e senza distinzione come bersaglio i civili non possa essere descritto quale un legittimo diritto di autodifesa”.

Lei ha dichiarato piu` di una volta che l'Italia preferisce raggiungere una soluzione politica e diplomatica per la crisi nucleare iraniana attraverso i negoziati e che il tempo non e` adatto per imporre sanzioni.

“La situazione e` diventata piu` complessa poiche' rifiutando l'attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, che chiede la sospensione dell'arricchimento dell'uranio, l'Iran ha commesso un grande errore a mio avviso, perche' la proposta europea di negoziare era positiva e la dirigenza iraniana avrebbe dovuto accettarla. A mio avviso, la temporanea sospensione dell'arricchimento dell'uranio sarebbe un metodo ragionevole per iniziare il negoziato. Penso che l'Iran abbia sbagliato, e percio` non possiamo escludere che il Consiglio di Sicurezza prenda determinate misure di fronte al mancanto impegno. Non sappiamo pero` adesso quali potrebbero essere queste misure. Anche se entreremo nel Consiglio di Sicurezza a partire dal prossimo gennaio, non possiamo escludere oggi eventuali sanzioni. Persino nel caso in cui si prendessero misure del genere, la porta rimarrebbe aperta al negoziato. Bisogna escludere il ricorso alla forza e mantenere le pressioni sull'Iran affinche' accetti la via della soluzione concordata con la comunita` internazionale”.

In una Sua recente dichiarazione ha detto che l'Italia e` convinta di dare sostegno all'adesione della Turchia all'UE considerando quest'impegno una scelta strategica per l'Italia stessa. Potrebbe illustrarci la posizione dell'Italia rispetto a questa questione?

“L'adesione della Turchia all'UE non e` ovviamente una questione di pochi giorni ma e` un lungo processo. La Turchia e` uno Stato europeo in una sua piccola parte geografica, ma e` uno Stato chiave tra l'Europa e l'Islam. Essa ha espresso il desiderio di aderire all'UE. Credo che quest'ultima debba proseguire il negoziato con la Turchia con uno spirito aperto. L'allargamento dell'UE e` stato un elemento di rilievo per la stabilita` e la diffusione della democrazia soprattutto nei paesi del Centro e dell'Est dell'Europa che hanno sofferto della dittatura comunista. Credo che i negoziati con l'UE siano stati un incentivo verso le moderne riforme in Turchia e verso il consolidamento di un sistema democratico. E` un processo ancora in corso. Dobbiamo adoperarci per incoraggiarlo. Poiche' penso che le origini etnico-religiose dell'Europa non si siano ancora definite, malgrado le sue radici ed origini etniche e religiose, a causa della scala di valori laici, credo che l'integrazione di un grande Stato islamico nell'UE sia utile per una distensione nella relazione tra le culture, le civiltà e le religioni. Percio` dobbiamo mantenere le porte aperte e proseguire i negoziati. Non sono d'accordo con le posizioni di chiusura nei confronti della Turchia che si sentono in Europa”.

Qual'e`il Suo commento al ruolo mediterraneo italiano?

“Il governo mira a rilanciare il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo, non solo dal punto di vista nazionale, ma anche in linea con l'impegno europeo. Crediamo che sia arrivato il momento che l'Europa indirizzi il suo interesse verso il Mediterraneo, che e` tornato ad essere un crocevia vitale per le relazioni internazionali nel bene e nel male, soprattutto perche' esso oggi testimonia il conflitto piu' difficile da risolvere e cioe` il rischio di uno scontro tra l'Occidente e l'Islam. Il Mediterraneo e` tornato a diventare di grande rilievo per quanto concerne l'economia, gli interscambi commerciali, le relazioni culturali e anche la sicurezza. Ci vuole una nuova strategia soprattutto perche' il Processo di Barcellona e` stato importante, ma mancante di qualsiasi contenuto concreto. Percio` il governo italiano si impegna a dare contenuti tangibili dai diversi punti di vista, economico, commerciale e finanziario, attraverso il rafforzamento delle reciproche relazioni. E` importane sottolineare che una banca italiana e` entrata nel mercato egiziano acquisendo una quota rilevante nella terza maggiore banca in Egitto. Esistono alcune proposte italiane per lo sviluppo del Mediterraneo fra cui fondare un'istituzione finanziaria in grado di sostenere lo sviluppo. Abbiamo anche proposto di avere una forte collaborazione a livello universitario persino attraverso un programma per lo scambio di borse di studio tra l'Europa ed i paesi arabi. Di cio` se ne occupa la Commissione Europea su iniziativa italiana in un tentativo di attivare nuovi progetti. Ci adoperiamo in genere per mettere a fuoco una politica che risponda alla domanda su come far fronte ai rischi di uno scontro tra le civilta`. Rispondiamo raddoppiando le prospettive di cooperazione internazionale a livello politico, culturale ed economico e con una visione integrata dello sviluppo nel Mediterraneo. Questa e` la visione dell'Italia e la sua funzione geopolitica, storica e culturale. Desideriamo che essa torni ad esercitare questo ruolo”.

L'Italia ha meritato di ottenere un seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza. Quali sono gli orizzonti del ruolo italiano al Consiglio nei prossimi due anni? E come vede il meccanismo multilaterale?

“Ci faremo interpreti, ovviamente, al Consiglio di Sicurezza del nostro impegno a risolvere i problemi, soprattutto quelli riguardanti i paesi vicini ed il Mediterraneo. Consideriamo la presenza dell'Italia una rappresentanza di uno Stato europeo mediterraneo. Ritengo che sia arrivato il momento per rilanciare il meccanismo multilaterale. Perche' quest'ultimo abbia successo, deve essere efficace. Un meccanismo multilaterale impotente, che discute senza far fronte al problema, diventa inutile e lascia spazio ai meccanismi unilaterali. Percio` la struttura dell'ONU deve essere piu` efficace, in grado di prendere decisioni ed assumersi le proprie responsabilità. Ci adoperiamo per avere un meccanismo efficace”.

Come valuta il livello che le relazioni italo-egiziane hanno attualmente raggiunto? Quali sono i mezzi per sviluppare queste relazioni nei diversi settori?

“Le relazioni italo-egiziane sono molto buone a tutti i livelli e possono essere descritte con il termine di partenariato strategico. Dal punto di vista politico c'e` una grande concordia come anche a livello economico e culturale. Dobbiamo certamente proseguire il lavoro per consolidare queste relazioni. Ritengo che non ci sia niente che possa essere cambiato per quanto riguarda la struttura delle stesse. Dobbiamo continuare l'incoraggiamento delle imprese e delle università. Penso che condividiamo una visione comune in merito alle relazioni internazionali ed un approccio simile verso le crisi ed i problemi del Mediterraneo. Possiamo fare insieme cose utili anche per gli altri. Considero questa una grande sfida: l'Italia, l'Egitto ed altri paesi sono in grado di fare tanto anche a favore degli altri.

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