Intervista
7 febbraio 2007

"L'Italia e le sfide della pace: quali scelte di politica estera"

Intervista a "Processi Storici e Politiche di Pace"


1.- L'ingresso dell'Italia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con un seggio non permanente quale importanza riveste per la politica estera italiana e quali possibilità offre al Governo per rilanciare una politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea in modo da contribuire più efficacemente a dare stabilità al sistema internazionale per la costruzione di una pace autentica e duratura?

L'elezione dell'Italia a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è un riconoscimento del ruolo del nostro Paese sulla scena internazionale, e rafforza la nostra convinta azione a sostegno di un sistema multilaterale centrato sulle Nazioni Unite. Per i prossimi due anni saremo chiamati ad intensificare ulteriormente il nostro già significativo impegno per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (e condurremo una battaglia molto decisa per arrivare a una moratoria delle esecuzioni capitali).

Forniremo anche un significativo contributo, in termini di impegno e di idee, alla riforma dell'ONU. Vogliamo soprattutto mettere il nostro seggio al servizio dell'Europa. Perché sono convinto che è sul versante della proiezione strategica internazionale che si offre all'Europa un'occasione per uscire dalla fase di incertezza legata alle sorti del Trattato costituzionale. La risposta europea alla crisi libanese è stato un primo segnale di risveglio, al quale devono rapidamente seguirne altri, ad esempio sul processo di pace israelo-palestinese e in Afghanistan.

La presenza dell'Italia in Consiglio di Sicurezza fornirà dunque al nostro Paese anche un'importante occasione per un rilancio dell'Unione Europea sulla scena internazionale. Dovremo sfruttare al massimo le possibilità offerte dagli attuali trattati e puntare non tanto, per ora, ad un seggio europeo nel Consiglio di Sicurezza - che rimane una prospettiva di lungo periodo - ma ad una "valorizzazione europea" del nostro seggio non permanente. Intendiamo quindi sviluppare e perfezionare, in stretta consultazione con i nostri partner dell'Unione Europea - ad iniziare da quelli che siederanno insieme a noi in Consiglio di Sicurezza nel prossimo biennio - quei meccanismi di consultazione e coordinamento fra i ventisette che già esistono - basati in particolare sull'articolo 19 del Trattato dell'Unione Europea - ma le cui potenzialità non sono state ancora pienamente sfruttate. E' un esercizio complesso, che mira ad ottenere che i Paesi UE membri del Consiglio di Sicurezza (ben 5 su 15!) possano farsi portatori di posizioni condivise. Se riuscissimo in un esercizio del genere, l'Europa conterebbe molto di più. Ciascuno dei Paesi conterebbe di piu'. Perfino il loro voto conterebbe di più.

2.- In che modo la partecipazione dell'Italia all'Alleanza atlantica e la collaborazione con gli Stati Uniti contribuiscono ancora oggi a tutelare gli interessi del nostro Paese sul piano internazionale?

L'alleanza con gli Stati Uniti occupa e continuerà ad occupare un ruolo centrale nella nostra politica estera. Allo stesso tempo, il Governo ritiene che il legame atlantico sarà tanto più vitale quanto più sarà basato su un'Europa più solida e più integrata. Si tratta del resto di una regola aurea della politica estera italiana: il nostro paese, dal secondo dopoguerra in poi, ha puntato a combinare atlantismo ed europeismo. Oggi noi indichiamo un traguardo più alto: proponiamo che si costruisca un legame diretto più solido fra Washington e Bruxelles, con l'UE in quanto tale. Sarebbe uno dei presupposti di quel multilateralismo "efficace" cui è orientata la nostra politica estera.

In una fase in cui la Comunità internazionale è di fronte a scelte cruciali di sicurezza, la NATO ha intrapreso un processo di adattamento e rammodernamento, trasformandosi da strumento di difesa in organizzazione di sicurezza collettiva volta a fronteggiare le nuove minacce e le sfide globali, come il terrorismo internazionale, la diffusione delle armi di distruzione di massa, i traffici illeciti di droga, di armi, di persone umane. Si tratta di minacce e sfide che riguardano direttamente la sfera di libertà dei cittadini e che richiedono una profonda trasformazione di concetti strategici, di capacità operative, di proiezione esterna.

La NATO ha anche avviato nuove forme di dialogo politico e di cooperazione con Paesi che si sono impegnati nella riforma delle loro istituzioni in senso democratico e che condividono le nostre stesse esigenze di sicurezza. Ricordo che oggi dieci Paesi dell'ex-blocco sovietico sono membri a pieno titolo dell'Alleanza ed altri si apprestano a diventarlo in un prossimo futuro. I rapporti di partenariato dell'Alleanza sono stati estesi fino a coinvolgere anche i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e quelli del Medio Oriente allargato. Il recente Vertice di Riga ha incluso nella Partnership for Peace Paesi come la Bosnia Erzegovina, il Montenegro, la Serbia. Il nostro Paese ha saputo giocare un ruolo attivo e propositivo nel valorizzare sempre più la dimensione politica dell'Alleanza in questa fase di cruciale trasformazione. Cruciale per la gestione delle crisi internazionali rimane inoltre la cooperazione tra l'Alleanza e le Nazioni Unite, sotto il cui mandato si svolgono le principali operazioni di stabilizzazione a guida NATO.

3.- A questo proposito, come valuta il Governo italiano il ruolo della forza di pace internazionale che, sotto il comando dell'Alleanza atlantica, è impegnata nel processo di stabilizzazione e transizione democratica in Afghanistan?

Il ruolo della missione ISAF è quello di fornire un'adeguata cornice di sicurezza alla ricostruzione e allo sviluppo dell'Afghanistan ed al consolidamento delle sue istituzioni democratiche. Ma la stabilizzazione del Paese è un traguardo ancora lontano: le legittime autorità afghane, che la missione della NATO intende coadiuvare e certo non sostituire, continuano a confrontarsi, oltre che con la pesante eredità del regime talebano, anche con persistenti rischi di disgregazione, con la rinnovata vitalità dei gruppi fondamentalisti, senza contare la criminalità collegata alla produzione di oppio.

L'Italia continuerà a partecipare – con un impegno militare già assai rilevante e dunque non incrementabile – alla missione ISAF, che fin dall'inizio si è svolta nel quadro di una risoluzione delle Nazioni Unite.

Ma se si vuole evitare che l'Afghanistan piombi in una spirale involutiva, occorre al più presto coniugare l'impegno militare con efficaci interventi umanitari ed economici che favoriscano la ripresa del Paese, la transizione democratica e, soprattutto, siano davvero rispondenti ai bisogni immediati della popolazione e alla sensibilità degli afghani.

In altri termini serve una svolta. Bisogna rilanciare sul piano politico l'azione internazionale e ripensare le linee d'intervento. E' necessario che ci si sieda attorno ad un tavolo, secondo una formula ed un formato inclusivi, che riscuotano il più ampio consenso possibile, al fine di avviare un piano di sostegno politico, economico ed umanitario per l'Afghanistan.

In questo senso, è limitativo considerare la stabilizzazione ed il consolidamento democratico dell' Afghanistan come una missione che riguarda solamente la NATO. Si tratta di obiettivi che devono coinvolgere la comunità internazionale in senso più ampio, a cominciare dai Paesi limitrofi.

4. – Il ritiro del contingente italiano dall'Iraq e il quasi contemporaneo dispiegamento dei nostri militari nell'ambito della missione UNIFIL hanno evidenziato un deciso cambiamento nell'atteggiamento dell'Italia di fronte alla crisi del settore mediorientale. A suo avviso, questo cambiamento può incidere sui rapporti di fiducia e di alleanza con gli Stati Uniti?

Desidero innanzitutto evidenziare che il nostro ritiro dall'Iraq è stato lungamente ed accuratamente concordato in primo luogo con il governo iracheno. Abbiamo poi previsto un rientro graduale, tenendo costantemente informati i nostri alleati e i partners internazionali presenti in Iraq.

Gli Stati Uniti hanno ben compreso le ragioni politiche che hanno portato al ritiro della nostra presenza militare, che non implica in alcuno modo un disimpegno sul piano civile. Era una scelta nota, annunciata in campagna elettorale dal centrosinistra. E fra partner la difformità di valutazioni su questioni specifiche e circoscritte viene affrontata con franchezza e rispetto.

Gli Stati Uniti hanno mostrato di voler lavorare con l'Italia, sulla base della fiducia reciproca, e di considerarci alleati importanti e affidabili; direi indispensabili, specialmente su quegli scenari dove possiamo far valere il nostro patrimonio di conoscenze e relazioni. Sanno che rispettiamo gli impegni e che siamo pronti a fare la nostra parte in difesa della pace e della sicurezza mondiali. Il ruolo svolto dall'Italia in Libano è stato molto apprezzato a Washington come prova di coerenza e di capacità di proiezione, anche in situazioni politiche ed ambientali non facili. L'alleanza con gli Stati Uniti esce senz'altro rafforzata dalla linea di politica mediorientale di questo Governo; ne ho ricevuto io stesso numerose testimonianze dirette, nei miei contatti con Condoleezza Rice e con l'Amministrazione statunitense.

5.- L'attuale Amministrazione statunitense ha costruito gran parte delle sue scelte di politica estera sulla base della convinzione che la democrazia sia un bene esportabile. Il Governo italiano ritiene che in questo modo si possa assicurare stabilità e pace al mondo intero?

La promozione della democrazia ed il sostegno a riforme politiche utili per forgiare società più aperte e partecipative, rispettose della dignità della persona e dei diritti umani, civili e politici, è un obiettivo condiviso in seno all'Europa, nonché fra Europa e Stati Uniti. Tuttavia la democrazia non può essere imposta dall'esterno. L'utilizzo unilaterale della forza per "esportare" la democrazia conduce all'instabilità e a reazioni incontrollabili, come insegnano le conseguenze drammatiche dell'intervento armato in Iraq.

La storia dei nostri Paesi dimostra che la democrazia ha uno sviluppo lungo e complesso, che deve trovare radici e modalità autoctone. Un principio cardine di tutte le strategie internazionali in questo campo è quello che spetta a ciascun Paese determinare i contenuti e i tempi dei processi di riforma e adattarli alle proprie circostanze specifiche. Anche se questo non può essere un alibi per l'immobilismo, resta un principio ineludibile. Del resto, tale principio è alla base dell'azione dell'Unione Europea, delle Nazioni Unite, nonché di iniziative specifiche come il DAD, il Dialogo di Assistenza alla Democrazia di cui l'Italia è capofila in seno al Partenariato fra il G8 ed i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

La democrazia è un bene assoluto, ma è anche la più complessa e delicata tra le forme di governo. Allorché si configura come un naturale punto di arrivo di un processo di evoluzione storica del quale i popoli siano protagonisti, la democrazia introduce potenti anticorpi alle tensioni sociali e alle guerre. Se viene invece adoperata strumentalmente, e imposta forzosamente, può alimentare conflitti. Basti pensare al disagio, alle frustrazioni e ai risentimenti antioccidentali che pervadono una parte considerevole del mondo islamico.

6.- Alcuni osservatori hanno recentemente affermato che l'Italia è tornata ad assumere una posizione imparziale nei tentativi di soluzione del conflitto mediorientale. In che modo tale imparzialità ha ispirato l'azione dell'Italia nella recente crisi libanese e può, in prospettiva, offrire un contributo anche alla soluzione dei rapporti israeliano-palestinesi?

La nostra presenza nell'area mediorientale è antica per storia, cultura e geografia. L'Italia è tra i principali partner economici di molti Paesi dell'area, e godiamo di un bagaglio di simpatia che è riconosciuto a tutti i livelli delle società di quella regione. La politica italiana è apprezzata perché è credibile, ed è credibile perché è imparziale. In particolare, siamo convinti che alla stabilizzazione del Medio Oriente si potrà giungere grazie all'impegno della comunità internazionale nel promuovere la pacifica composizione degli interessi di tutti i principali attori della regione.

Il nostro contributo muove da questo convincimento, di conseguenza non può che essere improntato ad una visione intimamente multilateralistica. Siamo ben coscienti che soluzioni durature ad un conflitto aspro e difficile come quello mediorientale possono nascere solo da un impegno consapevole e maturo di tutte le parti interessate e soprattutto dei suoi protagonisti diretti. Questi ultimi, in particolare, vanno incoraggiati e sostenuti in un cammino difficile e irto di ostacoli. Per questo l'Italia ha voluto fortemente un coinvolgimento robusto della Comunità internazionale in Libano. Si è impegnata con determinazione, incoraggiando l'intervento delle Nazioni Unite, stimolando un'adesione convinta dell'Europa alla costituzione dell'UNIFIL rafforzata e partecipando concretamente allo sforzo finanziario per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte dalla guerra e per il risanamento della società civile.

Certo, il conflitto israelo-palestinese è molto complesso e numerose iniziative bilaterali e multilaterali per la sua soluzione sono naufragate sotto l'urto di contraddizioni e tensioni antiche. Non ignoriamo le incognite di un processo che presenta infinite variabili, che includono le reazioni emotive delle opinioni pubbliche e le strumentalizzazioni dei nemici della pace. Ma proprio per questo riteniamo che sia indispensabile avviare con coraggio un processo che si basi in primo luogo sul rafforzamento della fiducia reciproca e che sia accompagnato da uno sforzo creativo della Comunità Internazionale in grado di coinvolgere in maniera costruttiva le parti in causa. Potrà esserci pace solo quando sia gli israeliani che i palestinesi vivranno entro frontiere sicure e riconosciute in un contesto di garanzie internazionali accettate da tutti e vincolanti per tutti.

La questione israelo-palestinese rimane al cuore delle tensioni mediorientali, e acuisce conflitti ed instabilità. Per questo credo che la sua soluzione potrà rappresentare una chiave risolutiva di molte problematiche e di crisi che di essa si alimentano strumentalmente. Occorre poi una svolta. Bisogna passare dal processo di pace, che si trascina da troppo tempo, ad un vero e proprio accordo di pace. Noi intendiamo fare tutto quanto è in nostro potere per incoraggiare le parti a procedere in questa direzione e a favorire tale esito. Un'accelerazione verso una soluzione politica è assolutamente necessaria e non più rinviabile.

7.- A tale proposito, ritiene il governo italiano che siano stati compiuti passi sufficienti per coinvolgere Iran e Siria nella soluzione della crisi mediorientale?

Damasco e Teheran possono apportare un contributo cruciale agli assetti di un Medio Oriente stabilizzato, ma debbono dimostrare con i fatti di voler agire a favore della pace. Siria e Iran perseguono obiettivi diversi nel conflitto israelo-palestinese. Tuttavia constato che essi convergono quando si tratta di sostenere forze estreme che si oppongono a Israele. Questo non significa che dobbiamo chiudere a priori la porta a qualsiasi tipo di dialogo. Al contrario. Dobbiamo costruire relazioni aperte, ma ferme, chiarendo che la concretezza di intenti nel favorire la pace è il presupposto fondamentale affinché venga riconosciuto il ruolo di Siria e Iran negli equilibri di potenza regionali.

Il che vale non solo per la crisi israelo-palestinese, ma anche per quella irachena: l'Occidente rischia di rimanere isolato in Iraq se non coinvolge i Paesi della regione nella strategia di stabilizzazione del Paese e nel processo di consolidamento democratico. Tutto ciò richiede alcuni gesti concreti. In primo luogo la Siria non deve ostacolare l'istituzione di un tribunale internazionale per far luce sull'omicidio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri. Da parte sua, l' Iran dovrebbe chiarire le proprie intenzioni sul programma nucleare, accettando le richieste rivoltegli dall'AIEA ed ottemperando alle richieste del Consiglio di Sicurezza.

8.- Sulla questione iraniana, Ella ha dichiarato in alcune occasioni che l'Italia preferisce raggiungere una soluzione politica e diplomatica. E' ancora convinto che tale soluzione è concretamente possibile?

Noi continuiamo a credere che l'unica soluzione possibile sia quella politica e diplomatica, e che l'unica strada percorribile sia quella della ripresa del dialogo e del negoziato.

Sottolineo che la Risoluzione 1737 ingiunge all' Iran di attuare le misure richieste dall' AIEA per rafforzare la fiducia circa la natura pacifica del suo programma nucleare. Rende obbligatorie le richieste già rivolte dall'AIEA all'Iran, rafforzandole con l'autorità delle Nazioni Unite. Noi siamo sempre stati favorevoli ad un ruolo accresciuto del Consiglio di Sicurezza nell'assicurare il rispetto degli obblighi internazionali di non proliferazione, in complementarietà – non in alternativa – con le funzioni svolte dalle Agenzie internazionali incaricate delle verifiche, come l'AIEA.

Allo stesso tempo, la 1737 adotta misure sanzionatorie limitate e reversibili, che segnalano la forte preoccupazione della Comunità internazionale e la volontà comune di scongiurare i rischi di proliferazione connessi con tali programmi. Non viene definitivamente pregiudicata la possibilità di una ripresa del negoziato con Teheran.

Auspichiamo che l' applicazione della Risoluzione induca l' Iran a ritornare al tavolo del negoziato. Per parte nostra, una volta che, come speriamo, il dialogo dovesse essere riavviato e la questione nucleare avviata a soluzione, non mancheremo, nel quadro dell'Unione Europea, del G8 e del Consiglio di Sicurezza, di dare il nostro contributo affinché si recuperi la prospettiva di un confronto costruttivo e di ampio respiro con l'Iran, volto anche a verificare, sul terreno della sicurezza e della stabilità della regione, quali garanzie chiedere ed ottenere da Teheran.

9.- La penisola balcanica si presenta ancora come un'area di instabilità politica, economica e sociale: quale ruolo l'Italia intende sviluppare per assicurare pace e sviluppo a Paesi a noi tanto vicini e a cui ci legano vincoli storici di amicizia e di sicurezza?

La stabilizzazione della sponda orientale dell'Adriatico è per noi prioritaria, e consideriamo cruciale, per conseguirla, che la prospettiva dell'allargamento dell'Unione Europea ai Balcani Occidentali acquisti una sempre maggiore, anche se graduale, concretezza.

Non si possono né si debbono forzare i tempi. Non c'è dubbio che i Paesi dell'ex Jugoslavia e l'Albania devono dimostrarsi pronti a rispettare pienamente criteri e standard europei. Rimangono inoltre molte questioni aperte, che a nostro modo di vedere possono essere avviate a soluzione con misure concrete, naturalmente da discutere a Ventisette. Penso alla conferma dell'accordo politico di integrare la Croazia non appena Zagabria avrà rispettato i propri impegni; all'individuazione di una data per l'avvio dei negoziati di adesione con Skopje; alla conclusione del negoziato per l'Accordo di Stabilizzazione e Associazione con la Serbia, condizionando la sua entrata in vigore alla piena collaborazione con il Tribunale dell'Aja; all'individuazione di una ragionevole soluzione di "compromesso creativo" sullo status finale del Kosovo, che sia rispettosa delle aspettative della maggioranza dei Kosovari, non rappresenti un'umiliazione per la Serbia e contenga garanzie molto precise per le minoranze.

In ogni caso l'Europa deve confermare a quei Paesi che li vuole nell'Unione, nella consapevolezza che i Balcani Occidentali non devono essere penalizzati, o peggio ancora esclusi, solo perché bussano a Bruxelles in una congiuntura sfavorevole, in cui vacilla la vocazione europea di alcuni partner comunitari. Il destino di questi paesi è in Europa, anche perché l'Europa stessa risulterebbe vistosamente incompiuta in assenza del loro apporto. Siamo perciò in prima fila a Bruxelles nel perorare la causa dell'allargamento ai Balcani Occidentali.

10.- Qual è, secondo il governo italiano, il ruolo che l'Unione Europea può svolgere nella soluzione dell'instabilità regionale, alla vigilia di una nuova fase del suo processo di allargamento e mentre permangono pesanti incertezze sulla futura adesione della Turchia e sui rapporti tra l'Europa e la Russia?

L'Unione a ventisette membri ha grandi responsabilità nel garantire stabilità in Europa e nel Mediterraneo. L'elemento decisivo per esercitare compiutamente tali responsabilità risiede nella capacità di conciliare con efficacia l'approfondimento e l'ampliamento del processo di integrazione. Il processo di ampliamento è strettamente legato ad una riforma che assicuri massima funzionalità alle istituzioni dell'Unione.

Nel frattempo, la prospettiva europea deve restare aperta, come ha stabilito da ultimo il Consiglio Europeo del dicembre 2006, oltre che per i Paesi dell'area balcanica, anche per la Turchia, secondo gli impegni politici che l'Unione ha assunto.

Per quel che riguarda, in particolare, il cammino di Ankara verso l'Europa, vi sono ancora molti ostacoli ed anche molte resistenze da superare, e sarebbe irrealistico negare che l'adesione rimane una meta non vicinissima nel tempo. Ma sono profondamente convinto che sarebbe deleterio considerare forme alternative all'adesione completa della Turchia all' UE.

Rimane inteso che i principi politici, socio-economici ed etici dell'Unione devono essere riaffermati senza ambiguità, sulla base dei criteri di Copenaghen e dei principi sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione, inclusa nel Trattato costituzionale, ai quali vanno saldamente ancorati i rapporti con i Paesi candidati all'adesione.

Quanto alle relazioni fra l'Unione Europea e Mosca, sono stato assai lieto di cogliere in Putin la volontà di sviluppare un rapporto positivo con l'Europa, anche se di recente non sono mancate le tensioni, e non è stato possibile per il momento avviare i negoziati per un nuovo partenariato UE-Russia. Sarà importante valutare, nel quadro di un dialogo costante e costruttivo con le Autorità moscovite, il livello di effettiva condivisione di scelte ed obiettivi nella gestione delle maggiori crisi internazionali. Ugualmente importante è, su un altro versante, anche il grado di cooperazione fra UE e Russia in settori chiave, come l'energia ed il trasferimento di tecnologie.

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