Intervista
5 giugno 2007

D'Alema: il governo abbia il coraggio di scegliere

Intervista di Umberto De Giovannangeli - l'Unità


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«Occorre avere il coraggio di decidere». È un concetto che Massimo D’Alema ripete più volte e su vari, e scottanti temi, della lunga intervista concessa a l’Unità; intervista a tutto campo, nella quale il titolare della Farnesina e vicepremier, affronta tutti temi di più stretta, e spinosa, attualità, in politica estera e interna.

Quella che si è aperta è una settimana calda per la politica estera. A cominciare dal G8 e per finire con la visita in Italia del presidente Usa George W.Bush. Sembra che tutto si riduca a un problema di ordine pubblico.

«Una riduzione impropria. Penso invece che il G8 abbia al centro alcune grandi questioni politiche. In particolare vedo due grandi problemi: innanzitutto il rischio di un nuovo clima di confronto tra grandi potenze. È la questione più delicata che abbiamo di fronte e che comporta l’impegno perché si realizzi una svolta per riavviare un processo di distensione. In questi anni è cresciuto un nazionalismo di tipo "assertivo" da parte della Russia, che ha molte ragioni...».

Quali le più significative?

«C’è un desiderio di rivalsa dopo un lungo periodo di appannamento del ruolo della Russia rispetto alla superpotenza sovietica: il mondo unipolare è stato vissuto come un’umiliazione dalla classe dirigente russa. Indubbiamente negli ultimi anni una certa crisi della politica americana e il crescente peso strategico della Russia, soprattutto per ragioni legate all’energia, hanno incoraggiato l’idea di un mutamento dei rapporti di forza, che si è tradotto anche in una politica estera molto sicura di sé. Dall’altra parte, questioni importanti come la difesa missilistica avrebbero potuto forse essere gestite in maniera più articolata e collegiale proprio per evitare incomprensioni».

Dove è stato l’errore americano?

«Più che di errori parlerei di un approccio che avrebbe potuto essere più accorto per evitare che su un tema importante come la difesa dell’Europa, essenzialmente di competenza Nato - come è stato rilevato da alcuni partners alla ministeriale Nato di Oslo- si fosse proceduto con negoziati bilaterali con alcuni Paesi europei. I canali istituzionali della Nato e del Consiglio Nato-Russia, che sono stati ora giustamente attivati, avrebbero forse consentito di impostare sin dall’inizio la questione in termini meno laceranti. Io vedo con grande preoccupazione il rischio che si indebolisca fortemente il quadro dei grandi accordi di disarmo».

Un allarme molto grave.

«Ma fondato sui dati della realtà: il Trattato di non proliferazione non ha impedito la proliferazione nucleare, e questo è un punto di enorme di preoccupazione. Anche il Trattato sulla riduzione delle armi non convenzionali in Europa non viene ratificato e appare bloccato. Se ora parte una "escalation" sulla difesa missilistica, temo possa determinarsi una nuova spirale di corsa agli armamenti che sarebbe estremamente preoccupante».

Come è possibile uscirne?

«Se ne può uscire solo attraverso il rilancio complessivo di una politica di distensione e di riduzione degli armenti, che dovrebbe essere uno dei grandi temi del G8, assieme all’altro, non meno cruciale...».

Quale?

«La questione ambientale. È chiaro che si deve andare verso un accordo post Kyoto, su cui c’è un forte impegno della presidenza tedesca del G8, che ha ricevuto un forte sostegno dalle importanti decisioni prese in merito nell’ultimo Consiglio Europeo. A mio avviso occorre legare gli americani ad una prospettiva comune, impegnare la Russia, senza trascurare un negoziato con le grandi economie emergenti - come l’India e la Cina -. Ma è chiaro che è difficile vincolare queste economie emergenti se i Paesi ricchi non fanno prima i conti con i propri modelli di sviluppo. Qui il G8 dovrebbe lanciare un segnale forte in tale direzione».

Se il G8 dovesse affrontare la questione mediorientale, cosa dovrebbe stabilire?

«Dal G-8 può venire un impulso importante. A mio avviso dovremmo rivitalizzare l’azione del Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia, ndr.), che non solo riporti le parti a un dialogo costruttivo, ma effettui anche il monitoraggio delle intese raggiunte. Poi credo che sia venuto il momento anche di ricominciare a parlare di un accordo sullo status finale. Nello stesso tempo si potrebbe concordare un piano di emergenza per Gaza, un piano umanitario, di disarmo, di bonifica, garantito da una presenza internazionale sul campo: in altre parole una forza di sicurezza che affianchi un piano umanitario».

La crisi israelo-palestinese rischia di avere una ricaduta devastante anche nel vicino Libano, dove imperversa la battaglia nei campi profughi palestinesi. Lei inizia oggi (ieri, ndr.) una delicata missione in Libano e Siria. Con quali prospettive?

«Avevamo avvertito da tempo il rischio di una penetrazione di gruppi legati ad Al Qaeda nella realtà palestinese in Libano. C’era da attendersi, ed io l’ho detto più volte, che la mancata soluzione della questione palestinese - che avrebbe dovuto comportare anche un sostegno al governo di unità nazionale palestinese, pur con i suoi limiti - avrebbe favorito un processo di radicalizzazione perversa fino a creare spazi per Al Qaeda. Ed è ciò che sta avvenendo. Va peraltro rilevato che dentro la tragedia che investe i campi profughi palestinesi in Libano, emergono anche segnali per certi aspetti positivi...».

Quali sarebbero?

«La grande maggioranza delle organizzazioni palestinesi, compresa Hamas, si è schierata contro questi gruppi jihadisti, e l’altro aspetto è che questa minaccia è considerata tale dall’insieme del campo politico libanese...».

Anche Hezbollah?

«In particolare Hezbollah. Non c’è dubbio che Hezbollah non è interessato a destabilizzare l’area di responsabilità dell’Unifil (il contingente Onu schierato ai confini tra Libano e Israele, del quale fanno parte quasi tremila soldati italiani, ndr.). A muovere Hezbollah, che è un movimento sciita, c’è la consapevolezza che così come in Iraq, i gruppi salafiti intendano innescare una guerra di religione tra sunniti e sciiti. Ora bisogna anche vedere come il campo politico libanese reagirà alla decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di istituire il Tribunale per l’assasinio di Hariri, che era la questione su cui si era determinato un blocco politico-istituzionale in Libano...».

In questo contesto, cosa chiederà nella sua tappa a Damasco alle autorità siriane?

«Chiederò loro di collaborare alla applicazione della risoluzione 1701, ribadendo, come peraltro ha affermato il premier libanese Fuad Siniora, che il Tribunale internazionale non è un’arma puntata contro la Siria, non rappresenta un atto di ostilità verso il Governo siriano, e che l’Italia vuole che la Siria sia parte attiva in un processo di pace. Chiederò loro di cooperare alla stabilizzazione della regione».

Il riferimento alla politica americana ha attraversato il nostro colloquio, dallo scudo spaziale al Medio Oriente. Sabato prossimo George W.Bush sarà a Roma. C’è chi sostiene, teme o spera, che la partecipazione di ministri alla manifestazione di protesta possa portare alla caduta del Governo.

«Ritengo che la visita del presidente Bush subito dopo il G8, debba essere l’occasione anche per approfondire il dialogo con l’Amministrazione americana su molte questioni importanti. Noi abbiamo dimostrato nel corso di questo anno di governo, che si può avere con gli Stati Uniti una collaborazione intensa, un rapporto di amicizia rispettoso, ma anche autonomo e indipendente. Non c’è nessun bisogno di fare cortei: siamo perfettamente in grado di rappresentare il punto di vista autonomo dell’Italia».

A proposito di rapporti con l’America, domenica il premier è stato contestato da cittadini di Vicenza contrari all’allargamento della base Usa.

«Ricapitoliamo. Il governo Berlusconi ha preso un impegno con gli americani. Il progetto presentato dagli americani è stato approvato dall’amministrazione comunale di centrodestra di Vicenza. I cittadini di Vicenza contrari alla base hanno detto che il Consiglio Comunale non li rappresentava. Alle ultime elezioni provinciali i cittadini di Vicenza hanno espresso nuovamente la loro fiducia al centrodestra, che continua a governare anche il Comune. Poi contestano Prodi dicendo che non è democratico e ci chiedono un referendum cittadino che il governo non può dare, perché non c’è nessuna legge che ce lo consente. Il Comune di Vicenza può farlo, il Governo no. Insomma, mi pare davvero surreale che dopo tutto ciò uno se la prenda con Prodi».

Mentre nella comunità internazionale il ruolo dell’Italia viene ampiamente riconosciuto, le vicende della politica sembrano di assoluta precarietà, soprattutto per ciò che riguarda il futuro del governo Prodi. L’incertezza regna sovrana. Questo governo può portare a termine questa legislatura o è solo una pia illusione?

«Io credo che il governo può fare la legislatura, nel senso che se cade questo governo mi pare che la probabilità maggiore è che si vada alle elezioni. È questa l’intenzione di Berlusconi...».

Ma non di Gianfranco Fini...

«Se Fini dice che vuole un governo di larghe intese, e Berlusconi dice di no, la verità è "No", perché chi decide nelle Cdl alla fine è Berlusconi. Penso che il precipitare nelle elezioni anticipate, con questa legge elettorale, sarebbe un danno grave per il Paese. Ritengo che il governo debba poter sviluppare la sua azione e trarre i risultati anche da scelte che certamente all’inizio sono state abbastanza complesse».

È una maggioranza che indulge a una pratica autolesionista?

«Sinceramente non lo penso. Io vedo una grande difficoltà, un grande nervosismo che sono aspetti della difficoltà italiana a governare. In fondo è la "malattia" che ha avuto anche il centro-destra, con numeri diversi che gli hanno comunque consentito di convivere con il problema. Oggi noi, con i numeri del Senato, abbiamo una situazione più tesa. La debolezza di questa stagione politica sta nel non aver dato un fondamento rinnovato alle Istituzioni. Ogni tentativo di fare un discorso di lungo di respiro è naufragato di fronte ai calcoli di convenienza di gruppo o personale. C’è un problema di mancata lungimiranza del sistema».

C’è un modo per uscire da questo eccesso di confusione?

«Per quanto ci riguarda, avendo il coraggio di decidere. Non possiamo stare continuamente a discutere... Se non si prendono decisioni, il rischio è che le cose si trascinino in uno stato di confusione, come è successo per il "tesoretto". Inoltre dobbiamo spiegare che il sistema di decisione politica è inefficiente. Voglio dire che il Governo ha varato circa cento disegni di legge che delineano un’altra Italia e realizzano gran parte del programma di governo, dal conflitto di interessi, alla riforma del sistema televisivo, alle liberalizzazioni, ai Dico. In tutti i Paesi del mondo normali queste decisioni sarebbero diventate effettive in un tempo ragionevole. Da noi non accade».

Ma il problema è anche che al Senato il centrosinistra ha una maggioranza risicatissima.

«Per come sono i Regolamenti parlamentari, se si ha un’opposizione che non vuole far governare, non puoi vedere realizzata alcuna decisione. E noi abbiamo una destra che pur di non far passare la legge sul conflitto di interessi inizia l’ostruzionismo tre leggi prima».

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