Intervista
20 maggio 2007

«Politica, crisi come negli anni '90» <br>

Intervista di Maria Teresa Meli - Corriere della sera


Ministro D’Alema, un bilancio di questo primo anno di governo.

«Il bilancio concreto dell’azione di governo è estremamente positivo».

All’esterno la percezione è un po’ diversa...

«Questo è il frutto di una situazione paradossale. Noi abbiamo un alto tasso di crescita, il più alto da molti anni a questa parte e anche il più vicino alla media europea, abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso da 15 anni, e l’inflazione è ferma all’1,5%. E tutto ciò non è successo per caso ma grazie al governo. Risultati straordinari: se li avesse ottenuti Berlusconi, si sarebbe fatto incoronare imperatore d’Italia. L’economia dunque è in ripresa e anche il profilo internazionale dell’Italia si è molto rafforzato. È un dato oggettivo, quest’ultimo: ci viene universalmente riconosciuto. D’altra parte in politica estera abbiamo abbiamo ottenuto una catena di successi difficile da mettere insieme».

Il governo però appare debole e Mastella minaccia la crisi.

«La debolezza del governo è una debolezza di messaggio al Paese. L’esecutivo ha il problema drammatico che i suoi risultati sono oscurati dalla crisi del sistema politico, dal prevalere del chiacchiericcio e delle litigiosità autoreferenziali. Tra l’altro, tutto perde di significato quando uno protesta non per quello che dice di contestare, ma perché è preoccupato per la legge elettorale».

Si riferisce a Mastella, ministro?

«Io sono amico di Mastella, ma tutta questa agitazione appare strumentale e immotivata. Comunque tutta questa strumentalità allontana i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. È un problema che riguarda il governo ma anche l’opposizione. È in atto una crisi della credibilità della politica che tornerà a travolgere il Paese con sentimenti come quelli che negli anni '90 segnarono la fine della prima Repubblica. E infatti se è vero che il governo non gode di altissima fiducia è anche vero che se si chiedesse alla gente se vuole il governo Berlusconi, la risposta sarebbe "no". Alla scarsa fiducia verso di noi non corrisponde una forte fiducia verso di lui. Per questo io non credo che il governo sia a rischio, perché non c’è un’alternativa».

Intanto il chiacchiericcio continua.

«Già, e qualche volta si cerca di coinvolgermi, attribuendomi frasi che non ho mai detto. Se potessi dare un consiglio amichevole ai giornalisti direi: non fidatevi dei politici che alzano il telefono e vi rivelano "i retroscena". Spesso sono bugie che vengono messe in circolazione per colpire qualcuno o favorire qualcun altro».

Ministro, e la discussione sul tesoretto?

«Io non ho ancora capito bene di quanti soldi si tratti e la cosa non è irrilevante, perciò mi astengo da queste discussioni, perché credo che quando si parla di risorse pubbliche lo si debba fare con serietà e precisione».

Va bene, ministro, non conoscerà l’entità del tesoretto, ma visto che c’è, si sarà fatto un’idea di dove destinarlo.

«Occorrerà muoversi seguendo le tre grandi scelte che abbiamo fatto: rigore—e cioè aggiustamento dei conti pubblici — giustizia sociale e competitività. Adesso che l’Europa ci impone di estendere il cuneo fiscale a ogni tipo di impresa, questo ci costerà più del previsto».

Questa è la competitività. E la giustizia sociale?

«Ritengo che la priorità sia quella di aumentare le pensioni più basse. Penso ai tanti anziani, spesso soli, che sopravvivono con 400 euro al mese. Inoltre sarebbe una misura che aiuterebbe a chiudere positivamente la trattativa sulle pensioni».

E l’Ici?

«Io penso che le priorità per maggio-giugno siano le tre che ho detto. Il tema dell’Ici lo affronteremo più in là. È un’imposta comunale ed è il maggior sostegno dei Comuni italiani. Quindi dobbiamo riorganizzare la fiscalità locale: non è che possiamo togliere i soldi ai Comuni e basta. Si tratta pertanto di un’operazione molto complessa. Ma abbiamo quattro anni di tempo davanti a noi e se il trend di crescita internazionale si mantiene, noi possiamo ragionevolmente pensare di abbassare la pressione fiscale».

Lei prima accennava alla trattativa sulle pensioni. I sindacati sono sul piede di guerra per questo e altri temi.

«Io ho un grande rispetto per i sindacati, però hanno perso anche loro lo slancio che ha caratterizzato l’azione del movimento sindacale, che era una forza generale che si faceva carico dei grandi temi dello sviluppo del Paese. Oggi non è così: il sindacato è molto più focalizzato sulla tutela di interessi, legittimi, ma di natura particolare. Questo vale anche per Confindustria, ovviamente, e per le altre organizzazioni economiche e sociali».

Il sindacato, però, dice che vorrebbe confrontarsi con un governo unito...

«Effettivamente, con un esecutivo non unito, i sindacati sono in difficoltà: è molto più faticoso trovare un’intesa. E qui si torna al grande problema del nostro Paese, che è quello di dare autorevolezza alla guida politica. Noi paghiamo lo scotto di non avere avuto la forza di fare le riforme. Io non chiedo la dittatura, però o noi troviamo il modo fare una riforma elettorale che porti con sé anche un rafforzamento dell’esecutivo e il superamento di alcuni meccanismi obsoleti, come il bicameralismo, o rimaniamo nella palude. E di questo tema dovrebbero farsi carico tutte le grandi forze del Paese».

Anche l’opposizione, dunque?

«Già, tutti i leader dell’opposizione dovrebbero interrogarsi sul futuro di questo Paese e delle sue istituzioni, al di là dei calcoli di convenienza. È del tutto evidente che il nostro sistema politico corre dei rischi molto seri e che bisogna affiancare alla riforma della legge elettorale un pacchetto di riforme costituzionali».

Ma se la maggioranza non riesce a mettersi d’accordo neanche al suo interno sulla riforma elettorale...

«Se non si fa la riforma, si va al referendum. Le cose precipiteranno verso esiti magari non voluti, ma ormai il meccanismo referendario è avviato, non è che si può far finta di nulla. Il referendum rischia di generare un sistema difficilmente governabile e a quel punto quelli che finora cincischiano saranno costretti a riformare la legge».

Lei l’altro ieri ha rimpianto il patto della crostata, quello che a casa Letta sancì il patto della Bicamerale sulla riforma elettorale e istituzionale...

«La crostata non c’era. Non ricordo quale fosse il dessert, ma ricordo bene i contenuti di quell’accordo: c’era elezione popolare diretta del capo dello Stato e c’era il doppio turno, che avrebbe limitato il potere di ricatto delle forze minori. Era un accordo importante per l’Italia».

Ma Berlusconi e altri lo fecero fallire. E ora?

«Ora io penso che in questo panorama non confortante il Partito democratico si presenti come l’unica novità e non è un caso che questo progetto susciti interesse e partecipazione. Se non lo sciupiamo nel corso delle prossime settimane, rappresenta un progetto di speranza per molti. Noi abbiamo il dovere di non tradire queste aspettative e di dar vita a una fase costituente che consenta a ciascun cittadino italiano che lo vorrà di votarema anche di essere votato. Ottobre sarà il momento della verità: il successo del nostro progetto dipenderà molto da quante persone andranno a votare per la costituente».

Come si immagina l’elezione dell’assemblea costituente?

«I meccanismi partecipativi possono essere tanti. Non è detto che debba essere una conta tra leader nazionali. Questo avverrà dopo, quando arriveremo alla scelta del leader del futuro, anche perché Prodi ha annunciato che col finire della legislatura lascerà. Lui è il padre fondatore del Pd che completa con questa legislatura la sua esperienza politica. La scelta del leader futuro, però, non è cosa di ora, ma, ovviamente, non aspetteremo neanche il 2011 per decidere».

Quindi anche lei si sottoporrà alla prova delle elezioni dell’assemblea costituente...

«E allora? Se siamo delegati di diritto non va bene perché rappresentiamo il ceto politico che riproduce se stesso. Se ci sottoponiamo alle elezioni non va bene... perché forse ci votano. Possiamo solo farci fucilare? Guardi che io non ho una funzione nella vita pubblica perché sono imposto dall’alto: io ho il consenso di una parte del Paese sennò non conterei nulla. Quando mi sono presentato alle elezioni mi hanno votato al di là dei partiti e dei loro apparati. Alle Europee ho preso 834 mila preferenze non perché sono stato imposto dal Pcus!».

Ministro, dica la verità, farà una sua lista per la Costituente?

«Non sappiamo neppure se ci saranno le liste. Francamente mi pare del tutto prematuro parlare di queste ipotesi quando non si sa neanche con quale sistema si voterà».

Voi evitate di fare nomi adesso per il leader del futuro. Ma c’è un nome che gira sui giornali: quello di Veltroni.

«Io ritengo che questa condizione di candidato predestinato così fortemente sponsorizzato dai giornali lo danneggi moltissimo. Se fossi in lui mi preoccuperei, ma sono convinto che siccome è un uomo intelligente questo lo capisca bene. Io ritengo che Veltroni sia una risorsa: la fiducia che i cittadini hanno verso di lui è una cosa importante, però nello stesso tempo bisogna avere anche la fiducia della classe dirigente perché governare non è un’impresa solitaria. A Walter mi sono sempre permesso di consigliare calma e prudenza, di non mettersi nelle mani frettolose di qualche king maker...».

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