Intervista
24 marzo 2010

D'ALEMA CHIUDE LA PORTA.<br>"DAL PREMIER SOLO BUGIE"

Intervista di Federico Geremicca - La Stampa


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Gira e rigira tra le mani la copia de La Stampa con l’ultima intervista di Silvio Berlusconi ben richiamata in prima pagina. E però, sistemato dietro la scrivania di presidente del Copasir, Massimo D’Alema - in verità - invece che parlare sembra perplesso: «Vuole che la commenti? Dovremmo parlare dell’ultima esibizione di vitalità del nostro premier, un uomo che a 74 anni sfida ad una gara sui cento metri il suo intervistatore... Il resto, infatti, sono bugie dette con sconcertante naturalezza ed un vuoto assoluto di idee e di prospettiva». Sono le 11 del mattino e D’Alema è in partenza per il Piemonte, dove lo attende una raffica di iniziative in vista di un voto - quello imminente - al quale guarda con ottimismo. «Il messaggio di Berlusconi si è fatto ripetitivo e stanco - dice -. Parla di cose lontane dalle preoccupazioni vere degli italiani, che non vivono certo con l’ossessione dei talk show o del lavoro della magistratura...».

Sarà magari come dice lei, presidente D’Alema: ma il premier sostiene, invece, di esser dovuto scendere in campo anche stavolta proprio per l’attacco che subirebbe dai pm. Lei non ci crede?
«Berlusconi sta solo facendo il solito giochino: che consiste nel tentare di trasformare ogni voto - perfino un’elezione circoscrizionale - in un referendum su di lui. Lo fa anche perché ha poca considerazione dei suoi candidati e del suo partito. Ma è appunto di questo che si tratta: i magistrati sono un pretesto».

Comunque la si giudichi, è però una scelta che in passato spesso lo ha premiato, no?
«Non lo discuto, ma molte cose sono cambiate... La sua coalizione è in crisi evidente. Il suo messaggio si è fatto ripetitivo, il suo egocentrismo è cresciuto a dismisura e sta trasformandosi in un problema serio. Vede, perfino il fatto che un uomo che ormai ha 74 anni trovi offensivo che gli si facciano domande sul dopo, sulla successione, è segno di miopia e di scarso amore verso il Paese».

Evidentemente ritiene di avere energie e idee per andare avanti e fare altro: a cominciare dalla riforma della giustizia, annunciata per dopo il voto. Le pare così strano?
«Sono anni che annuncia cose che poi non fa. Nell’ultimo decennio ha governato per quasi otto anni: perché non ha varato le riforme che promette? Anche sulla giustizia abbiamo avuto leggine e non riforme. Sulle intercettazioni fummo noi a presentare una proposta seria ed equilibrata: non volle nemmeno discuterne. E se ora per riforma intende una norma che ostacoli il lavoro dei magistrati, può star certo che troverà la nostra più ferma opposizione. Inoltre, vorrei far notare con qualche amarezza che il garantismo del nostro premier ha mostrato, in questi giorni e a proposito delle inchieste pugliesi, un volto vergognoso: chiede impunità per sé e persecuzione per i suoi avversari politici».

Vede invece più possibilità di confronto sul piano delle riforme istituzionali? Berlusconi propone l’elezione diretta del premier o del Capo dello Stato: come risponde?
«Che gli ultimi anni hanno dimostrato quanto ci sia bisogno dell’autorità di un Capo dello Stato punto di equilibrio e garanzia per tutti: un presidente della Repubblica eletto nel fuoco di uno scontro elettorale non potrebbe esercitare quel ruolo con autonomia e credibilità. Ma questo è già parlare di merito: mentre è evidente che la proposta di Berlusconi è elettorale e demagogica. Neppure il presidente della Camera, Fini, che pure è sempre stato presidenzialista, lo ha seguito su questo terreno».

E perché non sarebbe seria?
«Ma come si fa a parlare indifferentemente di elezione diretta del premier o del Capo dello Stato, come fossero la stessa cosa? A parte che, nella sostanza, l’elezione diretta del presidente del Consiglio noi l’abbiamo già - visto che sulla scheda elettorale c’è il nome del candidato premier -, non è questo il problema che il Paese ha di fronte. Proprio perché abbiamo un presidenzialismo di fatto, la questione è restituire al Parlamento il suo ruolo legislativo e di controllo, permettendo ai cittadini di scegliere i loro parlamentari. E riducendo il numero degli eletti, a mio giudizio, a tutti i livelli. Anche per ridurre i costi della politica. Tuttavia la difficoltà non è neanche nel merito, ma nella confusione di un premier che sulle riforme costituzionali improvvisa e sembra cambiare idea a seconda delle convenienze».

La sua appare una chiusura totale: eppure proprio lei, dall’esperienza della Bicamerale in poi, è considerato il leader più aperto al confronto con Berlusconi. Tanto aperto da spingersi fino a quelli che sono stati addirittura definiti inciuci...
«La Bicamerale rappresentò un tentativo serio di riforma, che non a caso fu proprio Berlusconi ad affossare. Quanto al resto, si tratta di stupidaggini giornalistiche: io non parlo con Berlusconi che saranno dieci anni, e vorrei che qualcuno mi elencasse gli inciuci che avremmo fatto. Noi siamo una forza riformista e siamo pronti a partecipare alle riforme necessarie per il Paese. Se si accetta come base la cosiddetta bozza Violante, siamo pronti a discutere. Confusi presidenzialismi o norme contro l’indipendenza della magistratura non ci vedono disponibili».

In caso contrario il rischio è che resti tutto così com’è, no?
«Infatti. E sarebbe un danno per il Paese. Negli ultimi 15 anni il nostro bipolarismo, con questa estrema personalizzazione, ha prodotto governi che generalmente non hanno dato buona prova di sé: occorre metterselo alle spalle - cominciando con il cambiare la legge elettorale - e rifondarlo intorno a grandi forze politiche. Il Pd, con Bersani, sta lavorando in questa direzione. Ed è ridicolo raffigurarci come un gruppo estremista nelle mani di Di Pietro. L’alternativa alla quale lavoriamo non è una riedizione dell’Unione ma un progetto riformista intorno a un grande partito di tipo europeo, perché il Paese ha bisogno di una svolta».

Ma rispetto a cosa, presidente D’Alema?
«Rispetto ai risultati prodotti dal nostro anomalo bipolarismo. Ma anche a quanto realizzato da Berlusconi alla guida del Paese. Il solo fatto che continui ad annunciare sempre le stesse riforme, vuol dire che fino ad oggi non le ha fatte. E siamo l’unico Paese occidentale ad avere un premier che - mentre il mondo cambia sotto l’incalzare della crisi e delle novità che produce - è ossessionato dai giudici e dalla tv. Il cosiddetto “governo del fare” si è limitato a propagandare per oltre un anno la rimozione dell’immondizia a Napoli e le case per i terremotati dell’Aquila: ma Napoli è di nuovo circondata dalla “monnezza” e in Abruzzo i cittadini vanno in strada a protestare...».

In questo quadro che risultato elettorale si aspetta?
«Mi auguro un voto che ridimensioni un capo di governo più dedito al culto della sua personalità che impegnato a risolvere i problemi. E mi aspetto un risultato che confermi un equilibrio tra i governi regionali prevalentemente di centrosinistra e il governo nazionale, anche perché questo può spingerlo ad operare meglio. La nostra campagna elettorale sta andando bene, potremo avere un buon risultato. Per quanto riguarda il centrodestra, che è in evidente difficoltà, Berlusconi ha tentato di cambiare il corso delle cose con la manifestazione di sabato scorso: ma la partecipazione è stata quel che è stata, e l’insensata polemica sul numero dei presenti ha irrimediabilmente immiserito l’intera vicenda. Vedremo. Ma quel che è certo è che noi andiamo verso il voto fiduciosi e sicuri di un nostro rafforzamento».

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