Intervista
14 luglio 2011

MANOVRA: NON INTENDIAMO FARE OSTACOLO, MA NON E’ LA NOSTRA

Intervista di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore


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Presidente D’Alema, sembra che stia maturando il miracolo dell’approvazione della manovra in Parlamento in tre giorni. Cosa è successo?

In queste ore indubbiamente il paese ha messo a segno un risultato importante in un clima di responsabilità nazionale. È un messaggio che è arrivato ai mercati e all’Unione europea. Così abbiamo arginato il rischio di un’ulteriore caduta per l’Italia e per le banche italiane. Tutto questo è avvenuto per merito del presidente della Repubblica, in primo luogo, e in secondo luogo dell’opposizione.

E il Governo, il presidente del Consiglio?

Ha avuto il merito di tacere. Per alcune ore, fondamentali. E forse anche il merito delle cose non fatte: aver capito per esempio che non era aria di inserire nel decreto norme ad aziendam.

Una manovra da 40 miliardi non è riducibile alle cose non fatte.

Grazie all’opposizione è migliorata per quanto possibile, data la situazione, e la sua approvazione sarà certamente un segnale importante. Noi non intendiamo fare ostacolo, ma sia chiaro: certamente non è la nostra manovra. In particolare, riteniamo gravissimo il prezzo che si fa pagare a regioni ed enti locali. Ma detto questo i problemi sono ancora tutti tra noi. Sono tutti irrisolti. Problemi di natura strutturale, perché il dramma italiano è la mancata crescita. Ed è qui la prova dell’errore di fondo della strategia di questo governo.

Poca attenzione alla crescita.

Il governo ha sottovalutato, addirittura negato, la crisi. Poi ha pensato che si potesse galleggiare in attesa della ripresa internazionale tutelando semplicemente i conti pubblici. Ma come sanno gli economisti tra risanamento e crescita c’è un nesso stretto. E questo non è stato capito a sufficienza. Finora il governo non ha fatto nulla per sostenere la crescita. Noi abbiamo avuto la fortuna della solidità del sistema bancario. La fortuna di non dover intervenire per sostenere le banche con il bilancio pubblico. E comunque il debito pubblico è arrivato al 120 per cento. Non sono stati affrontati i problemi di fondo e non credo che l’attuale governo sia in grado di affrontarli.

L’attuale governo ha dovuto anche fronteggiare la crisi dei mercati finanziari, prima, e la bufera sull’euro adesso. La mancata crescita è tutta colpa di questo governo?

Non dico questo. La crisi che stiamo vivendo è anche dovuta all’assenza di una strategia europea. Di questo il governo italiano è solo corresponsabile. Senza una politica europea dello sviluppo e senza una politica europea del debito, la moneta unica e forse l’Europa stessa non reggeranno. C’è una debolezza della governance economica e finanziaria europea. Serve una strategia di sviluppo che non c’è.

In quale direzione?

Ci sono ormai molte proposte per europeizzare una parte del debito, attraverso gli eurobonds e la loro collocazione in un fondo europeo. Questo alleggerirebbe la pressione su alcuni paesi e libererebbe risorse da investire. Sarebbe poi utile la possibilità, per la Ue, di avere risorse proprie attraverso una financial transactions tax, che avrebbe anche un valore di giustizia sociale.

La Tobin tax?

La si chiami come si vuole. C’è, su questo, una proposta votata dal Parlamento europeo a larga maggioranza e fatta propria dalla Commissione. È stato calcolato che un prelievo dello 0,05 per cento potrebbe fruttare circa 200 miliardi. Sono risorse importanti per la crescita. Serve il coraggio, come in altri momenti di crisi, di fare una salto di qualità. Occorre una politica europea attiva, non solo basata su vincoli e controlli.

I tedeschi sono contrari agli eurobond perché non vogliono pagare di tasca propria gli squilibri degli altri.

Ai tedeschi conviene avere coraggio, perché la situazione attuale li espone a grandissimi rischi: la loro economia ha bisogno dell’euro, è interesse dei cittadini tedeschi difendere la moneta unica.

Al di là di quello che potrà fare l’Europa, come esce l’Italia dai suoi problemi di crescita?

Innanzi tutto con una seria riforma fiscale. Da tempo proponiamo una riforma che sostenga imprese e famiglie. Anche perché la ripresa passa per un rilancio del mercato interno. Non possiamo scommettere solo sulle esportazioni, servono i consumi interni. C’è l’esigenza di un forte riequilibrio sociale. Ho letto l’intervista di Romano Prodi al Sole 24 Ore, ha ragione. Serve una politica fiscale che richiami alle sue responsabilità la classe dirigente, i ceti più abbienti. Nella manovra siamo riusciti a togliere il balzello uguale per tutti sui depositi titoli, ma bisogna rafforzare più in generale il criterio di progressività. L’aumento dell’Iva per finanziare la riduzione delle aliquote più alte, come annunciato da Tremonti, va in una direzione opposta.

Il progetto del governo è un po’ diverso…

Ma c’è l’aumento dell’Iva. E l’Iva è una tassa non progressiva. La pagano tutti, anche gli incapienti. C’è tutta una filosofia del governo da questo punto di vista. Il punto vero è che la riduzione delle diseguaglianze sociali non è solo un problema di giustizia, ma è un’opportunità per la crescita del paese.

Ma come si finanzia la riforma fiscale che lei propone?

Aumentando la tassazione sulle rendite. C’è un proposta di legge in Parlamento su questo. E in queste settimane abbiamo prodotto un piano di riforme che prevede anche il recupero dell’evasione in modo meno oppressivo di come avviene oggi, e la revisione degli studi di settore.

E la patrimoniale?

È un tema per ora del dibattito culturale. Ripeto: noi parliamo di tassazione sulla rendita. D’altra parte è bene che emerga la necessità di una responsabilità della parte più ricca del paese. È utile. È un tema reale.

Lei parla di contributo della classe dirigente, ma la politica non dovrebbe dare il buon esempio?

È giusto ridurre i costi della politica e da tempo abbiamo le nostre proposte. Tuttavia è evidente che in Italia vi sono tanti privilegi su cui intervenire. Basta vedere come le diseguaglianze sono venute crescendo in questi anni. I redditi da lavoro dipendente rappresentano l’80% delle entrate fiscali del Paese costituendo il 40% della ricchezza. Queste cifre danno il senso di un’ingiustizia insostenibile. E sono una strozzatura dello sviluppo italiano.

Altri punti di un possibile piano per la crescita?

Serve un’ondata seria di liberalizzazioni. Su questo la destra ha un deficit enorme. E poi serve una politica industriale vera, che concentri le risorse nei settori dove possiamo essere competitivi, sollecitando i capitali privati. Bisogna investire su formazione, ricerca e innovazione. La Germania ha scommesso sulle energie rinnovabili e ha avviato un programma di produzione nazionale in questo settore attraverso un mix di politiche private e pubbliche. Da noi abbiamo istallato solo pannelli cinesi. Non è stato fatto nulla per creare un’industria nazionale in questo settore. Così come non c’è una politica che aiuti le nostre medie imprese a competere sui mercati internazionali.

Cosa ne pensa dell’Ice agli Esteri?

E’ giusto, è utile semplificare e unificare.

A proposito di semplificazioni il Pd in Parlamento ha contribuito ad affossare il taglio delle Province.

Noi vogliamo arrivare al superamento delle province, abbiamo anche presentato un disegno di legge costituzionale. Bisogna sapere, infatti, che è un’operazione complessa che rientra nel quadro della riorganizzazione della macchina pubblica. Il resto è demagogia. Si possono abolire le province, ma non le funzioni che svolgono. Il rischio quindi è quello di costruire poi strutture ancora più costose per assolvere a queste funzioni.

Lei parla di un piano per la crescita, ma quale governo dovrà portarlo avanti?

C’è sui giornali un dibattito fuori centro. Il Pd ha detto con chiarezza che questo governo non è in grado di governare il paese. La via maestra sono le elezioni. Ma se ci sono le condizioni per fare un governo di fine legislatura per affrontare la crisi promuovendo riforme utili alla crescita, e per cambiare la legge elettorale, siamo disponibili. Nessuna manovra di palazzo. È la destra che fa manovre di palazzo per sopravvivere.

Che tipo di governo potrebbe gestire questa operazione?

Tocca al Capo dello Stato. Noi abbiamo detto di essere disponibili a dare una mano, ma certo non brighiamo per fare il governissimo.

Un governo Tremonti?

I discorsi sui nomi sono inutili. Sono dibattiti che servono solo a danneggiare il paese. A creare confusione. Di certo il Parlamento oggi non rappresenta la maggioranza del paese e non è neppure la maggioranza espressa dalle elezioni. È una maggioranza raccogliticcia.

Il Parlamento è sovrano.

Sono un convinto sostenitore della democrazia parlamentare, anche se è un po’ paradossale che l’uomo dell’appello al popolo in questo momento si appelli a Scilipoti.

Se in Parlamento la maggioranza di Berlusconi resta salda non è anche per un problema di credibilità dell’opposizione come alternativa?

L’opposizione è credibile per avere i voti del paese e lo abbiamo dimostrato alle ultime elezioni. Tanto è vero che gli esponenti della maggioranza sono aggrappati lì proprio perché capiscono che se vanno alle elezioni perdono. È autodifesa. Sopravvivenza, che dimostra debolezza.

C’è un dialogo tra Pd e Lega?

In Parlamento si dialoga con tutti. In ogni caso, la Lega è un partito in un momento molto difficile. È divisa, ha problemi con i propri elettori, ma è evidente che per ora prevale la difesa del patto con Berlusconi. Certo, su alcuni temi, come quello della giustizia, si prenderà sempre più la sua autonomia e bisogna vedere quanto il Pdl saprà reggere a questa pressione.

Le vicende giudiziarie non aiutano alla chiarezza del quadro politico. Anche uomini vicini a lei e alla fondazione italianieuropei sono stati indagati. Cosa risponde?

Ho risposto ampiamente sull’estraneità della Fondazione Italianieuropei e mia. Abbiamo fiducia nei giudici e nel loro lavoro. Noi ci occupiamo dei problemi del paese.

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