Intervista
4 novembre 2011

La politica abbia “l’animo grande e l’intenzione alta”

Intervista di Giommaria Monti – Left


Nel cuore della crisi che sta attraversando l’Italia e le altre Nazioni dell’euro, la politica in Europa deve avere un peso più autorevole e guidare l'economia con scelte forti e condivise. L'Italia deve riprendere il ruolo che ha perduto per responsabilità di Berlusconi, che anche per questo deve dimettersi. In questa intervista al nostro giornale, Massimo D'Alema ragiona sugli scenari che si stanno aprendo nel vecchio continente. Dopo il successo della coalizione rosso-verde in Danimarca, infatti, si voterà in Francia e in Germania, dove i sondaggi danno vincenti le coalizioni progressiste. Anche l’Italia potrebbe andare alle urne la prossima primavera. E si preannuncia l’apertura di una nuova, positiva stagione politica.

Presidente, Berlusconi è messo sotto la lente dell'Ue per quello che non fa e che perentoriamente gli chiedono di fare: una riforma delle pensioni, un pacchetto di proposte credibili, un piano per lo sviluppo. Trattati come scolari svogliati…

Il governo ha responsabilità immense, prima tra tutte quella di aver fatto finta che non ci fosse la crisi. Il populismo e la demagogia hanno toccato, con Berlusconi, livelli mai raggiunti. Basti pensare all’ostinazione con cui, unico al mondo, ha nascosto l’evidenza della crisi economica e sociale, che, alla fine, è piombata addosso al Paese costringendo il governo a una drammatica rincorsa affannosa e confusa. Ma l’Italia è ancor più penalizzata, perché, con un premier senza alcuna credibilità internazionale, la rincorsa diventa ancor più difficile.

Ci hanno detto non solo cosa fare, ma anche come farlo. Non è un po' eccessivo?

E’ esattamente il prezzo che paghiamo alla mancanza di credibilità a cui ho appena accennato. Tanto è vero che l’Europa non si comporta con gli altri come fa con noi. Nessun Paese è stato oggetto di precetti, neppure la Grecia, nonostante la situazione drammatica in cui versa. E questo perché Papandreu gode di credibilità. E' evidente, quindi, che la precettistica europea nasce da una sfiducia verso il governo italiano. Per questo siamo diventati un sorvegliato speciale. All’Europa erano stati promessi un decreto per lo sviluppo e una nuova riforma delle pensioni. Hanno dovuto accontentarsi di una lettera nella quale c’è un lungo elenco in parte di cose già fatte, in parte di impegni di improbabile realizzazione, in parte di misure ingiuste e inaccettabili contro i lavoratori.

Non crede che questa durezza dell'Europa nasca anche dalla predominanza dell'asse franco-tedesco?

Anche in altri momenti della nostra storia l’Italia è stata in difficoltà. Ma quelle situazioni trovavano rimedio in una sorta di vincolo europeo, una specie di armatura esterna che ci aiutava in qualche modo a riparare le fratture interne al Paese. E’ stato così negli anni '90, quando il rapporto con l'Europa ha rappresentato senza dubbio uno stimolo per salvare l’Italia e rimetterla in cammino. Quello che oggi aggrava ancora di più la situazione è che la crisi italiana si sviluppa nel contesto di una crisi europea più ampia. Soffriamo la mancanza di una Ue forte e autorevole, e la debolezza della governance europea rende l’Italia ancora più debole. Insomma, c’è troppa poca Europa, che paga il prezzo di scelte nazionalistiche da parte dei governi di centrodestra, a cominciare da Francia e Germania.

Ma l'Europa oggi è la Bce, non la politica.

La costruzione europea, negli ultimi vent'anni, ha pagato un prezzo alto al dominio ideologico neoliberista, che ha caratterizzato il mondo globalizzato. Intanto non dobbiamo scordare la lunga fase in cui dicevano che mercato unico e moneta unica sarebbero stati sufficienti a definire l'Europa. Ma era evidente che proprio l'esistenza di un mercato unico e di una moneta unica avrebbero richiesto un governo politico dell’Unione, un salto di qualità delle istituzioni politiche europee. Inoltre, la globalizzazione si è sviluppata nel segno del neoliberismo antipolitico. Attenzione, non dobbiamo confonderlo con il liberismo classico che, viceversa, una dimensione politica l’aveva. Il neoliberismo di cui parlo, che ha occupato la scena politica mondiale dalla caduta del muro di Berlino a oggi, è radicalmente antipolitico: è nato dall'idea che, con la fine del comunismo e la fine delle ideologie, si dovesse ridimensionare drasticamente la politica e il ruolo della dimensione pubblica con i partiti e le istituzioni democratiche.

Perchè le istituzioni politiche europee, a cominciare dalla Commissione, sono di fatto svuotate?

I governi di destra, come dicevo prima, hanno ridimensionato le istituzioni europee, convinti che sarebbe stato il mercato a risolvere tutto. Si è vissuta la politica come una inutile complicazione. L’ultraliberismo ha predicato una concezione della politica ridotta ad ancella dell’economia, senza alcun compito se non quello di rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pieno dispiegarsi delle virtù benefiche del mercato. L'Europa è cresciuta, in un momento delicato della sua storia, sotto l'impronta di questa visione. Da questo punto di vista sarebbe utile una seria riflessione anche sulle scelte della sinistra europea in quella fase.

Veramente il centrosinistra era al governo nei principali Paesi europei, in quel momento. Una parte si è accodato a una impostazione neoliberista…

E’ vero, il blairismo si è lasciato affascinare da quest’idea, illudendosi di poter cavalcare la globalizzazione. Altri, invece, come i socialisti francesi, si sono affidati all’idea che lo Stato nazionale avrebbe fatto da riparo. Ma la risposta non era neanche questa: andava ricercata in chiave europeista.
Resta il fatto che la sinistra non ha saputo dare risposte concrete, neanche di fronte a una crisi che ha determinato un grande senso di smarrimento. Da questo punto di vista, invece, la destra al governo ha avuto una torsione populista e, incapace di fornire soluzioni efficaci, si è limitata a dare risposte difensive, basate su certezze antiche, con richiami alla terra, all’identità, al sangue, alla religione…

La sinistra si è divisa sulla lettera della Bce. Una parte dice: “ E’ il nostro programma”; un'altra dice: “No, bisogna andare nella direzione contraria”. Così non disorientate gli elettori?

La lettera della Bce non è un programma di governo e non bisogna prenderla come tale. Ha dato delle indicazioni, degli obiettivi da raggiungere. E’ poi il governo a decidere le misure da intraprendere per realizzarli. Certo, questo governo è andato avanti con la politica degli annunci, e oggi è evidente il suo fallimento. Prendiamo il tema della spesa pubblica: quella globale, con i governi di centrosinistra, era arrivata al 46,5% del PIL. Bene, Berlusconi è riuscito nel “miracolo” di aumentarla, portandola fino al 53%, nonostante tagli indiscriminati e sciagurati alla spesa per scuola, università, ricerca. Vogliamo parlare dell’andamento del debito pubblico? Uno studio di Bloomberg evidenzia che gli unici due periodi in cui il debito pro capite degli italiani è diminuito (1,1%), sono stati quello del governo da me presieduto e quello del governo Prodi. Con Berlusconi, invece, è sempre aumentato.
Noi avevamo impostato una linea progressiva di riduzione del debito, che infatti è passato dal 120% al 109% del PIL, con un avanzo primario del 3,8%. Tutto questo è stato consumato, cancellato dai governi Berlusconi.
Lo dico perché loro raccontano di una sinistra della spesa, ma è una favola. Noi abbiamo la coscienza tranquilla verso le generazioni future.

Ma quella lettera chiede interventi drastici. Lei che ne pensa?

La lettera della Bce contiene anche considerazioni interessanti. Ad esempio, sollecita la costruzione di un sistema di protezione per il lavoro flessibile, sul modello danese. Ma pochi sanno in cosa consiste questo modello, che io applicherei subito…Prendiamo il caso di un disabile mentale: mentre in Italia riceve 250 euro al mese, in Danimarca ne riceve 1.500. Questo per dire che è falsa l’affermazione secondo la quale soffriamo di una eccessiva generosità nel nostro sistema di welfare. Tolta la spesa previdenziale, che è al di sopra della media europea, infatti, il nostro welfare non è al livello degli altri Paesi europei più avanzati. Il sistema di protezione del lavoro flessibile che c'è nei Paesi dell'Europa del Nord da noi non esiste.

Fino ad ora lei ha criticato il modello iperliberista, l'ideologismo della destra, Berlusconi. Eppure lo spazio critico sembra tutto occupato da alcuni giornali e movimenti, come i grillini. E il Pd?

Il Pd, nelle ultime elezioni, è risultato essere il primo partito del Paese. I sondaggi, inoltre, danno il centrosinistra in vantaggio sul centrodestra di 10 punti. Ma la vera questione è un’altra: l’Italia ha bisogno di profondi cambiamenti per recuperare un decennio perduto. Questo richiede una maggioranza ampia, in Parlamento come nel Paese. I sondaggi dicono che quella che oggi in Parlamento è minoranza, ormai è maggioranza nel Paese: parliamo del 60%. Ora si tratta di trasformare questo ampio consenso alle opposizioni nel sostegno a un governo di legislatura che abbia un programma di ricostruzione del Paese: riforma delle istituzioni, rilancio dell'economia, centralità del lavoro, riduzione delle diseguaglianze sociali, questione fiscale, sicurezza.Ecco perché il Partito Democratico sta lavorando per unire le forze che sono all'opposizione.

Lei recentemente ha accennato al fatto che c’è qualcuno che pensa a un “cavaliere bianco”, un Berlusconi buono che possa andare al governo del Paese. Cosa intendeva?

Volevo dire che forse qualcuno si illude che possa continuare un berlusconismo senza Berlusconi. E’ l’idea che il capitalismo possa governarsi da solo, senza bisogno dei partiti e delle istituzioni democratiche. Forse qualcuno ritiene che effettivamente si debba creare una via d’uscita da questa stagione e che, però, sia possibile farlo continuando a escludere o a tenere ai margini la sinistra. Ma si tratta di un’illusione e di un errore. Detto questo, noi sappiamo che la sinistra da sola non basta e puntiamo a un’alleanza più ampia.

Forze diverse come la sinistra e i cattolici pensa si possano mettere insieme? Su molte questioni, a partire dalla bioetica, la distanza e' grande

Sono convinto che sia possibile costruire un programma di legislatura, che unisca un arco di forze diverse. Naturalmente la prospettiva politica di un partito come l'Udc è diversa da quella di Sel, ma ritengo che si possa trovare un accordo per governare insieme su questioni urgenti che affrontino la crisi. Pensiamo al fisco: è possibile convergere su misure che spostino il peso della fiscalità sulla rendita liberando il lavoro e le imprese. E’ urgente attuare riforme di tipo liberale per rimuovere gli ostacoli corporativi al dinamismo sociale e alla sua mobilità. Bisogna rimettere in ordine le istituzioni democratiche, ridurre il peso della pubblica amministrazione, i costi della politica. Sto indicando grandi questioni su cui si può trovare un'intesa. Poi, è ovvio che vi siano altre grandi questioni che investono, per loro natura, la formazione culturale e la coscienza di ciascuno, sensibilità diverse che attraversano gli stessi singoli partiti. Temi su cui vi sono profonde differenze, come quelli eticamente sensibili. Ma per affrontarli il terreno di confronto è quello parlamentare.

L'intero continente è stato attraversato quindici giorni fa da un movimento di persone che chiedevano risposte. La politica non è troppo distante dalla società?

Oggi il difetto della politica è quello di non avere l’autorevolezza e la forza di dare risposte. Una mancanza anche nei confronti dei movimenti, che chiedono alla politica la capacità di riprendere le redini e correggere le storture, le disuguaglianze, le ingiustizie, la drammatica esclusione sociale di una generazione che è il prodotto di uno sviluppo capitalistico senza regole. A questo proposito, vorrei citare un pensiero di Mario Tronti: “Non è vero, come recita la vulgata corrente, che la crisi della politica deriva dal suo distacco dalla società civile. Al contrario, la politica entra in crisi perché somiglia troppo alla società civile. Ne ha assunto i peggiori vizi ed è diventato l'hegeliano regno dei bisogni”. Una frase scultorea, una descrizione esatta, a mio parere, della realtà: la crisi della politica deriva proprio dalla sua perdita di forza.

La politica allora cosa deve fare?

“Deve riguadagnare l'animo grande e l'intenzione alta”, come ha scritto Machiavelli. La vera risposta della politica è in termini di autorevolezza, di capacità di riguadagnare le leve del potere. La politica perde prestigio perché si separa dalla forza, e così facendo diventa predicazione. A settembre ho parlato con il presidente Clinton, secondo il quale il dramma che stiamo vivendo è che l'antipolitica produce leader capaci di raccontare belle storie, ma incapaci di decidere. Ecco, la crisi della politica è lì: quando non è capace di incidere sulla realtà.

Come affrontare, concretamente, questa fase così complessa e cruciale?

La politica deve tornare a governare i grandi processi e raccogliere la sfida dell'economia globale. Questo si può fare soltanto con istituzioni forti, che, per quanto ci riguarda, sono quelle dell'Unione europea. I movimenti progressisti non possono che essere europeisti e avranno l’occasione di dimostrarlo alle prossime importanti elezioni politiche che interesseranno Francia, Germania e, speriamo, Italia. Parliamo di tre Paesi fondatori, di 200 milioni di cittadini europei. E’ molto importante che i progressisti vadano al governo sulla base di idee condivise, che individuino grandi obiettivi comuni: l'Europa non può ridursi a tagli e austerità. Occorre una strategia europea di rilancio della crescita, attraverso un grande piano di investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, energia verde. Per affrontare la questione del debito è necessario mettere in campo una strategia solidale, dotare l’Europa di propri strumenti, come gli eurobond, la financial transaction tax, un’agenzia indipendente per il debito.
E’ necessario un salto di qualità nella coesione politica della Ue, che non può essere affidata al tandem Merkel-Sarkozy. Oggi le istituzioni europee sono indebolite, sostituite da pochi governi nazionali, prigionieri dei loro problemi interni, incapaci di assicurare un governo politico dell’Europa. I progressisti, futura classe dirigente europea, devono dire “no”. Noi faremo diversamente, riprendendo in mano il processo di integrazione.


D'Alema avrà un ruolo in Italia, in una nuova stagione?

Un ruolo io ce l’ho. Sono presidente della Feps e della Fondazione Italianieuropei, ho un compito istituzionale importante per l’opposizione. Soprattutto, lavoro per proporre analisi e idee che continuino a suscitare interesse nel dibattito politico italiano.

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