Intervista
5 novembre 2011

«L’Italia è in pericolo.<br>Serve un governo d’emergenza»<br>

Intervista di Roberta Floris - L'Unione sarda


Il vero dramma dell’Italia? Si chiama Silvio Berlusconi. Scandisce bene queste due parole Massimo D’Alema, presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) oggi a Cagliari per tenere una lectio magistralis su “Il rapporto tra democrazia, partecipazione e decisione nelle istituzioni moderne”, alla facoltà di Giurisprudenza, a chiusura di un corso di formazione per giovani sotto i trent’anni promosso da Ancitel, Amici di Sardegna e Fondazione Berlinguer.

Borse in caduta libera, spread al record storico, tasso di disoccupazione in crescita. Un’Italia in rosso come non mai. Presidente D’Alema, cosa dovrebbe fare il Paese per uscire dalla tempesta della crisi finanziaria internazionale?

“Innanzitutto deve uscire dalla debolezza con cui si trova ad affrontare la crisi internazionale. Debolezza che porta un nome e un cognome: Silvio Berlusconi, che ha doppie e gravi responsabilità sulla situazione del Paese”.

Quali?

“La prima è di aver snervato l’Italia in dieci anni di governo. Con i governi di centrosinistra degli anni ‘90, avevamo avviato una politica di consistente riduzione del debito e della spesa pubblica corrente. Alla fine del decennio scorso, il debito pubblico era sceso da 121 al 108% e la spesa pubblica corrente era pari al 46 % del Pil. In dieci anni di populismo berlusconiano-leghista il debito pubblico è schizzato al 121% e la spesa pubblica al 53%. Berlusconi ha invertito la tendenza positiva. La seconda colpa del premier è sui tempi della crisi, iniziata nel 2008: il governo per tre anni ha detto agli italiani che tutto andava bene e che non c’era alcuna crisi, di cui si è accorto solo adesso”.

Gli errori più gravi del presidente del Consiglio?

“Vari. Nel lungo periodo a causa delle politiche populiste che ha attuato e che, come dicevo, hanno portato alla ripresa del debito pubblico. A ciò si aggiungono gli errori congiunturali per fronteggiare una crisi continuamente negata e che negli ultimi mesi lo ha costretto a una rincorsa affannosa per evitare il crollo del Paese. Una rincorsa drammatica perché, come dicono tutti gli analisti, il collasso dei titoli italiani - che hanno uno spread maggiore di quelli spagnoli rispetto alla Germania - è un dato che pagheremo carissimo: stiamo vendendo i Btp al 6,5%, e questo accade perché abbiamo sulle spalle un “costo Berlusconi”. In questa drammatica situazione, il premier non solo non ha avuto il buonsenso di dimettersi, ma neanche ha avuto la sensibilità di Zapatero che ha anticipato le elezioni, annunciando la sua non ricandidatura. Noi abbiamo a che fare con un uomo che mette il suo permanere a Palazzo Chigi al di sopra del bene del Paese e non ha nessuna credibilità a livello internazionale”.

Però l’Europa ha promosso la lettera di intenti del premier…

“Dopo la lettera di Berlusconi, all’apertura dei mercati, i tassi di interesse sui titoli sono schizzati al 6,5%. E’ evidente che gli investitori delle sue lettere non sanno che farsene e che non ha alcuna credibilità. Il fatto, poi, che l’Italia sia un “sorvegliato speciale” come la Grecia, che è sull’orlo del default, la dice lunga. E questa è una condizione causata dal capo del governo”.

Presidente, se Berlusconi rimane a Palazzo Chigi, andremo in default come la Grecia?

“Se Berlusconi resta, il Paese non ne esce. La situazione, cosi com’è, è insostenibile”.

Napolitano parla di “larghe intese”, il Pd chiede un governo d’emergenza, che fase si apre?

“La fase che si apre dipende dal presidente del Consiglio. Certo, è chiaro che non possiamo sostenere il governo Berlusconi: non lo capirebbe nessuno e inoltre non servirebbe, perché non introdurrebbe quello choc politico positivo di cui il Paese ha bisogno. Occorre un governo di responsabilità nazionale sostenuto da tutti i partiti”.

Niente elezioni anticipate quindi…

“Secondo i sondaggi, il centrosinistra ha dieci punti di vantaggio. Dunque la nostra convenienza sarebbe andare al voto, ma per il bene del Paese siamo pronti ad assumere una responsabilità primaria con un governo d’emergenza”.

Se, invece, lo scenario fosse quello del voto anticipato, spalancherete le porte al Terzo Polo?

“Le opposizioni sono unite e noi siamo convinti che sia fondamentale promuovere un’ampia alleanza tra progressisti e moderati. L’obiettivo? Ricostruire una maggioranza forte in Parlamento e nel Paese. Il futuro dell’Italia richiede una coalizione in grado di fare riforme decisive e nessuno ritiene che si possa continuare con Berlusconi, eccetto alcuni suoi fedelissimi”.

Fedelissimi che potrebbero migrare tra i malpancisti del Pdl, visto la lettera degli scontenti all’interno del partito.

“Nel Pdl c’è la consapevolezza della necessità di una svolta, ma manca il coraggio di un’assunzione di responsabilità di fronte al padre-padrone di quel partito”.

Chi ha dimostrato invece di essere un battitore libero è il rottamatore Renzi. Che messaggio gli manderebbe?

“Non spetta a me lanciare messaggi. Il sindaco di Firenze è la dimostrazione che il nostro partito ha promosso una nuova classe dirigente composta da giovani con responsabilità rilevanti. Renzi è brillante e molto bravo a promuovere la sua immagine. Sono contrario a fare polemiche e, al tempo stesso, a enfatizzare il suo ruolo: crescerà e il suo valore sarà dimostrato nel tempo”.

La pensione a 67 anni divide sia il centrodestra che il centrosinistra. E’ una riforma obbligata o esiste un’alternativa?

“La riforma è già stata fatta, è quella Dini e porta la firma del centrosinistra. Il difetto di quel sistema è che ha meccanismi molto lenti. A mio parere, bisogna accelerarne la messa a regime per passare rapidamente al sistema contributivo”.

La questione delle pensioni ha teso i rapporti tra Lega e Pdl: ritiene che questo patto possa durare ancora?

“Non lo so. Mi pare che la Lega abbia perduto lo slancio vitale che aveva all’inizio e appare in una posizione subalterna rispetto al presidente del Consiglio. Ho l’impressione che per questo pagherà un prezzo molto alto”.

Stiamo entrando nella terza Repubblica?

“Mi sono perso la seconda… Noi abbiamo vissuto una grande crisi del sistema democratico italiano agli inizi degli anni ‘90 e da questa crisi il Paese è uscito attraverso la scorciatoia del populismo e dell’antipolitica. Dobbiamo uscire dal berlusconismo, non solo da Berlusconi, dando finalmente al bipolarismo italiano una matrice europea democratica. Guardiamo alla Germania, che ha un sistema politico forte, basato su un chiaro bipolarismo. Di fronte alla crisi, però, i grandi partiti si sono uniti, hanno rappresentato un elemento di tenuta della società, hanno salvato il Paese”.

L’allarme terrorismo lanciato dal ministro Sacconi è legittimo o eccessivo?

“Trovo del tutto improprio, per il suo ruolo istituzionale, che il ministro del Lavoro lanci allarmi di questo tipo. Che Sacconi annunci la presenza di gruppi terroristici è la dimostrazione della grande confusione in cui versa il governo: sarebbe come se Maroni annunciasse la riforma del lavoro. Se c’è un allarme di questo tipo lo deve dire il ministro dell’Interno in Parlamento, comunicando contestualmente quali misure ha messo in atto”.

Un giudizio sulla politica industriale e contrattuale di Sergio Marchionne.

“Tutto ciò che porta a un conflitto tra le parti sociali non serve al Paese. Non sono contrario a un sistema che valorizzi di più la contrattazione a livello aziendale e locale, ma questo va concordato con le forze sociali nell’ambito di un negoziato, che va fatto tra le grandi organizzazioni. Indebolire Confindustria e il dialogo tra le parti sociali in questo momento non è saggio per la tenuta del Paese”.

Della Valle e Montezemolo entrano in politica? Cosa pensa di imprenditori che hanno queste ambizioni?

“Non so cosa intendano fare. Ritengo comunque che il Paese abbia bisogno dell’impegno di personalità che vengono dalla società civile, dal mondo del lavoro e dell’impresa. Non ritengo utile, invece, la figura di un demiurgo: fa parte di un’ideologia antidemocratica e antipolitica, che il Paese ha già sperimentato con Berlusconi, trovandosi, ora, nel caos. Non ho mai creduto all’uomo della provvidenza. Ripeto, quello che serve all’Italia è un governo autorevole, espressione di un’ampia maggioranza, che abbia la forza di promuovere quelle trasformazioni profonde di cui il Paese ha bisogno”.

Come vede la situazione in Sardegna?

“La Sardegna ha rappresentato un test del fallimento della destra al governo. I sardi se ne sono accorti, nel senso che le ultime amministrative hanno portato un vento di cambiamento abbastanza marcato. Siamo nella condizione di candidarci al governo della Sardegna con molta autorevolezza sulla base di una spinta popolare. In Sardegna la destra è apparsa portatrice di interessi particolaristici e di natura affaristica”.

Nel convegno di oggi a Cagliari lei interviene sul rapporto tra democrazia e istituzioni moderne. La democrazia esiste ancora?

“La crisi della democrazia deriva dalla crisi della politica, che oggi comunica impotenza e fragilità. Lo scettro è passato nelle mani del mercato, ma va restituito ai cittadini. Questo vuol dire ridare centralità e forza alla politica”.

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