Intervista
9 dicembre 2011

QUESTA VOLTA PAGANO PURE I RICCHI, NON ERA MAI SUCCESSO<br><br>

Intervista di Riccardo Barenghi – La Stampa


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Il governo Monti e la sua manovra, i sacrifici per gli italiani e i sindacati che scioperano, i rischi per il Pd che deve convincere la sua base sociale insoddisfatta, le elezioni tra sei mesi o tra un anno e mezzo, le prospettive di un'Europa a rischio. Ne parliamo con Massimo D'Alema.

Molte tasse, pochi tagli, poca equità, poca crescita, pensioni sotto tiro, assenza di una vera patrimoniale... Soddisfatto D'Alema?

«Mi pare francamente una sintesi totalmente inappropriata, non è questa la manovra. Innanzitutto, vorrei ricordare le parole del presidente Napolitano: "Eravamo sull'orlo di una catastrofe". Il rischio era che andasse deserta l'asta sui titoli di Stato e ciò avrebbe significato non pagare le pensioni e gli stipendi dei lavoratori pubblici. Se non teniamo conto di questa situazione reale, le dissertazioni appaiono non adeguate alla gravità del momento».

Però la manovra del governo non è stata accolta da cori di giubilo, soprattutto a sinistra.

«Difficile gioire quando bisogna sacrificarsi. Ma bisogna rendersi conto che eravamo arrivati a un punto di non ritorno grazie a Berlusconi. Oggi sembra che Berlusconi sia un fenomeno di cent'anni fa, invece è stato capo del governo fino all'altro ieri. E per tre anni ha fatto finta che la crisi non esistesse».

Nessuna responsabilità del centrosinistra che pure ha governato per sette anni negli ultimi quindici?

«Chi dice che la colpa è di tutta la politica, dice una colossale balla. Nel 2008 noi abbiamo lasciato il debito pubblico al 103,2, la percentuale più bassa degli ultimi vent'anni. Lo Spread era a quota 32. E queste sono cifre, non opinioni. Certo, c'è stata la crisi, ma questo non basta a giustificare i dati di oggi. Se la crisi fosse stata affrontata e non negata, saremmo in una situazione diversa dall'attuale. Ma noi non ci limitiamo a recriminare sulle responsabilità di Berlusconi. Non abbiamo chiesto le elezioni, nonostante i sondaggi a noi favorevoli, e abbiamo votato la fiducia al governo Monti assumendoci una grande responsabilità nell'interesse del Paese. D'altra parte, due mesi di campagna elettorale avrebbero fatto precipitare l'Italia nella condizione della Grecia o peggio. Una classe dirigente seria sa sfidare anche l'impopolarità per riparare i guasti provocati dalla destra».

Ora c'è il tecnico a riparare questi guasti, secondo lei ha fatto un buon lavoro finora?

«Il professor Monti si è trovato ad operare in una situazione di drammatica emergenza e con pochissimo tempo a disposizione. Anche per questo non era facile improvvisare innovazioni, che richiedono tempo e analisi approfondite. Oggi, però, possiamo partecipare al Consiglio europeo con le carte in regola. E magari cominciare a far sentire la nostra voce affinché ci sia una svolta nella politica europea, altrimenti le manovre nazionali serviranno a poco».

Una svolta di quale genere?

«Bisogna dare alla Bce un ruolo più attivo in modo che possa intervenire direttamente sui mercati. E’ molto opportuna l'iniziativa di Draghi sul taglio dei tassi di interesse, ma qui servono decisioni politiche. Bisogna puntare sugli Eurobond e convincere la Merkel, che non ne vuol sentir parlare. Bisogna attivare un piano europeo di sviluppo e di investimenti sulle infrastrutture. Bisogna mettere in campo e armonizzare politiche sociali e fiscali. L'Europa è a un bivio: o fa questo salto di qualità oppure non reggeranno neanche le conquiste fin qui realizzate».

Torniamo alla manovra, lei la giudica tutta positiva?

«E' positivo che non siano state aumentate le aliquote Irpef, imposta che pagano gli italiani onesti. Ed è positivo che si siano cominciati a tassare i patrimoni, soprattutto le seconde case e quelle di lusso».

E le case del vaticano vanno tassate?

«Certo, bisogna studiare una soluzione, esentando gli edifici adibiti al culto e quelli utilizzati per fini sociali».

A proposito di patrimoni, non si può dire che anche i ricchi piangono.

«Non so se piangano, ma so che per la prima volta si introduce un prelievo sui patrimoni e si fanno pagare di più coloro che hanno riportato in Italia i capitali dall'estero. Si tratta ancora di prelievi bassi. Si possono alzare anche per venire incontro alle richieste comprensibili dei sindacati sul tema delle pensioni».

Questo è proprio il capitolo più doloroso, tanto che i sindacati per la prima volta da sei anni hanno indetto uno sciopero unitario: era proprio necessario colpirle così duramente?

«E' vero, si tratta del capitolo socialmente più pesante. Per questo abbiamo presentato proposte in Parlamento per mantenere l'indicizzazione sulle pensioni che arrivano al triplo di quelle minime e vedo che si sta andando in questa direzione. E sarebbe giusto anche lasciare liberi di andare in pensione coloro che hanno svolto lavori usuranti. C'è poi la questione importante della detrazione Ici sulla prima casa. E infine si possono recuperare risorse sull'assegnazione delle frequenze radiotelevisive, altra richiesta del mio partito».

Ma lei aderisce allo sciopero di lunedì come hanno già fatto altri del Pd?

«Noi lavoriamo in Parlamento per cercare di migliorare la manovra e renderla più equa, per rispondere con i fatti alla protesta. E consiglio caldamente il governo di accogliere alcune richieste dei sindacati, che sono anche le nostre».

Lei che ha sempre rivendicato il primato della politica non pensa che in questo caso la politica abbia abdicato al proprio ruolo rifugiandosi dietro un governo tecnico? Non sarebbe stato meglio andare alle elezioni?

«Guardi che l'alternativa non era tra governo tecnico o elezioni, ma tra governo tecnico o permanenza di Berlusconi. Se non si fosse concretizzata l'ipotesi di Monti, la maggioranza di centrodestra non si sarebbe sfarinata e noi avremmo ancora il Cavaliere a palazzo Chigi. Altro che politica morta… Si è trattato, al contrario, di una positiva operazione politica».

Se il governo Monti durasse un anno e mezzo, cos'altro si dovrebbe fare oltre al risanamento finanziario?

«Una nuova legge elettorale e una riforma istituzionale che modifichi il bicameralismo perfetto e riduca drasticamente il numero dei parlamentari. Soprattutto così si tagliano i costi della politica».

Ma tra un anno e mezzo sarà ancora in piedi quell'alleanza con Vendola e Di Pietro che tutti i sondaggi consideravano vincente?

«Le alleanze non sono prodotti alimentari che scadono, non vanno a male se passa il tempo. Non mi spaventa che ci possano essere, in certi passaggi, opinioni diverse, ma occorrono correttezza e serietà nella discussione. In questo periodo non si devono scatenare polemiche assurde, perché questo sì, sarebbe lacerante. Dopo una settimana che si è votata la fiducia, dire che questo governo è un inciucio tra destra e Pd è inammissibile. E vorrei che si guardasse al di là dell'emergenza per realizzare una prospettiva di governo per il Paese. Si tratta di ricostruire l'Italia su basi più giuste e assicurare un futuro di progresso. Questo richiede un'alleanza che vada oltre il centrosinistra e punti a una collaborazione con il Terzo polo. Guai ad assumere oggi comportamenti che compromettano questa prospettiva».




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