Discorso
19 marzo 2012

INTERVENTO DI MASSIMO D'ALEMA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI IN OCCASIONE DELLA COMMEMORAZIONE DI MARCO BIAGI

Sala della Lupa, Camera dei Deputati


Signor Presidente della Repubblica, signor presidente della Camera, gentili amici, è un grande onore per me poter condividere il ricordo di Marco Biagi con voi, di un uomo che ha servito il nostro Paese e lo Stato ed è caduto per le proprie idee e per il suo impegno. Ed è un’emozione poterlo fare con molti tra di voi che sono stati legati da un rapporto d’affetto e di amicizia.
Non è tempo né luogo per rianimare polemiche: quelle che hanno segnato gli ultimi anni del suo lavoro e quelle che hanno seguito il suo assassinio. Io voglio onorare l’opera di un coraggioso riformista, un uomo che, come ha ricordato il Capo dello Stato, ha offerto il proprio contributo “per la crescita di una nuova e più giusta convivenza sociale”. Altri, purtroppo, prima di lui hanno pagato con la vita il loro impegno per le riforme. Tra tutti questi lasciate che io ricordi Massimo D’Antona, che insieme a Marco Biagi collaborò con i governi del Paese e con il governo che io ebbi l’onore di presiedere e con lui condivise il destino di cadere vittima della barbarie delle Brigate Rosse. La storia di Marco Biagi è la storia di un intellettuale di grande valore, che ha posto la sua competenza al servizio del Paese, senza risparmio e affrontando con drammatica consapevolezza e coraggio i rischi che questa scelta portava con sé. Biagi lavorò, già con Tiziano Treu ministro del lavoro, ad un primo progetto di evoluzione dello statuto dei lavoratori in uno statuto dei lavori, avendo come obiettivo l’estensione di diritti e tutele a quel mondo variegato del lavoro atipico che si andava accrescendo. Ed egli continuò il suo impegno al fianco delle istituzioni anche collaborando con governi di diverso orientamento, in uno spirito no partisan che potrebbe sembrare normale in altri paesi, ma certamente è singolare nel nostro dove così forte è l’asprezza delle contrapposizioni politiche e ideologiche, che lo ha visto collaborare con diversi governi a livello nazionale e locale in uno spirito no partisan.
Un unico obiettivo lo ha ispirato ed è stato quello di modernizzare in senso europeo quello che egli giudicava “il peggior mercato del lavoro in Europa”. Infatti in questi termini egli descriveva il lavoro nel nostro paese soprattutto in ragione del crescente tasso di disoccupazione, in particolare giovanile, che giudicava “una questione gravissima non solo dal punto di vista umano e sociale, ma anche istituzionale. Una vera catastrofe – egli scrisse – che sta minando l’unità del paese, sgretolando il senso di solidarietà che dovrebbe esistere in una nazione”. Egli era un europeista e un federalista convinto e guardava ai sistemi giuslavoristici e di relazioni sindacali vigenti negli altri paesi dell’Unione come ad un punto di riferimento importante per l’Italia. Il suo lavoro fu apprezzato in sede comunitaria quando egli rappresentò il nostro Paese nel Comitato per l’occupazione dell’Unione Europea, nella Fondazione europea di Dublino per il miglioramento della vita e delle condizioni di lavoro e come consigliere del presidente della Commissione: Romano Prodi. Con lungimiranza intuì la necessità di definire a livello europeo un nucleo forte di regole che potessero governare le nuove forme di conflittualità che vanno sempre più assumendo dimensioni transnazionali. Scriveva con ironia della necessità di istituire “caschi blu per le relazioni industriali”. Al centro di tutta l’opera di Marco Biagi come studioso e come servitore delle istituzioni vi è stato il tema del rapporto dei giovani con il lavoro e delle donne, a partire dalla preoccupazione per il basso livello di occupazione nel nostro paese e per la condizione di incertezza che tocca questi nostri concittadini. È naturale chiedersi che cosa potrebbe dire egli oggi di fronte alla realtà di due milioni di giovani che non studiano, non lavorano, né intraprendono un percorso formativo. Insomma, un esercito alla disperazione. Tutto il lavoro di Biagi era volto a realizzare nel nostro paese ciò che in Europa si definisce flex-security, diretta non a eliminare la flessibilità ma ad inserirla in un quadro di regole selettive per estendere la protezione sociale a quanti ne sono esclusi. Egli non fu davvero un fautore della precarietà, quanto piuttosto uno studioso impegnato in una lotta senza quartiere contro il lavoro nero e il lavoro sommerso, alla ricerca di una visione inclusiva del mercato del lavoro capace di trovare un difficile equilibrio tra flessibilità, diritti fondamentali e tutele. Purtroppo in questi anni le cose non sono andate nel senso che si poteva auspicare: la moltiplicazione delle formule contrattuali ha generato maggiori incertezze e non ha reso il nostro mercato del lavoro più concorrenziale in Europa. In questi giorni i nodi della riforma sono sul tavolo della discussione pubblica e forse mai come in questo momento il lavoro di riflessione di Marco Biagi può illuminare il nostro percorso aiutandoci a mettere al centro le persone in carne ed ossa e a superare astratte contrapposizioni di principio.
Siamo di fronte a nodi complessi intorno a cui, in questi anni, si è sviluppato un dibattito difficile anche nella sinistra. Abbiamo dovuto confrontarci, a volte anche aspramente, con l’idea che sarebbe bastato proteggere le vecchie certezze conquistate dal movimento dei lavoratori per rispondere alle grandi domande della modernità. Proprio io mi sono trovato a sostenere che non sarebbe bastato difendere il contratto collettivo per garantire ai lavoratori del post-fordismo e ai giovani diritti pari a quelli della generazione che li aveva preceduti. Naturalmente è anche vero che dall’altra parte è venuta avanti una visione di liberismo estremo che mirava semplicemente a smantellare un sistema di tutele e di diritti. Il vero problema è costruire un equilibrio nuovo, mettendo al centro la risposta che deve essere data innanzitutto ai più deboli, innanzitutto ad una generazione precaria. Fu l’impegno centrale di Marco Biagi, questa è la fatica del riformismo. Per lunghi anni le cose sono state rese più difficili anche dai caratteri di un bipolarismo muscolare, che ha impedito alle forze politiche di trovare un terreno comune per le riforme, consentendo a posizioni massimalistiche di segno diverso di condizionare le coalizioni che hanno governato il paese. Non c’è da stupirsi se in molti campi e su questioni strategiche anche per il lavoro i governi che si sono succeduti hanno spesso operato innanzitutto per cancellare ciò che era stato fatto dai governi precedenti. Anche in questo la lezione di Biagi ha un suo particolare significato e una attualità che consiste nel fatto che si possa collaborare con governi diversi, avendo comunque a cuore gli interessi fondamentali del paese.
Oggi viviamo la possibilità di compiere un passo in avanti, non nel senso di una cancellazione delle differenze, ma nel senso di un bipolarismo più europeo che muova dal confronto sui problemi reali del paese e sia anche in grado di individuare non solo risposte diverse, ma anche un quadro di valori e di obiettivi condivisi necessario a garantire la coesione e il progresso dell’Italia. D’altro canto, le riforme di cui abbiamo estremamente bisogno richiedono prospettive di lungo periodo e coerenza di indirizzi sui temi essenziali della educazione, del lavoro, della fiscalità. Su questi temi è certamente possibile competizione ed emulazione, ma non contrapposizioni distruttive. E forse la chiave è quella di collocare la prospettiva italiana in modo sempre più stringente e organico in una visione europea. Marco Biagi sarebbe sicuramente d’accordo: egli esortava il nostro paese a “guardare più all’Europa e meno a logiche politiche interne”. Solo andando in questa direzione possiamo rimettere in gioco l’Italia e restituirle credibilità.
È stato detto che l’ispirazione che viene dall’opera di Marco Biagi potrà essere tanto più utile oggi, nel momento in cui di fronte ad una grave emergenza del paese l’assunzione larga di responsabilità da parte delle principali forze politiche consente di avanzare in modo significativo sul terreno delle riforme. Davvero bisogna auspicare che queste speranze si traducano in realtà e che un accordo possa essere raggiunto per rendere più competitivo il nostro mercato del lavoro affrontando in pari tempo il dramma della precarietà giovanile e femminile. Ed è fondamentale che ciò avvenga nel quadro di una, pur faticosa, condivisione essenziale per dare forza a cambiamenti che investono la vita e le condizioni di tutti i lavoratori.
Per fare le riforme occorrono volontà, responsabilità e capacità di mediazione. Marco Biagi lamentava che nel nostro paese ci fosse un clima di contrapposizione e di odio che impediva un confronto serio sugli strumenti per realizzare un progetto di modernizzazione e di avanzamento della società. Purtroppo aveva ragione ed egli ha pagato per questo un prezzo altissimo. Oggi quel clima ci appare superato o comunque superabile e anche al di là della emergenza attuale legata alla situazione di crisi e necessariamente transitoria è importante che si gettino le basi di una dialettica politica più civile e più attenta all’interesse generale del paese.
Questa resta la testimonianza più alta della vita e dell’impegno di Marco Biagi: passione intellettuale, un progetto per il futuro dell’Italia e insieme la disponibilità a mettersi in gioco in una collaborazione feconda con la politica e con le istituzioni. A testimonianza del fatto che competenza e politica possono e debbono lavorare insieme, come è avvenuto nei momenti migliori della vita del nostro paese, se la politica non si riduce a chiusa e arrogante gestione del potere. Marco Biagi ha testimoniato nel modo più alto questa passione civile e questa visione democratica. Lo ha fatto mettendo a rischio la sua vita e ha ragione Pier Ferdinando Casini quando sente il peso, per tutti noi che viviamo nelle istituzioni, dell’incapacità che le istituzioni ebbero a difenderlo. A lui dobbiamo non solo l’omaggio della memoria, ma anche l’impegno a continuare con vigore e determinazione sul camino delle riforme.
Grazie.

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