Intervista
25 maggio 2012

O NOI O IL CAOS<br><br>

Intervista di Marco Damilano – L’Espresso


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Sulla scrivania del presidente del Copasir c’è una civetta swarovski anti-malocchio rivolta verso la porta che accoglie il visitatore. Ma per esorcizzare il pericolo Grillo serve qualcosa di più. All’indomani delle elezioni amministrative Massimo D’Alema, il più tenace difensore del sistema dei partiti, alza la diga contro
l’anti-politica.
«È stato un voto tra il rischio greco e la possibilità francese. Non ci sfuggono i segnali di malessere e le domande di cambiamento che sono rivolte anche a noi, ma quello che più mi ha impressionato è vedere come gran parte dell’informazione abbia assegnato la vittoria a Grillo. Non dovrebbero esserci dubbi su chi ha vinto le elezioni: il centrosinistra e il Pd sono passati da 54 a 98. E invece questa notizia è stata completamente occultata da una parte della stampa».

Parma non conta nulla? Eppure sembra una metafora dell’Italia: un
Comune governato dalla destra, in dissesto e sotto inchiesta. Chi
voleva l’alternativa avrebbe dovuto rivolgersi al Pd. E invece...


«Parma non è un caso esemplare, è l’eccezione. A Parma non
governavamo da dieci anni e dietro al candidato 5 Stelle si è
schierato tutto il centrodestra. Personalmente non sono affatto
stupito di quel voto. Noi abbiamo vinto a Brindisi, Alessandria,
Lucca, nel resto del Paese. E c’è qualche eccezione che deve far
riflettere».

Tutto bene, dunque? Non la preoccupa che un elettore su due sia
rimasto a casa? La crisi del sistema non riguarda anche il Pd?


«Certamente c’è una crisi del sistema politico, c’è un distacco
preoccupante tra cittadini e istituzioni, ma noi rappresentiamo
l’unica forza nazionale, l’unica possibilità di dare una guida
politica al Paese. Naturalmente non da soli, in una situazione
estremamente difficile, con un grave malessere sociale e con forze
che agiscono per smantellare l’unica prospettiva politica in campo».

Quali forze?

«Una parte della borghesia italiana. Quelli che dicono: meglio Grillo
del Pd. Quelli che giocano sul patto tra gli industriali e gli
indignati. Per quale prospettiva è difficile dirlo. Ci sono molti
progetti velleitari, accorati appelli in direzione di Montezemolo,
c’è chi attende l’arrivo del Cavaliere bianco, tutto purché non si
esca a sinistra dalla crisi del berlusconismo. Anche Berlusconi fu un
modo di non uscire a sinistra dalla crisi della Prima Repubblica.
L’errore politico che commettemmo allora, nel 1994, fu l’illusione
dell’autosufficienza della sinistra. Non ci accorgemmo che il mondo
conservatore e anti-comunista non aveva più rappresentanza politica
ma non per questo aveva smesso di essere la maggioranza
dell’elettorato. C’era un vuoto e fu riempito da Berlusconi. Per
evitare di ripetere l’errore dobbiamo costruire un asse di governo
basato sull’alleanza tra progressisti e moderati».

Lei ha definito Grillo «un impasto tra Bossi e il Gabibbo». Dopo
Parma lo ripeterebbe?


«Guardi che non è un insulto... Bossi ha fondato un grande partito
che ha governato l’Italia per dieci anni. E il Gabibbo è un
personaggio che ha attecchito... Mi riferisco alla violenza verbale,
all’uso dell’insulto. E comunque il populismo non è un caso solo
italiano. La radice culturale è l’anti-politica, ma adesso che il
grillismo esprime sindaci, diventa un fenomeno politico. Ora,
dobbiamo renderci conto che noi siamo un grande Paese europeo, con
vincoli economici internazionali. E dobbiamo immaginarci cosa
potrebbe succedere se nel 2013, nel compiacimento generale, un
fenomeno di questo tipo dovesse esplodere a livello nazionale con
parole d’ordine come l’uscita dall’euro o il fatto che non dobbiamo
pagare il debito pubblico. Capisco che tutto questo faccia divertire
i media e che la sinistra vecchia, noiosa e burocratica venga presa a
ceffoni... Ma dobbiamo tutti renderci conto che se dovesse vincere
una forza di questo tipo per l'Italia sarebbe il crack».

Al crack ci siamo già arrivati, per colpa - anche, non solo - della
classe politica...


«Questo lo può dire il cittadino arrabbiato, che fa bene a esserlo,
anche se magari dovrebbe arrabbiarsi con se stesso se ha votato per
Berlusconi o per Bossi. Il governo Prodi nel 2008 ha lasciato
l’Italia con un debito al 103,5 per cento e 34 punti di spread, come
la Germania. È profondamente ingiusto e non onesto verso la storia
reale del nostro Paese mettere nello stesso mazzo tutti i politici.
In questo modo si colpisce la democrazia, che consiste nella capacità
di distinguere e nel diritto di scegliere. Quando viene meno questo,
scatta il qualunquismo e si apre la strada a ogni tipo di avventura.
Con tutta la saggezza di questo mondo, con l’equilibrio e l’apertura
alla società civile e alle competenze che abbiamo sempre dimostrato,
chiedo alla borghesia, agli imprenditori, ai grandi editori: con chi
volete governare l’Italia? Qual è il disegno? Dove si vuole arrivare?
Prima di bombardare l’unica prospettiva di governo bisognerebbe
pensarci bene».

O noi o il crack: è una Maginot. Avete detto per anni che non si
vince con l’anti-berlusconismo e ora vi buttate sull’anti-antipolitica?


«L’Italia nella sua storia non è aliena dal buttarsi nel caos. E noi
abbiamo l’unico progetto positivo per governare il Paese. Collegare
il nostro Paese al nuovo corso della politica europea, aperto dalla
vittoria del socialista Hollande. Noi siamo una grande forza
responsabile che rappresenta il nesso tra il centrosinistra europeo e
l’Italia. E poi occorre un programma di lungo periodo che non è fatto
soltanto di riforme liberali, ma di giustizia sociale, valorizzazione
del lavoro, riequilibrio della pressione fiscale per ridurre quella
che grava sulle famiglie, perché se non ripartono i consumi non
riparte l’economia. Qualcosa di sinistra».

Si può fare con questo sistema politico? Il cardinale Bagnasco ha
denunciato «l’incertezza dei partiti sulle riforme». È un grillino?


«Tutte le frasi che cominciano con “i partiti” sono false e vanno
abolite. Sono affermazioni che nascono dalla mancanza di coraggio di
chiamare ciascuno con il suo nome e con le sue responsabilità. Il Pd
si è battuto per riformare il finanziamento pubblico, il Pdl e la
Lega si sono opposti. Non esistono partiti uguali: c’è chi spinge e
c’è chi frena. Sulla riforma elettorale noi vogliamo il doppio turno,
gli altri no. Sarebbe bene segnalarlo».

In realtà per Romano Prodi la vostra proposta, la bozza Violante,
porta l’Italia verso l’ingovernabilità modello Grecia...


«Non voglio polemizzare, ma non condivido. Il Pd è per il doppio
turno e da tempo ha presentato una sua proposta in Parlamento. Di
fronte alla resistenza degli altri, si è lavorato con loro su un
sistema basato sul collegio uninominale che si ispira al modello
tedesco, ma che punta a rafforzare i maggiori partiti attraverso
sbarramento e premi. Non rappresenta in alcun modo un ritorno alla
Prima Repubblica, tanto più che si accompagna a un rafforzamento dei
poteri del premier e alla sfiducia costruttiva. Ma sia chiaro: se c’è
un sussulto di buon senso, la via maestra su cui tornare è quella del
doppio turno. Purché, alla fine, la ricerca del meglio non ci porti
a restare con il Porcellum».

Da mesi ripetete che bisogna restituire ai partiti il potere di fare
i governi in Parlamento. È una strada ancora percorribile?


«Io ho sempre ripetuto che bisogna scegliere tra parlamentarismo e
presidenzialismo. E se venisse proposto il modello francese, il semi-
presidenzialismo, l’elezione diretta del presidente della Repubblica
non avrei nulla in contrario. Alla Bicamerale era l’ipotesi di
riforma costituzionale su cui stavamo lavorando. Quel che non
funziona è questo sistema di democrazia parlamentare in cui si dà ai
cittadini l’illusione di eleggere il capo del governo. Un meccanismo
fasullo che ha provocato conflitti istituzionali, tensioni e
ingovernabilità».

Questo Parlamento ce la farà ad approvare una nuova legge elettorale?
E se non riuscisse voi che farete?


«Temo che Berlusconi si voglia mettere di mezzo. Il Pd deve battersi
per la sua proposta, le responsabilità devono essere chiare. E voglio
vedere, per esempio, chi si opporrà al Senato alla riduzione del
numero dei parlamentari. Se poi fossimo costretti a tornare a votare
con il Porcellum noi dovremo fare le primarie per consentire ai
cittadini di scegliere i nostri candidati».

Il governo Monti dovrà affrontare una situazione internazionale
difficile con un sistema politico in fibrillazione e con il Pdl in
rotta. C’è il rischio di elezioni anticipate?


«Non vedo l’interesse del Pdl di far saltare il governo. E il Pd
sosterrà Monti fino al termine della legislatura. Per la
responsabilità nostra e per la debolezza altrui il governo andrà
avanti. Il problema è la sua azione, cosa deve fare. Il governo è
andato molto bene nella prima fase, quando ha arginato il collasso
dell’economia, si sta comportando bene sulla scena internazionale, lo
vedo in difficoltà a mettere in campo iniziative per la crescita e
per affrontare la sofferenza sociale. Qualche passo in più va fatto».

Non c’è il rischio che il Pd finisca per sobbarcarsi l’intero peso
del sistema: i sacrifici di Monti e l'impopolarità della politica?
Che sia identificato non con il cambiamento (come Hollande) ma con
l’usato sicuro di Bersani?


«Hollande fa parte di un gruppo dirigente collaudato, era segretario
già quando io dirigevo il Pds, è lui l’usato sicuro. In Francia non
c’è una politica migliore della nostra, ma c’è il rispetto dello
Stato. Da noi quando arrivano questi passaggi scattano le pulsioni
auto-distruttive. Per fermarle abbiamo il dovere di mettere in campo
un progetto politico-programmatico chiaro, con qualsiasi legge
elettorale. Dobbiamo dire con quale agenda e quali priorità ci
candidiamo a governare l’Italia. Questo è oggi il compito del
maggiore partito e su questo misureremo le convergenze con gli altri
e le possibili alleanze».

Un’alleanza da Casini a Vendola?

«Ripeto: il tema non è assemblare consensi e dissensi, ma mettere in
campo la nostra prospettiva di governo. Il tempo è ora. È un obbligo
per noi e per tutti. Se Montezemolo o Passera pensano di candidarsi
devono dirlo adesso, con chiarezza. Non è più la stagione delle
furbizie. Ora governa Monti, poi ci sarà un dopo Monti che va
preparato da adesso, con senso di responsabilità. Dobbiamo dire fin
da ora innanzitutto ai cittadini italiani, ma anche ai nostri partner
internazionali e ai mercati, dove vogliamo andare, quali sono le
opzioni in campo. Noi siamo la principale».

Attorno alla candidatura a premier di Bersani? Oppure si scalda
qualcun altro?


«Abbiamo un partito in cui il segretario viene eletto dal popolo
tramite le primarie, è la regola più importante dello Statuto, ed è
il nostro candidato premier. Ci sono due possibilità di derogare: o
dall’interno, chiedendo un nuovo congresso, o dall’esterno, se resta
il Porcellum e un altro partito ci contesta la guida della
coalizione. In quel caso, si farebbero le primarie di coalizione».

Per il Pd è più grave la sconfitta di Parma o l’implosione di Siena
dove il sindaco Ceccuzzi si è dimesso contro un’altra corrente?


«Quello che è successo a Siena è molto grave. C’è una grande
istituzione come il Monte dei Paschi che versa in grave difficoltà,
penso che il sindaco avesse ragione a voler affrontare quella
situazione. In ogni caso, in molte parti d’Italia ci sono divisioni,
contrapposizioni che segnano il corpo del partito e che sono la spia
di un’inconsapevolezza per il ruolo che ci compete».

A D’Alema, cresciuto nei partiti di un tempo (sezioni,
organizzazione, funzionariato), uno per cui la politica coincide con
la vita, che impressione fanno i grillini che spendono poche
centinaia di euro, che non hanno una sede e che non conoscono il loro
leader?


«Anche nella politica che ho fatto io c’erano i sacrifici... Quella
politica dei partiti era fatta da cittadini, il Pci aveva due milioni
di iscritti, non erano tutti funzionari, la struttura professionale
organizzata era necessaria per consentire di fare politica
soprattutto a gente che veniva dagli strati più umili della
popolazione. Il che è molto più difficile quando non ci sono i
partiti. Io guardo al fenomeno del Movimento 5 Stelle con sincera
curiosità intellettuale. Tolte le volgarità e le violenze, anche con
simpatia. Mi interessano tutte le forme di passione politica, l’unica
cosa che mi spaventa è l’apatia, la rinuncia. Chiunque fa politica è
un patrimonio e poi preferisco avere queste energie dentro le
istituzioni anziché averle fuori. Se governi sei obbligato al
realismo. E io aspetto i 5 Stelle alla prova del governo».

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