Se ci si candida è per fare il segretario del partito, non per fare una precampagna elettorale in vista di elezioni politiche che non sono neanche alle viste». Massimo D’Alema è nel suo studio nella nuova sede di Italianieuropei, sempre in Piazza Farnese ma qualche portone più in là. Il vero cambiamento riguardante la Fondazione è però un altro ed è contenuto nel fascicolo che ha sulla scrivania, di cui D’Alema con “l’Unità” e con “Europa” parla volentieri, prima di passare agli argomenti di più stretta attualità (e prima di andare ad incontrare Enrico Letta a Palazzo Chigi).
«Secondo ricerche condotte dalla Sapienza e dall’Università della Pennsylvania siamo una delle quattro fondazioni culturali italiane più importanti, tra le 150 top mondiali, insieme allo Iai, alla Fondazione Mattei e all’Istituto Leoni. Sempre dagli americani siamo censiti, per valore di quanto prodotto, come sedicesimi al mondo. Un patrimonio del centrosinistra italiano».
L’umore è buono quando parla di Italianieuropei: «Quindici anni fa, come soci fondatori c’eravamo Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi ed io. Poi, nel nucleo dei fondatori, sono entrate altre persone. Ora siamo in 15». Ed ecco il cambiamento, che partirà da una prima riunione il 16 luglio: «Abbiamo deciso di allargare l’associazione Italianieuropei, aprendola a nuove adesioni, con un meccanismo graduale e selettivo. L’assemblea dei soci eleggerà un comitato di presidenza che designerà il Cda della fondazione. I soci fondatori si riservano di nominare 3 su 7 membri del comitato di presidenza, e quindi la Fondazione diventa più inclusiva». Ci sono già oltre cento parlamentari del Pd «di varie ispirazioni politico ideali» (e sì, anche renziani) che hanno fatto sapere di essere interessati a diventare soci.
Ma non mancano i contatti anche con deputati e senatori di altre forze politiche del centrosinistra, «a conferma di quanto sia infondata l’immagine di un soggetto correntizio. La verità è che la selezione qui è sempre stata solo e soltanto meritocratica, e questo vorremmo mantenerlo. Non mi interessano le opinioni politiche di coloro che collaborano con la Fondazione, mi interessa la qualità del loro lavoro. Adesso vogliamo rendere questo organismo un patrimonio condiviso. Italianieuropei è una fucina di idee e uno snodo di formazione della classe dirigente nell’arena del centrosinistra».
Una fucina di idee potrebbe essere utile anche per la fase congressuale del Pd, visto che continuate a discutere di regole. E ieri lei si è preso una risposta dura dal sindaco di Firenze.
«Ma da parte mia non c’era nulla di offensivo nel dire che dobbiamo fare un congresso per eleggere il segretario, non il candidato premier. Un premier ce l’abbiamo, tra l’altro, e non siamo in campagna elettorale. Mi pare un concetto su cui non credo si possa aprire un grande dibattito».
È però quello che succede da settimane.
«Perché c’è chi insiste con un’idea a dir poco stravagante».
Tanto stravagante non è se per superarla si deve modificare lo statuto del Pd, non crede?
«Non c'è bisogno di modificarlo dato che lo abbiamo già derogato. Quando si redige uno statuto e alla prima prova occorre derogarvi, vuol dire che non funziona».
Sta dicendo che è stato commesso un errore nel 2007, quando si scrisse lo statuto Pd?
«La norma fu pensata sulla base dell’idea politica che il Paese andasse verso il bipartitismo. Era rispettabilissima, però non si è concretizzata. I fatti sono testardi. Adesso siamo nel 2013, possiamo serenamente prendere atto che quel progetto non si è realizzato e che in Italia c’è un bipolarismo, non solo di partiti ma anche di componenti della società. E del resto, il bipolarismo di coalizione si sta affermando in diversi Paesi europei, tanto è vero che la coincidenza tra leadership di partito e candidatura a governare, che era la regola, per esempio nelle socialdemocrazie, adesso non lo è più. Aggiungo che da noi la stessa crisi dei partiti fa dubitare dell’opportunità della coincidenza tra leadership di partito e guida di una coalizione».
Di cosa si deve discutere allora in questo congresso, se non di chi debba essere il candidato premier?
«Il Pd ha necessità di concentrarsi su tre aspetti fondamentali. Primo, ha assoluto bisogno di un segretario che sostenga l’esecutivo, ma che cerchi anche di dare un’impronta visibile all’attività di governo. E certamente questa posizione di sostegno leale e di visibilità è molto più agevole se il segretario del partito non è sospettato di voler far saltare tutto per andare lui a Palazzo Chigi».
Secondo?
«Bisogna costruire un nuovo centrosinistra capace di vincere le prossime elezioni, e insieme a questo far crescere una leadership in grado di guidarlo. Allo stato indubbiamente il leader più forte, più popolare è Renzi, ma non sappiamo quando si voterà e non possiamo escludere che possano esserci altri candidati nella sfida delle primarie. Infine credo che il compito più importante che il nuovo segretario dovrà svolgere sia quello di lavorare sul partito, sul piano ideale, culturale, valoriale, perché il Pd si presenta ancora troppo come un insieme di storie, di tradizioni, di forze diverse che faticano a definire una propria rinnovata e chiara identità comune. Per questo penso che la persona adatta sia Gianni Cuperlo. Insisto: a mio parere chiunque si candidi lo deve fare per svolgere il ruolo di segretario, non per fare il candidato premier di elezioni che non sono dietro l’angolo».
Nonostante il Pdl stia discutendo se rompere o mantenere il sostegno al governo in autunno?
Il Pdl si prendesse le sue responsabilità. Per noi sarebbe un errore gravissimo togliere le castagne dal fuoco a Berlusconi, provocando la crisi di governo perché qualcuno ha fretta di fare il candidato presidente del Consiglio. Del resto, non è affatto detto che una crisi di governo porti alle elezioni. Il Paese ha interesse che il governo svolga il proprio lavoro: sostenere la ripresa economica, rilanciare l’occupazione, approvare le riforme costituzionali e varare una nuova legge elettorale. Tutto questo, a mio parere, porta naturalmente a una scadenza che va oltre il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea. A questo proposito, sarebbe un’idea strampalata andare ad elezioni durante la presidenza italiana dell’Ue. E credo che il Capo dello Stato non lo consentirebbe».
Non pensa sia stato un errore l’incontro promosso da «Fare il Pd», se ha dato modo a Renzi di attaccare il gruppo dirigente del partito sostenendo che parlate sempre di lui?
«Guardi, ieri mi sono affacciato a quella riunione e ho ascoltato una discussione seria, sui problemi del Paese, sul ruolo del Pd. Non ho sentito nessun commento su Renzi. L’unico che parla sempre di Renzi è Renzi, per la verità. Se avesse ascoltato quel confronto, si sarebbe reso conto che ci sono voci molto diverse nel merito e che non c’è nessun “correntone” contro di lui».
Se il congresso serve a scegliere il segretario del Pd, che non è detto sarà candidato premier, a sceglierlo devono essere soltanto gli iscritti? Vanno cambiate le regole delle primarie?
«Non è proibito che il segretario concorra alle primarie, ma non può essere prevista la norma che vieta ad altri iscritti di candidarsi. Quella norma è assurda. Tanto è vero che giustamente Renzi ne chiese la cancellazione. Ed è paradossale che ora ne chieda il ripristino».
Barca in un’intervista ha proposto di far votare alle primarie tutti “i partecipanti”, cioè chi si impegna nelle battaglie del partito anche se non è iscritto: condivide?
«Barca ha ragione, si sforza di definire i tratti di una platea più vasta degli iscritti, di coinvolgere quelle persone che hanno dimostrato un interesse politico alle attività del partito, il quale, da parte sua deve essere in grado di offrire diverse forme e livelli di partecipazione, dalla militanza quotidiana, alle primarie, passando per la consultazione in rete su singole issues. Se Renzi ha interesse a dedicarsi a questo lavoro, benissimo, si candidi. Figurarsi se io ho detto che ha bisogno del permesso… Ho letto di repliche francamente scomposte da parte di alcuni componenti della sua corrente. Lui è il capo di una corrente, anche particolarmente agguerrita».
Renzi ha anche detto che è in atto un tiro al piccione...
«Ma quale piccione. Lui ha la potenza comunicativa di un bombardiere americano, non scherziamo. Non credo che lui sia nelle condizioni di fare la vittima».
Vi sentite con Renzi?
«Abbiamo un dialogo che non si è interrotto. Ecco, qui sul telefonino ho un carteggio che resterà per la storia, se qualcuno sarà interessato».
Dovesse candidarsi?
«Avrà i suoi sostenitori, per convinzione o per convenienza».
Sarebbe più agevole aspettare le primarie per la premiership?
«Sarebbe sostenuto da tutti, avrebbe una grandissima forza dietro. Decida lui. A 38 anni non si è più ragazzi e non si è piccioni. Si è una persona adulta in grado di prendere da sola le sue decisioni, che attenderemo con rispetto».