D’Alema, ma è Pisapia che deve candidare lei, o è lei che deve candidare Pisapia?
«Nessuno dei due candida l’altro; devono essere i cittadini a farlo. Non ci si candida; si viene candidati. Sono favorevole a coinvolgere i cittadini attraverso le primarie. Il 19 novembre saranno eletti i delegati per l’assemblea nazionale che sceglierà programma, nome e simbolo con cui ci presenteremo alle elezioni. Lì si decideranno le regole con cui decidere le candidature».
Pisapia dovrebbe candidarsi al Parlamento?
«Secondo me, sì. Sarebbe un leader più forte se si mettesse in gioco personalmente».
E lei tornerà alla Camera?
«Sono uno dei pochi che dal Parlamento è uscito di propria iniziativa. Non potrei, però, non prendere in considerazione una richiesta, se venisse dai cittadini, di dare una mano alla campagna elettorale attraverso la mia candidatura. Del resto, sono stato dismesso da presidente della fondazione dei socialisti europei; è comprensibile che il mio ritorno all’impegno politico comportasse questo prezzo».
Colpa di Renzi?
«Non lo so e non mi interessa. Sono arrivato a una certa serenità».
Insomma. Quest’estate ha detto: «Finché vivrò, Renzi non potrà mai stare tranquillo».
«Ho detto sereno. Citavo la battuta che propinò al povero Letta. Tuttavia, non lo ripeterei perché Renzi è in difficoltà e a me piace prendermela con i potenti, non con chi è in difficoltà. Feci così anche con Craxi. Dalla parte di Berlinguer sono stato ferocemente anticraxiano; ma quando è cominciata la disgrazia di Craxi sono stato generoso con lui».
Quand’era premier tentò di farlo rientrare in Italia?
«Sì, per curarsi. Negoziai con la procura di Milano perché non lo arrestassero. Non fu possibile».
Rivede qualcosa di Craxi in Renzi?
«No. A parte la palese differenza di statura politica, Craxi nonostante la forte carica anticomunista è sempre stato un uomo di sinistra. Fu vicino alla causa dei palestinesi, aiutò gli esuli cileni. Renzi alla sinistra è totalmente estraneo. Non c’entra proprio nulla. Ritiene che il Pd debba liberarsi di questo retaggio».
La sinistra è in crisi ovunque. L’Spd è al minimo storico, e i suoi voti vanno a destra.
«In Germania si è manifestata anche una certa stanchezza per la grande coalizione. Ma in molti Paesi europei si afferma una sinistra più radicale: Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, Corbyn in Inghilterra. Tutto questo dovrebbe far riflettere i socialisti, che non sono stati in grado di presentarsi come una forza alternativa alla visione liberista dominante».
E in Italia?
«Il Pd ha governato in modo non dissimile. Per questo c’è bisogno di una nuova forza di sinistra. I grandi cambiamenti nascono sempre da un ritorno alle origini, alle ragioni fondative: ridurre le disuguaglianze, difendere la dignità del lavoro».
Ma lei sembra rinnegare la sua storia politica. In Sicilia appoggia Fava, una candidatura di testimonianza. Pare diventato movimentista. Non crede più ai partiti?
«Non sono diventato movimentista. Vorrei che nascesse un nuovo, moderno partito a sinistra. Non c’è dubbio che la forma del partito tradizionale sia in crisi e si debbano trovare nuovi modi di partecipazione. Claudio Fava non ha una storia gruppettara. Era il segretario regionale dei Ds con Veltroni. L’hanno candidato i siciliani, e prenderà più voti delle sue liste. Questo è uno strano Paese, in cui basta pronunciare la parola “operai” per essere giudicati estremisti».
Pisapia viene da Rifondazione comunista. È un buon leader?
«Indipendentemente dalla sua storia, Pisapia porta uno stile unitario, una cultura di governo, una naturale ritrosia rispetto alle asprezze dello scontro politico, che in un panorama dominato da leadership chiassose ne fa una figura positiva. Dovrebbe essere un leader più coraggioso».
Vale a dire?
«Esporsi di più. Prendere in mano il processo unitario. Spingersi in avanti. Non possiamo permetterci di avere alla sinistra del Pd due liste in conflitto tra loro sull’orlo della soglia di sbarramento. Sarebbe un suicidio».
Non è stato un suicidio per la sinistra anche la vostra scissione?
«La tesi per cui le difficoltà del Pd nascerebbero dal nostro massimalismo non ha fondamento. La sconfitta del Pd è cominciata molto prima che noi nascessimo. Non c’era stata nessuna scissione quando il gruppo dirigente ha consegnato Roma e Torino ai 5 Stelle. Io ho fatto la campagna elettorale per il candidato del Pd a Genova molto più del segretario. La gente mi diceva: “È un bravo compagno, ma se lo voto do una mano a Renzi”».
Lei al Corriere parlò di «rottura sentimentale».
«Immagine profetica. L’idea che il Pd vincerebbe se non fosse per un gruppetto bilioso e rancoroso, come si fa scrivere alla stampa di regime, è falsa. Dicono che siamo nati per far perdere Renzi. Ma no, non c’è bisogno di far nulla: basta lasciarlo lavorare e Renzi ci riesce da sé, come dimostra il referendum. All’opposto, possiamo essere utili se riusciamo a intercettare un elettorato che non vota più e non voterebbe mai Pd. Non è vero che indeboliamo l’argine contro il populismo e la destra. Lo rafforziamo».
Ma con il Pd non dovrete trovare qualche forma di accordo?
«Non mi pare ci siano le condizioni per andare alle elezioni insieme. C’è distanza sul programma e nel giudizio su quel che è accaduto in questi anni. Nessuno capirebbe un accordo in queste condizioni e gli elettori non ci seguirebbero. Presentarsi uniti nei collegi potrebbe essere un disastro».
Ma la legge elettorale in discussione alla Camera i collegi li prevede.
«Quella legge è un’indecenza assoluta: forse il punto più basso della legislatura. Spero venga spazzata via. Ha aspetti aberranti, a mio giudizio palesemente incostituzionali, con il rischio che la Consulta bocci la terza legge elettorale di fila. Ed è incredibile che a proporre una legge fondata sulle coalizioni sia il Pd: un partito che non è in grado di formare coalizioni. Una cosa che non si può giudicare senza l’ausilio dell’aureo libretto del Cipolla».
«Le leggi fondamentali della stupidità»?
«Dove si legge che la forma più alta di stupidità è danneggiare gli altri danneggiando anche se stessi. La legge è concepita per far danno a noi e forse ai 5 Stelle; ma il principale danneggiato sarebbe il Pd. Favorirebbe solo un centrodestra a trazione leghista».
Non potete dire solo no. Quale sistema elettorale vorreste?
«Noi abbiamo sempre proposto la legge Mattarella. Ma, se non è possibile, è inutile fare pasticci, tanto vale votare con una legge proporzionale — sbarramento, collegi piccoli, voto di preferenza — che restituisca il quadro reale del Paese. Non sono un fan delle preferenze, però la nomina dei parlamentari da parte dei partiti è intollerabile».
Ma non ci sarebbe alcuna maggioranza. Quale governo si potrebbe fare?
«Neanche il Rosatellum garantisce maggioranze. Comunque, prima di emettere questa sentenza bisognerà aspettare cosa voteranno gli italiani. Se non ci fosse alcuna maggioranza, le forze politiche che vorranno salvare la democrazia dovranno sostenere un governo che sia al di sopra delle parti, e garantisca una seria riforma del sistema. Condivisa, non imposta da qualcuno un modo improvvisato».
Un governo tecnico?
«Diceva Giovanni Sartori che quando la democrazia parlamentare non produce una maggioranza entra in funzione il motore di riserva: il governo del presidente, che possa avere largo consenso al di sopra degli schieramenti. L’ultima spiaggia per il sistema democratico».
Il vostro non rischia di essere il partito dei reduci?
«No. Abbiamo un sacco di ragazzi. Un bel pezzo dei giovani democratici sono passati con noi».
Nomi?
«Roberto Speranza che dirige Mdp è più giovane di Renzi. Abbiamo gruppi dirigenti giovani in tutto il Paese. Non mi sembra che il Pd abbia questo consenso nella nuova generazione».
Non è stato ingeneroso dire che il suo ex braccio destro Minniti in Libia ha fatto le stesse cose di Berlusconi?
«Minniti è uomo capace e competente. Conosce molto bene gli apparati dello Stato, e ne è stimato: il che è importante, perché questi apparati sono bravi a raggirare la politica, facendo credere al ministro di guidare mentre alla guida sono loro. Ma, sotto la spinta di quella che esagerando ha definito una minaccia alla democrazia, Minniti ha preso misure che hanno lasciato i migranti nelle mani delle milizie libiche, in campi di detenzione dove avviene ogni genere di violazione dei diritti umani: stupri, torture, assassini. E’ stato un voltafaccia dell’Italia. Un respingimento collettivo anche di persone che hanno diritto d’asilo. Minniti è stato efficace; ma mi chiedo quale sia il prezzo della sua efficacia. Sarò inguaribilmente romantico. Sarò uno di sinistra. Minniti dice di essere tormentato. Ma lui è ministro: dovrebbe agire per mettere riparo alle conseguenze delle sue decisioni».
Se la legge elettorale andrà avanti, farete cadere Gentiloni?
«Gentiloni è alla fine. Noi siamo persone responsabili, non vogliamo fare la campagna elettorale con la trojka. Mi sembra molto meno responsabile chi pretende da noi i voti per governare e poi fa la legge elettorale con Salvini».