Sono le 9 del mattino e dopo un volo Pechino-Roma durato 10 ore, Massimo D’Alema entra nel suo ufficio in piazza Farnese e qui – sarà per orgoglio, sarà perché ci crede – è rilassato come poche altre volte in questi anni, appare persino incoraggiato dal frastuono polemico che lo ha investito per la partecipazione alla parata militare nella capitalecinese, è tutto fuorché pentito. Sostiene D’Alema: «I cinesi, ogni dieci anni, celebrano la loro Liberazione con una parata m litare alla quale invitano sempre i governi di tutto il mondo. Questa volta gli europei non c’erano e proprio questa, a mio avviso, è stata la scelta sbagliata. Siamo dentro una crisi del vecchio ordine mondiale, abbiamo bisogno di costruirne uno nuovo che non abbia egemonie di alcun tipo e perciò non possiamo permetterci di fare un errore: schiacciare una grande potenza come la Cina e metterla alla guida di un grande blocco anti-occidentale. Errore madornale: se pensi di isolare il resto del mondo, finisci per isolarti».
In Cina sono sempre andati leader di tutto il mondo – da Nixon a Sanchez sino a Meloni – ma stavolta il contesto era diversissimo: una parata militare al passo dell’oca, uno show di armi micidiali, nella foto di famiglia la prima e la seconda fila occupate da leader abituati a sopprimere gli oppositori:D’Alema, perché stare lì?«La scelta delle leadership occidentali di disertare questo evento ha finito per portare in primo piano le presenze più sgradevoli di alcuni Paesi autoritari. Ma si tratta di un’immagine molto parziale degli eventi che si sono svolti a Pechino in cui la celebrazione non si è ridotta ad una parata militare. Un’informazione distorta e faziosa non ha consentito di evidenziare, tra l’altro, che alla parata la presenza di leader, rappresentanti e personalità provenienti da Paesi democratici era maggioritaria e soprattutto – per ignoranza – è sfuggita la vera notizia di queste giornate che non è stata la presenza di Putin o del dittatore coreano, ma quella di quasi tutti i leader di paesi asiatici dal primo ministro indonesiano al presidente del parlamento della Corea del Sud. Ricordo che il giorno prima si era svolto lo storico incontro con il primo ministro indiano Modi. I due Paesi più popolosi del mondo, che in passato hanno avuto scontri anche armati, hanno trovato un terreno di incontro e di collaborazione. E sono stati trascurati anche alcuni eventi significativi che aiutano a restituire la cifra delle celebrazioni: una commovente cerimonia in onore dei militari americani che avevano contribuito alla Resistenza cinese, un’altra in onore della Resistenza europea nella quale è stata cantata Bella ciao».
La sapienza cinese nel calibrare le cerimonie non cancella il messaggio complessivo, non rassicurante, uscito al termine dei due eventi: lei aveva messo nel conto le critiche che le sono piovute addosso?«In un Paese normale se c’è una personalità non più impegnata direttamente nell’agone politico che ha un buon rapporto con un partner ineludibile come la Cina dovrebbe essere considerato un fatto positivo per il Paese. Anche perché nelle tante analisi di queste ore sfugge un dato essenziale…».
Lei era a Pechino; quale le pare il messaggio sfuggito ai radar mainstream?«Goldman Sachs ci ha spiegato che da qui a non molti anni la Cina avrà il primo pil del mondo, l’India il secondo, gli Stati Uniti il terzo e l’Indonesia il quarto. Poi ci saranno il Pakistan, il Brasile, la Nigeria, tutta gente che stava lì! Chiaro? Mentre noi, per isolarli, non ci siamo andati. Stiamo vivendo la fine dell’egemonia occidentale, che è una delle cause del caos del mondo e dobbiamo costruire un nuovo ordine, che non sia l’egemonia di qualcun altro, cosa che non è affatto desiderabile. Ma sia un ordine multilaterale, sostenibile, di coesistenza tra mondi diversi. Quel che mi preoccupa è che invece, qui da noi, siamo impegnati più a difendere in modo fazioso un un mondo che non c’è più, anziché ragionare su come stare in quello che c’è. Quello vero. Quello di oggi».
Xi si è presentato alla parata con la giacca rivoluzionaria di Mao, che una volta disse: Il potere politico nasce dalla canna del fucile. Una lezione da lui realizzata e sempre incombente?«La Cina non bombarda nessuno, non ha una storia di aggressività e una volta Xi ha detto che le Muraglie le fai quando non vuoi essere invaso, non quando vuoi invadere. La Cina è aggressiva sul piano economico e su questo piano dobbiamo trovare un accordo equilibrato che salvaguardi i nostri interessi, ma sul piano geopolitico la Cina rappresenta un elemento di stabilità».
Nell’arco di 80 anni lei è stato uno dei 31 italiani chiamati a ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio di un Paese che ha mantenuto una scelta occidentale da lei persino rafforzata: in questi giorni di polemiche ha mai sentito l’onere-onore di quell’incarico?«Certo. Io penso di aver agito sempre con assoluta coerenza. Mi sono preso la responsabilità dell’intervento in Kosovo perché allora siamo andati a difendere una popolazione dalla pulizia etnica condotta da un capo di governo accusato di crimini contro l’umanità. Esattamente quello che accade oggi a Gaza. Solo che noi allora agimmo per difendere quella popolazione. Oggi invece l’Europa non fa praticamente nulla per fermare Netanyahu. Io penso di essere stato e di essere assolutamente coerente».