Notizia d'agenzia
16 settembre 2009

LAVORO. D'ALEMA A CGIL: PIU' CORAGGIO, NO A DIFESA STATUS QUO

BOTTA E RISPOSTA SUI CONTRATTI: MEGALE: A VOLTE SIAMO IN RITARDO


(DIRE) Roma, 16 set. - Massimo D'Alema striglia la Cgil: "Serve
piu' coraggio". La presentazione del terzo quaderno di
'Italianieuropei', dedicato al tema del lavoro e' l'occasione per
un dibattito sui rapporti tra politica, sinistra e sindacato. Il
'tavolo' non e' certo di quelli piu' congeniali agli uomini di
Corso Italia. Agostino Megale, direttore del centro studi Cgil e
segretario confederale, deve vedersela con un'agguerrita
pattuglia di riformisti: Pietro Ichino, Tiziano Treu, Giuliano
Amato. L'affondo che punge di piu' viene da Massimo D'Alema,
padrone di casa, in teoria piu' vicino alle ragioni del
sindacato: "La parte del mondo del lavoro che noi siamo in grado
di rappresentare e' invecchiata", dice invece rivolgendosi a
Megale. Per questo ha ragione Ichino, quando dice "che il vero
grande problema e' la mancanza di tutela del mondo giovanile e
femminile. E' una questione che merita di essere affrontata con
coraggio e con il coraggio di non difendere lo status quo".
A dare il via alle danze e' Giuliano Amato, critico, eccome,
anche nei confronti del Pd. "Il perimetro sociale di un partito
riformista- spiega- non e' piu' il perimetro sociale del
sindacato. Sarebbe suicida. Se uno cammina sulle uova non puoi
offrirgli solo ammortizzatori sociali. Questo lo fa il sindacato,
che fa l'infermiere. Ma se lo fa il Pd e' un po' iettatorio".
Bisogna, invece, "rivolgersi al mondo del lavoro promettendo
successo, perche' se non si riesce in questo, il Pd viene battuto
da chi offre la carnevalizzazione della vita, il 'saranno
famosi'. Una cultura che non a caso oggi e' egemone".
Pietro Ichino va dritto al cuore del
problema di queste ore: "Negli ultimi 8 mesi 500mila persone sono
state licenziate nella totale indifferenza della politica e del
sindacato". L'articolo 18 dello statuto dei lavoratori "si
applica a meno della meta' dei lavoratori e al primo stormir di
fronde chi paga sono gli altri: in grandissima parte giovani e
precari". E' un problema all'ordine del giorno da quindici anni,
osserva Ichino, e "chiudere gli occhi ora non aiuta la Cgil". I
giovani, infatti, "non sono cretini. Votano per due terzi
centrodestra. A loro dobbiamo offrire un diritto diverso, che dia
a tutti robuste garanzie quando si perde il lavoro a tempo. Costa
molto meno questo che tenere una persona che non serve per 30
anni nello stesso posto".
Amato aprezza e confessa di preferire la proposta del
contratto unico di Ichino alla bozza Boeri perche' "ha il
vantaggio di andare piu' incontro alle prime vittime della
crisi". Tiziano Treu, senza chiudere all'ipotesi Ichino ("se ne
puo' discutere") propone invece di scrivere "uno statuto di
seconda generazione, basato su una base comune di diritti e di
benefits (salario minimo, ammortizzatori, base pensionistica) per
tutte le attivita' e poi, per questa via, andare oltre i diritti
tradizionali".
Sotto traccia l'invito di tutti e' alla Cgil: deve essere piu'
coraggiosa. D'Alema e' il piu' esplicito: "Abbiamo una pista
segnata", dice, perche' a fronte della "frammentazione del
lavoro" c'e' stata "una riduzione della capacita' di
rappresentanza sindacale e politica". Lavoratori flessibili verso
l'alto, cioe' specializzati, e flessibili verso il basso, cioe'
precari, "oggi non si sentono rappresentati dal sindacato" che
finisce per coprire "una certa fascia intermedia del mondo del
lavoro perdendo il contatto con i processi innovativi".
Sul fronte delle soluzioni Massimo D'Alema
si dice favorevole "all'articolazione contrattuale, piuttosto che
al modello unico, con delle differenziazioni governate e
contrattate". E' nell'apparente uniformita', osserva, che "si
producono le differenziazioni" come al "sud dove la gente firma
la busta paga ma dentro c'e' la meta'". Serve tuttavia "uno
zoccolo di diritti universalmente riconosciuti: questa e' la
condizione perche' l'articolazione non diventi una giungla".
Tutto questo, dice D'Alema, deve "accompagnarsi al grande tema
della valorizzazione anche in termini distributivi". Il sindacato
puo' fare molto. Anzi, doveva varare la riforma dei contratti
gia' sette anni fa. "Le riforme- spiega l'ex ministro degli
Esteri- si fanno quando sono mature. Altrimenti le si subisce e
in una forma a volte sgradevole". I sindacati si rimettano al
tavolo comune, allora, "con il reciproco riconoscimento delle
ragioni. Sul tema della rappresentanza ha ragione la Cgil, ma
sulla questione della contrattazione piu' a ridosso della
produzione- dice D'Alema- la Cgil ha la responsabilita' di avere
difeso il modello del contratto nazionale. E' stato fondamentale
per la politica dei redditi, ma una volta entrati nell'euro quel
modello doveva essere cambiato per difendere i salari stessi".
Agostino Megale incassa le numerose sollecitazioni e in parte
le condivide. "Il vizio del sindacato italiano, e a volte il
nostro, di non saper cogliere i tempi e le condizioni politiche
giuste per fare le riforme, e' un elemento ricorrente- spiega-
tant'e' che nel 1998, durante il patto di Natale, si doveva
produrre la riforma dei contratti che sarebbe stata condivisa
sulla base degli accorgimenti che Gino Giugni ci segnalo'". Ma in
una condizione di emergenza, come la crisi, "il primo compito
nostro e' ricostruire l'unita' del sindacato. Il secondo- spiega-
e' certificare la reale rappresentanza dei soggetti". Quanto ai
lavoratori 'flessibili' apre a una differenziazione del salario
in modo che "chi non ha l'articolo 18 guadagni di piu' di quanto
guadagnano gli altri" e "ricondurre a unita' diritti e tutele,
messi a dura prova dalla crisi".

(Rai/ Dire)
20:05 16-09-09



stampa