Intervista
20 maggio 2022

"Enrico aveva previsto tutto"

Intervista di Luca Telese - TPI


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Presidente DAlema, senza di lei non conosceremmo le tre leggi generali” del socialismo reale di Enrico Berlinguer. 

 

(Sorride). Me le sussurrò nell'orecchio a Mosca, al funerale di Andropov. 

 

Lei si ritrovò in delegazione in un viaggio storico. 

 

Lultimo di Berlinguer in Unione sovietica.  Per me fu una opportunità del tutto inattesa. 

 

Come era accaduto che un giovane segretario del PCI in Puglia finisse a Mosca? 

 

Berlinguer disse in direzione: Noi critichiamo tanto i sovietici per la mancanza di rinnovamento, poi nelle delegazioni ci ritroviamo sempre io e Pajetta. Sarebbe il caso di innovare”. 

 

Posso immaginarmi la faccia di Pajetta. 

 

E non solo la sua. Caló il gelo, ma io mi ritrovai in delegazione, testimone di questo funerale che in qualche modo anticipava la fine dellURSS.

 

Eravate alla camera ardente, nel Palazzo delle Colonne. 

 

I sovietici ci dissero, come al solito una piccola balla: Non potete ancora entrare, non è arrivata la vostra corona di fiori”. 

 

E invece? 

 

Non era vero. Davano la precedenza, e lo vedemmo, al generale Zia, leader pakistano. 

 

E a quel punto? 

 

Entriamo. Berlinguer mi sorride e mi spiazza con una battuta che conteneva enormi verità politiche. 

 

Le tre mitiche leggi. 

 

La prima. In Unione sovietica i dirigenti mentono sempre, anche se non ce ne sarebbe bisogno. La seconda: lagricoltura va sempre male, e non si capisce mai il motivo…”. 

 

E la terza, sublime. 

 

In questi paesi, inspiegabilmente, la carta rimane sempre attaccata alle caramelle”. 

 

Sembrava una battuta era una sentenza politica. 

 

Berlinguer vide, anzi previde la fine dellUnione Sovietica. E si pose il problema di come salvare il nostro movimento e le nostre ragioni da questa crisi annunciata.

 

Lei ha celebrato molti anniversari, in questi anni che ci separano dalla sua morte. C’è qualcosa di diverso oggi

 

Credo di sì: siamo a 100 anni dalla sua nascita, a quasi 40 dalla morte, alcuni elementi, che le diró, rendono ancora più attuali il suo pensiero e la sua figura”. 

 

Massimo DAlema, è nel suo ufficio della fondazione Italianieuropei progetta la trasferta in Albania per vedere la finale di coppa della Roma (Sono consulente del governo di Edi Rama, gratuito, ma con il privilegio raro - ride - di entrare con la delegazione di governo in tribuna”).  Ha chiuso il numero della sua rivista (con un lungo articolo su Berlinguer), scherza e sorride. Ma gli cala un velo negli occhi ricordando lex segretario del PCI. 

 

Lei, luomo dei sentimenti controllati, rischia la commozione se parla di Berlinguer. 

 

È vero: ho sempre una difficoltà a discutere sulla sua figura. 

 

Perché

 

Per via del rapporto che mi ha legato a lui. Un fattore emotivo mi rende particolarmente difficile avere il distanziamento critico che a 100 anni dalla nascita sarebbe ragionevole avere. 

 

Spieghiamo perché.   

 

La memoria di Berlinguer é legata alla mia giovinezza, al ruolo di guida, di maestro, di riferimento umano e politico che ebbe per me. 

 

Con lui lei fu eletto nel ruolo delicatissimo di leader dei giovani comunisti.   

 

Mi aveva voluto come segretario nazionale della FGCI nel 1975. E ho vissuto in quel ruolo la crescita del PCI e poi l’inizio del declino. Negli anni più duri: quelli del terrorismo, ma anche della contestazione giovanile e del movimento del ’77.

 

Era un berlingueriano doc”?

 

Avevamo un dialogo non infrequente. Un rapporto stretto.  Anzitutto perché era curioso di tutto ciò che avveniva tra i giovani anche per essere stato molto prima di me lui stesso segretario della FGCI. Quando ripresero i rapporti con il Partito Comunista cinese mi mandò laggiù in un viaggio indimenticabile per preparare la missione che mesi dopo lo portò a riallacciare le relazioni con Pechino. Però… 

 

Peró?

 

Non era un “capocorrente”, uno che protegge i suoi”. 

 

Cioè

 

Quando Napolitano e Chiaromonte mi spedirono in Puglia, senza incarico, vice di un altro compagno, il futuro presidente della Repubblica mi disse: Tu ora vai lì, senza arrière pensée.

 

Ovvero: Senza ambizioni di leadership. Ma divenne lo stesso segretario regionale.  

 

Non certo perché fosse intervenuto Berlinguer! 

 

Era in Puglia quando le telefonarono per dirle dellictus. 

 

Mi spiegarono: Non ci sono speranze. Ero a Lecce, partii in macchina. Mentre guidavo ero scosso da pianto e singhiozzi. Mi dovetti fermare in una piazzola, non ero più in grado di guidare. Perdevo molto più che un leader. 

 

Passano gli anni e sembra che Berlinguer sia più amato di quando era vivo. Come si spiega, questo fenomeno?  

 

Ci sono almeno tre ragioni per cui oggi Berlinguer é più attuale. Alcune legate agli eventi di questi anni. 

 

Ad esempio?

 

La prima: il paese ha vissuto una lunga e drammatica stagione di antipolitica, con tutto ciò che questo ha comportato, ma oggi il sentimento dellopinione pubblica sta cambiando. 

 

Cioè

 

C’è nostalgia della politica. E, soprattutto, di una classe dirigente politica di statura indiscussa. 

 

Mi spieghi. 

 

Oggi il giudizio è unanime: Berlinguer e Moro, subito dopo i padri fondatori della Costituente, sono stati i maggiori protagonisti della storia repubblicana.  

 

È un giudizio forte. 

 

Ma fondato sui fatti. Tuttavia anche il modo in cui si pensa a Craxi, oggi è profondamente cambiato rispetto a vent’anni fa. Ma per Berlinguer c’è qualcosa di più, rispetto a tutti gli altri. 

 

E cioè?

 

La sua vicenda incarna una versione particolarmente nobile della Prima Repubblica. È come se in lui si potesse riassumere il meglio di mezzo secolo di storia, senza il difetto fatale che segnó la crisi di quella storia.  

 

Mani Pulite. 

 

Berlinguer é luomo della Questione Morale: il primo, cioé, che intuì con un decennio di anticipo, quanto profonda fosse la crisi che poi  é deflagrata con Mani Pulite. 

 

Lei dice che c’è un secondo motivo. 

 

Ancora più attuale, forse: e riguarda la crisi profondissima che lItalia sta vivendo sul piano economico, politico e morale.  Usciamo dalla pandemia, e c’è la guerra, con una grande crisi di senso e molti interrogativi sul nostro futuro. 

 

Il pensiero di Berlinguer viene percepito come uno strumento utile? 

 

Credo che ci sia qualcosa di più: nei momenti di crisi il paese ha bisogno di punti di riferimento, di personalità forti ed esempi. E lui è luomo che è rimasto fedele agli ideali della sua giovinezza. Che non ha una sola macchia, una figura limpida. Anche il modo in cui Berlinguer è morto ha contribuito a radicare un’idea mitica della sua persona. È morto come un eroe, in battaglia. È caduto sul campo, a Padova, mentre teneva un comizio, con la gente che gli gridava: Smetti! Smetti!”. 

 

Il leader che non si arrende? 

 

C’è in quella fine, anche simbolicamente, il senso di una vita. volontà, dedizione totale, spirito di sacrificio. Ci si volge agli esempi e agli eroi, lui è uno dei pochi che oggi risponde a questo bisogno. 

 

Però c’è qualcosa più, legato al suo pensiero. 

 

Questa é una ragione un po’ più complessa. 

 

Quale?

 

Ha ripreso corpo, a sinistra, una critica del capitalismo, alimentata dalle sciagure che stiamo vivendo. 

 

Proviamo a spiegare meglio. 

 

Se uno indaga su questo trittico, crisi finanziaria, pandemia e guerra, trova in Berlinguer spunti e intuizioni che spiegano anche gli eventi di questi anni. Difficile trovare le stesse risposte nel pensiero di altre figure così lontane. 

 

E questo perché, secondo lei? 

 

Quando è morto Berlinguer era alla ricerca di nuove risposte. 

 

Quali?

 

Dovendo dare un nuovo fondamento di identità al suo partito, nel momento in cui intuisce che veniva meno il fondamento della spinta propulsiva del comunismo reale, si volge su tutto quel che a sinistra era nuovo e fuori dai   radar dei testi sacri e della dottrina marxista classica. 

 

Da qui, secondo lei, partono le riflessioni sullambiente, sul nuovo ruolo della donna, sulleconomia, i movimenti per la pace: le sue ultime battaglie. 

 

Un aneddoto: mi ritrovai a tenere una assemblea nel Gargano, proprio dopo la frase di Berlinguer sul venir meno della spinta propulsiva”. 

 

Era in una zona rossa”.

 

Dove sopravvivano le memorie delle lotte contadine. 

 

Dove? 

 

A Sannicandro, una folla senza tempo: vecchi compagni con i tabarri e le mantelle. Confesso: ebbi paura. 

 

Non ci credo. 

 

Deve, e glielo faccio capire. Ad un certo punto parló un uomo che era stato capo dei braccianti. Ci dava le spalle, arringando la platea. 

 

Che diceva?  

 

Gridava semmai: Venti milioni di morti! Vittime e distruzioni! Questo ha pagato lUrss per la nostra libertà da Hitler!”. 

 

E poi?

 

Si giró verso di noi, con occhi di fuoco: Voi tutto questo lo volete scomunicare! Io dico No! Io dico viva lUnione Sovieticaaa! Viva lArmata rossaaa!’  La sala scoppió il delirio”. 

 

Tuttavia Berlinguer, malgrado i continui strappi con lUrss, era amato anche da questo popolo.  

 

Qui c’è un altro nodo. Berlinguer strappava con Mosca, ma lo faceva rivendicando il suo essere comunista. 

 

Dialogava con lSpd, aveva rapporti di affetto con Olof Palme… 

 

Compagni di strada, amici... Ma tutta lultima parte della sua ricerca politica è quella per dare al comunismo democratico una nuova prospettiva. 

 

Ecco la diversità con Napolitano.

 

Ehhh… Non voleva neanche sentirlo dire “Siamo socialdemocratici”.  

 

Cioè

 

Ricordo un episodio. Reichlin aveva detto da qualche parte: Siamo noi, il Pci, la grande socialdemocrazia italiana!”. 

 

In polemica con i socialisti, ovviamente. 

 

Ovvio. Pochi giorni dopo, in direzione ed Enrico si rivolse a lui: Sì… ti capisco… la frase ha una sua suggestione, ma…”

 

Ma? 

 

Berlinguer guardó Rechlin sconsolato: Io non potrei mai dirlo!”. 

 

Quelle direzioni, un grande spettacolo. 

 

Si discuteva in modo molto libero. Dopo tutti uniti, ma nel dibattito… 

 

Niente filtri.

 

Figurarsi. Ho visto con i miei occhi Pajetta gridare furibondo ad Amendola: Tu sei figlio di un ministro delle colonie liberale!  Gli operai non ti sono mai piaciuti!”.  

 

Fantastico.

 

Qui torno a Berlinguer: lui voleva superare il capitalismo, costruire un comunismo nella democrazia, con un modello del tutto diverso rispetto a quello del totalitarismo sovietico, che detestava. 

 

Quindi tutti gli strappi, dalla condanna dellinvasione di Praga alla democrazia valore universale”, alla Nato, alla censura del golpe in Polonia si spiegano così?

 

Arrivó alle rotture più dure, senza mai arrivare allestremo, alla frattura con il corpo del partito.   

 

Spieghiamolo.

 

In fondo, in quel nostro Pci convivevano diverse generazioni. E lepisodio del Gargano mostra come il mito dellURSS fosse ancora parte del legame che noi avevamo con il popolo italiano. 

 

I russi odiavano Berlinguer? 

 

Credo che anche lattentato che lui era certo di aver subito a Sofia getti unombra su questo rapporto. 

 

Cioè

 

I sovietici consideravano Berlinguer un leader pericolosissimo: per il prestigio che aveva nel mondo e - soprattutto - proprio nei paesi del socialismo reale. 

 

Quale pericolo? 

 

Era ostile al mondo sovietico, al comunismo dogmatico, loro temevano il contagio di queste idee. 

 

Ad esempio? 

 

Zikov, il leader bulgaro, proprio quello con cui Belinguer litigó sulla Cecoslovacchia, aveva detto: Noi Amiamo lUnione sovietica più del nostro paese”. 

 

Te lo raccomando. 

 

Censurato persino dalla Pravda. Per eccesso di zelo. 

 

Avete vissuto insieme gli anni di piombo. 

 

Il sequestro Moro é un passaggio drammatico della vicenda del Pci. 

 

Lei ebbe qualche diversità di linea con Belinguer? 

 

Dopo la cacciata di Lama dallUniversità da parte degli autonomi. 

 

Come mai?

 

Lui disse dei movimentisti del 1977: Non saranno questi poveri untorelli a spiantare Bologna”. 

 

Non condivideva?

 

Per me era una battuta infelice. Spietata. Noi - la Fgci - sostenevamo la tesi che non si dovesse rompere il rapporto con la nuova generazione e che, per quanto fosse difficile, i giovani comunisti dovevano rimanere all’interno del movimento. 

 

Però non vi censuró. 

 

Al contrario. Ed ecco come era Berlinguer: io ebbi l’incarico di tenere la relazione al Comitato Centrale del partito sulla questione giovanile. Quando presentai la relazione alla direzione apparve chiaro che la maggioranza dei dirigenti del Pci non era d’accordo. 

 

Le spararono addosso? 

 

Ci furono dissensi molto forti. Ma fu trovata una soluzione inedita. Berlinguer propose che io facessi la relazione e che subito dopo parlasse Bufalini a nome della segreteria per esprimere una posizione diversa. 

 

Andavate su due tesi contrapposte. 

 

Forse non contrapposte ma sicuramente diverse. Berlinguer si senti male e non potè venire, ufficialmente indigestione da datteri.

 

Diplomatica?  

 

Non lo so. Ma comunque fu lasciata a me la responsabilità delle conclusioni e nella replica io sostanzialmente difesi le mie opinioni. 

 

Ah ah ah. Roba da non uscirne vivi. 

 

Cera la lotta armata, ci si scontrava nelle piazze. Ma pure in una situazione così difficile il Pci era un partito nel quale si poteva discutere. 

 

Berlinguer poi cambió linea. 

 

Mi disse che era tormentato: Stiamo pagando un prezzo alto, nel rapporto con i giovani, ma non abbiamo alternative, bisogna resistere”. Nei giorni del sequestro pensava che il Pci fosse lunico argine in un paese a rischio collasso. 

 

E come finí

 

A Genova, alla fine del 1978, dal palco, chiuse quel cerchio con parole molto diverse: Abbiano avuto incomprensioni, dissidi: ma questi ragazzi sono i nostri figli”. 

 

Cosa era cambiato?

 

Io penso che anche il rapporto con i suoi figli lo influenzò.

 

Poi ci fu la fine del compromesso storico. 

 

Non ero in direzione, all’epoca, ma partecipai alla riunione di dirigenti meridionali, quella della famosa “svolta di Salerno” (che in realtà se ricordo bene si tenne a Vietri a Mare). Riunione nella quale, dopo il terremoto del 1980, Berlinguer annunciò la politica dell’alternativa.

 

Da quel momento inizia il periodo ultimo di Berlinguer, quello più discusso.

 

Berlinguer era consapevole che il mondo del comunismo reale stava crollando, mentre si apriva anche una crisi drammatica di quella che poi abbiamo chiama Prima Repubblica. 

 

E? 

 

Berlinguer si pose il problema di costruire un orizzonte ideale cui ancorare il nostro popolo nel momento della crisi. Da una parte cercò di definire i capi saldi di un comunismo democratico e di una critica moderna del capitalismo aprendosi ai temi dell’ambientalismo, della rivoluzione femminile e affrontando il grande problema del rapporto tra le persone e le sfide dell’innovazione tecnologica. Dall’altra parte affermò la “diversità” del Partito Comunista italiano rispetto alla crisi che investiva il sistema dei partiti. 

 

Lei come lesse lintervista a Scalfari?  

 

Eravamo convintamente berlingueriani, ero entusiasta. Oggi, con il senno del poi, so che quellelogio della società civile, estremizzato da altri, ha prodotto anche dei danni. 

 

E poi la grande manifestazione contro il taglio della scala mobile "Eccoci!”

 

Era consapevole che quella era una grande battaglia etica. Ma aveva in mente anche una operazione politica. 

 

Cioè?

 

È evidente che Berlinguer aveva l’obiettivo di far cadere il governo Craxi e io credo che il referendum fosse da lui visto come uno strumento che poteva portare a questo risultato.

 

E dunque? 

 

Pensava che la raccolta delle firme e la prospettiva referendaria potesse spingere la Democrazia cristiana e il Partito repubblicano a dare vita ad un governo per ricercare un compromesso con la Cgil e il Pci. Un compromesso per salvare il potere di acquisto dei lavoratori. 

 

Le sue ultime due grandi battaglie: contro gli euromissili e scala mobile. 

 

Pensi: eravamo insieme a Mosca, a cena di Giulietto Chiesa, quando via telescrivente gli arrivó la notizia del decreto di San Valentino.  

 

E cosa accadde? 

 

Si infuriò. La sua indignazione non era esibita, era autentica. Gridava: “È uningiustizia contro i lavoratori! Chi pagherà?”. Appena tornato in Italia propose il referendum abrogativo. 

 

Tortorella dice: Quellultimo Berlinguer era amato dalla base, ma in minoranza nei gruppi dirigenti”. 

 

Vero. Lidea del referendum fu approvata in direzione a stretta maggioranza contro l’opinione di gran parte del gruppo dirigente storico. 

 

Però per lei giocava, anche, una partita politica.

 

Insisto non ho dubbi, l’obiettivo era far cadere il governo. Berlinguer non era un visionario, né un estremista, ma un uomo politico capace anche di elaborare una tattica raffinata. 

 

Oggi tornano l’inflazione l’austerità: il ricorso storico riattualizza queste battaglie. 

 

Vede, oggi c’è bisogno di una sinistra che recuperi una dimensione ideale. 

 

Perché?  

 

Pensi allUcraina. Noi abbiamo ripetuto alla noia che era finito il Novecento, che vivevamo nellera dellinterdipendenza e della globalizzazione, che servivano pragmatismo, programmi, leggerezza….

 

E non è così

 

Ma scusi, chi si iscrive ad un partito perché legge il programma? È una stupidaggine assoluta. 

 

Perché

 

Tutte le categorie che ho ricordato si sono ribaltate!

 

E cosa succede? 

 

Ecco il paradosso: tornano nazionalismo, guerra, armi, carri armati, missili, geopolitica, disuguaglianze e povertà…  

 

Problemi per tutti.

 

La forza della destra consiste nel fatto che essa dà una risposta ideologica forte, direi persino identitaria alla crisi e al senso di smarrimento che si vive nelle nostre società. C’è, a dispetto di tutte le previsioni, un ritorno in campo delle ideologie del novecento. Qual è la risposta della sinistra? Quella che noi abbiamo un buon programma e siamo in grado di gestire meglio la “cosa pubblica”? Mi pare una risposta molto debole. O ci mettiamo in grado di rilanciare un messaggio ideale forte, una visione del mondo imperniata sui valori dell’uguaglianza e delle solidarietà oppure rischiamo di soccombere.  

 

Cosa accade dunque?

 

Accade che una sinistra che si metta su questa strada non può soltanto misurarsi coi problemi di oggi, deve anche sapere rileggere le pagine migliori della sua storia e tra queste quelle scritte da Enrico Berlinguer. 

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