Intervista
22 aprile 2023

Il potere economico non ha più argini, sono saltati tutti gli equilibri

Intervista di Giuseppe De Tomaso - Repubblica Ed. Bari


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Da anni, Massimo D’Alema, ex premier, ex ministro degli Esteri, ex
leader della sinistra, non riveste ruoli istituzionali in Italia. Ma non
ha mai smesso di far politica e di seguirne gli sviluppi, soprattutto a
livello internazionale. La sua agenda di contatti è piena come un uovo.
Il che gli permette di avere il polso della situazione in Italia e in
tutti gli angoli del pianeta. “Se in Occidente le democrazie sono in
crisi – dice subito – ciò dipende dal fatto che sono saltati gli
equilibri tra i poteri, in particolare tra il potere politico e il
potere economico. Quest’ultimo sta dilagando”. Ma andiamo con ordine.


Presidente Massimo D’Alema, in tutto il mondo le democrazie
sono in affanno. Lei è stato presidente del Consiglio e ministro degli
esteri e oggi ha incontri e relazioni con leader e analisti di tutto il
mondo. Guerre, populismi, disaffezione al voto… che sta succedendo?


“Io partirei dall’Italia e vorrei sottolineare un aspetto su cui si è
poco riflettuto. Nelle ultime elezioni politiche, in cui il
centrodestra ha conquistato un’ampia maggioranza parlamentare, il
consenso tributato ai partiti oggi al governo, è stato di circa 12
milioni e 200mila voti. Quando noi del centrosinistra e Berlusconi ci
sfidavamo per la guida del Paese, erano necessari 19-20 milioni di voti
per vincere alle politiche. La base del consenso reale a chi governa si è
ridotta, all’incirca, al 27% degli aventi diritto al voto. Una
disaffezione diffusa che è comune a molte democrazie, tra cui la Francia
dove la renitenza alle urne è ancora maggiore. Ma non è finita. Alcuni
studi dimostrano come in Italia il tasso di partecipazione al voto, già
modesto, si riduca ancora più drasticamente nei centri a più basso
reddito. Se a ciò aggiungiamo il fatto che nel nostro Paese lavorano 8-9
milioni di immigrati senza diritto di voto, impegnati in larga parte
nelle mansioni più umili, la conclusione è che la stragrande maggioranza
di coloro che svolgono lavori manuali non partecipa alla vita
democratica. O perché esclusa dalla legge o perché non intende
parteciparvi”.


La disaffezione del voto a sinistra non dipende anche, come
si è scritto più volte, dal fatto che i diritti civili hanno preso il
sopravvento sui diritti sociali?


“Questo è vero. Ma i diritti non sono alternativi fra loro. Il vero
problema è che sul piano sociale la politica si deve misurare con poteri
che essa non è in grado di fronteggiare. E ciò non riguarda solo la
sinistra, ma anche la destra. Il dibattito pubblico si concentra su temi
come l’immigrazione, i diritti civili, l’omosessualità, la maternità
surrogata, perché le vere grandi questioni sono precluse alla politica,
sono già predecise altrove. Quale governo può decidere di tassare la
rendita finanziaria? Nessuno, perché il capitale è transnazionale,
sfugge alle autorità di governo. La crescita delle disuguaglianze è
legata a fenomeni che la politica non è in grado di affrontare, arginare
e regolamentare. La destra ha vinto le elezioni sulla base di un
programma, per certi versi, assai coraggioso: difendere la sovranità
nazionale dalla globalizzazione, sfidare il potere economico
transnazionale, contenere il potere di Bruxelles e della Bce… Risultato?
Oggi il principale elogio rivolto alla Meloni è di aver abbandonato il
suo programma”.


Ma non è un fatto positivo che la Meloni abbia abbandonato il sovranismo? Diceva Mitterrand che il sovranismo porta alla guerra.


“Io non sono sovranista. Voglio solo ribadire che ciò che si promette
agli elettori non ha alcun valore, perché ci sono cose che non si
possono fare, perché ci sono poteri assai più forti della politica”.


Ma non è inevitabile che sia così, visto che molti problemi
sono complessi, internazionali e sovranazionali e richiedono risposte,
soluzioni altrettanto sovranazionali?


“È vero. Ma è anche vero che la politica non ha la forza di imporre
determinate scelte a livello internazionale. Persino Biden si è dovuto
arrendere, mi pare. Aveva detto di voler raddoppiare dal 20% al 39,6% la
tassazione sui capital gain, di voler tassare le transazioni
finanziarie e di voler aumentare il prelievo sul reddito delle grandi
società e dei plurimiliardari, ma il suo piano si è fermato”.


Come giudica i primi passi di Elly Schlein?


“Intanto, la sua elezione è un fatto assai positivo, è una ventata di
cambiamento, di fiducia che interrompe e ribalta una fase di forte
depressione a sinistra. È ancora presto per esprimere giudizi sul suo
operato. Le mando i migliori auguri. Ha il compito di rilanciare, di
rianimare il partito, per evitare che un iscritto possa commentare in
questi termini sarcastici, come mi è capitato di sentire, e cito
testualmente, l’esito congressuale: “Dopo aver perso le elezioni, il Pd
ha perso anche le primarie, il Pd ha votato contro se stesso””.


Autonomia differenziata: al Sud c’è chi è convinto che non se
ne farà nulla e c’è chi pensa che bisogna mobilitarsi perché il rischio
della spaccatura del Paese è reale.


“Sarebbe il caso di ripensare l’intero sistema delle autonomie, non
solo a proposito del disegno di Calderoli, ma anche in merito al
regionalismo così come realizzato finora. Il sistema imperniato sul
potere delle Regioni non funziona. Eravamo partiti con l’idea che il
sistema delle autonomie regionali avrebbe garantito maggiore efficienza.
Il risultato è stato, più o meno, l’opposto. E poi non va trascurato un
dato storico: nella tradizione italiana non è radicata l’istituzione
regionale, ma l’istituzione comunale. Se proprio bisogna rafforzare le
autonomie locali, bisogna agire in direzione dei Comuni, non delle
Regioni”.


La richiesta dell’autonomia differenziata è figlia
dell’errore del governo Amato che, nel 2001, condusse in porto, col solo
voto della maggioranza di centrosinistra, la riforma del Titolo Quinto
della Costituzione. Fu una scelta sbagliata, no?


“Quello che fu sbagliato, e lo dissi allora, fu aver stravolto
l’impianto della commissione bilaterale per le riforme che prevedeva un
forte sistema di autonomie locali, ma nello stesso tempo un più forte
sistema centrale. Era assicurato un bilanciamento di poteri tra centro e
periferia. Avere preso solo un pezzo di quel disegno, attraverso la
riforma del Titolo Quinto, e avere lasciato inalterato tutto il resto,
ha provocato un evidente squilibrio. La stessa elezione diretta dei
presidenti delle Regioni ha rafforzato il ruolo e la visibilità delle
Regioni nel rapporto con il governo centrale, che è rimasto debole. Se
rafforzassimo ulteriormente il potere delle Regioni, che poi, parliamoci
chiaro, sarebbe il potere delle Regioni del Nord, a scapito dello Stato
centrale, aumenterebbero i rischi per la stabilità e la tenuta del
Paese. Ripeto: non sono contrario al decentramento, ma va garantito un
potere centrale di raccordo, così come va ridisegnata la rete di
competenze nell’ambito delle autonomie locali”.


Favorevole o no al terzo mandato per i presidenti regionali? Se ne discute in Puglia e in Campania.


“Non voglio entrare nel merito delle propensioni personali. Nella mia
vita politica ho sempre avuto il piacere di fare esperienze nuove, ho
sempre cercato di evitare il rischio di fossilizzarmi. Il tetto dei due
mandati venne stabilito in base ad elementi di ragionevolezza. Che
permangono. E poi, è utile e giusto che le migliori energie territoriali
abbiano l’opportunità di esprimere anche ad altri livelli il loro
valore e le loro potenzialità”.


La guerra in Ucraina, la tensione su Taiwan. Si rischia la guerra totale?


“Sono stato a novembre in America Latina per una conferenza. Nessuno
fra i partecipanti ha difeso Putin sulla guerra, tutti lo hanno
condannato. Ma l’opinione generale era che l’Occidente fosse
corresponsabile del conflitto e che non avesse titolo nel perorare la
difesa di princìpi e valori alti, perché li ha violati tutti. Sostiene
il cittadino medio dei Paesi arabi: giusto condannare e sanzionare
l’annessione della Crimea da parte della Russia, ma nulla di simile è
stato fatto dopo l’annessione di Gerusalemme da parte di Israele, che
pure costituisce un’aperta violazione della Carta dell’Onu. Ecco perché
l’Occidente ha perso credibilità”.

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